Una volta uno spettro si aggirava per l’Europa. Oggi più prosaicamente si aggira per le scuole italiane, quello della “teoria gender” (o “ideologia gender” o perfino “dittatura del gender”). Si salvi chi può da coloro che, per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, vorrebbero colonizzare le menti di bambini e bambine con un’azione di
Una volta uno spettro si aggirava per l’Europa. Oggi più prosaicamente si aggira per le scuole italiane, quello della “teoria gender” (o “ideologia gender” o perfino “dittatura del gender”).
Si salvi chi può da coloro che, per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, vorrebbero colonizzare le menti di bambini e bambine con un’azione di indottrinamento gender, che si presenta sotto le mentite spoglie di un discorso di uguaglianza e rispetto delle differenze, tanto pericolosa da essersi ormai insediata all’Organizzazione Mondiale della Sanità (e lo diciamo subito: no, non esiste nessuna direttiva della Comunità europea nè circolare del MIUR che vuole insegnare ai bambini a masturbarsi in classe fin dai 4 anni). Il monito l’hanno lanciato, a più riprese, vari esponenti del mondo cattolico, l’ultimo in ordine di tempo dal palco del Family day.
“Giù le mani dai nostri figli”, “Uomo e donna siamo nati”, “Stop gender nelle scuole”, “Il gender è lo sterco del demonio”: alcuni degli slogan e cartelli presenti in Piazza San Giovanni a Roma. Il “gender” dunque sotto accusa (prima ancora della legge Cirinnà sulle unioni civili in discussione in Parlamento).
Ma cos’è dunque la teoria gender?
Una bufala. Nessuno, in ambito accademico e scientifico internazionale, parla di teoria del gender. È infatti un’espressione usata dai cattolici più conservatori e dalla destra più reazionaria per gridare “a lupo a lupo” e creare consenso intorno a una visione omofobica e sessista dell’affettività e sessualità. Esistono invece gli studi di genere o gender studies, un filone di ricerca interdisciplinare di origine anglosassone che, dagli anni ’70, studia la condizione delle donne e delle altre minoranze come le persone glbt, nell’evoluzione e nella storia dei contesti sociali e culturali.
Psicologi, sociologi, antropologi e giuristi hanno dimostrato che sessismo e omofobia, pregiudizi e stereotipi di genere sono appresi sin dai primi anni di vita e sono trasmessi attraverso le relazioni sociali, il rapporto con gli adulti di riferimento, la scuola, il linguaggio, le norme culturali. In sostanza, la “teoria gender” è un’invenzione polemica, un’espressione coniata sul finire degli anni ’90 in alcuni testi redatti sotto l’egida del Pontificio consiglio per la famiglia con l’intento di deformare e delegittimare il campo di studi di genere. Ha avuto una diffusione virale negli ultimi anni, è entrata negli slogan dei manifestanti, soprattutto in Francia e in Italia, contrari all’adozione di riforme auspicate per ridurre le discriminazioni subite dalle persone glbt. Secondo gli ideatori dell’espressione “teoria gender”, nasciamo maschi o femmine. Punto. Il sesso biologico è l’unica cosa che conta. L’identità sessuale non si crea, ma si riceve.
Da qui la levata di scudi contro la teoria gender, guai a istillare domande nella testa di bambini e adolescenti che abbiano a che fare con la sessualità, li destabilizzerebbe.
L’identità sessuale
Gli studi di genere in realtà non negano l’esistenza del sesso biologico assegnato alla nascita, né la sua influenza nella nostra vita. Sottolineano però che il sesso biologico da solo non basta a definire la nostra identità sessuale, che è una realtà complessa e dinamica composta da 4 elementi fondamentali: sesso, genere, orientamento sessuale e ruolo di genere.
Il sesso biologico è determinato appunto biologicamente: appena nati siamo categorizzati in femmine o maschi in base ai genitali (in realtà circa il 2% della popolazione può essere definito “intersessuale“, nati cioè con aspetti biologici di entrambi i sessi in diverse gradazioni). Il genere invece è l’aspetto socioculturale, l’insieme delle differenze socialmente costruite che si acquisiscono e modellano il nostro sviluppo come uomini e donne e ci incasellano in determinati ruoli (di genere) ritenuti consoni al sesso biologico femminile e maschile. La categoria di genere influenza, sulla base dell’anatomia macroscopica sessuale (pene/vagina) e a seconda dell’epoca e della cultura, delle regole e aspettative su atteggiamenti, comportamenti e ruoli sociali considerati appropriati all’uno o all’altro sesso.
Simone de Beauvoir, ne “Il secondo sesso” (1949), spiegava che non si nasce donna, ma lo si diventa: ma non aveva alcuna intenzione di dire alle donne che potessero o meno scegliere di essere donne. Il suo scopo era invece quello di spiegare alle donne che avevano il diritto di ripensare il proprio ruolo all’interno della società uscendo da quegli stereotipi che, per secoli, le avevano rese prigioniere della subordinazione all’uomo. L’identità di genere riguarda invece il sentirsi uomo o donna. E non sempre coincide con quella biologica (è il caso delle persone transessuali). Altra cosa ancora infine è l’orientamento sessuale: l’attrazione cioè, affettiva e sessuale, che possiamo provare verso gli altri (dell’altro sesso, del nostro stesso sesso o di entrambi).
Educare al genere
A differenza di quanto si è fatto in altri Paesi, nelle nostre scuole non c’è mai stata una vera e propria educazione affettiva e sessuale. Eppure, educare genitori e insegnanti a dare informazioni corrette a figli e studenti affinché parlino in modo ragionato, e non dogmatico, di sesso, orientamento sessuale, identità e ruoli di genere, è molto importante per comprendere meglio la nostra identità personale, per sapere chi si è. Sostenere la crescita psicologica, fisica, sessuale e relazionale di bambini e bambine li può aiutare a progettare il proprio futuro al di là delle aspettative sulla mascolinità e la femminilità, al di là di stereotipi e pregiudizi. E significa anche far riflettere gli adulti sul fatto che le attuali dicotomie di sesso (maschio/femmina) e di genere (uomo/donna) non sono in grado, di fatto, di descrivere la complessità della vita affettiva e sessuale delle persone.
Senza alcuna volontà di sconvolgere l’ordine naturale delle cose e creare il caos. Anche perché l’identità e l’orientamento sessuale non sono frutto di una scelta. Sono e basta. Inoltre non solo ciò che è considerato caratteristico della donna o dell’uomo cambia nel corso della storia e nei diversi contesti culturali, ma anche il concetto di famiglia ha conosciuto e sempre più spesso conosce configurazioni diverse: famiglie nucleari, adottive, monoparentali, ricombinate, omogenitoriali, allargate, ricomposte, ecc. Delegittimarle a priori significa danneggiare la vita reale di molti genitori e dei loro figli, di famiglie che ci sono già. Negarne la presenza non serve a nulla.
40 anni di osservazioni cliniche e ricerche scientifiche internazionali e le più importanti associazioni scientifiche e professionali nel campo della salute mentale affermano che ci sono molti modi di essere genitori (indipendentemente dal sesso biologico o dall’orientamento sessuale). Adulti attenti e capaci di fornire cure, che siano uomini o donne, etero o omosessuali, possono essere ottimi genitori. Ciò di cui i bambini hanno bisogno è sviluppare un attaccamento verso genitori partecipi, competenti, responsabili. Una famiglia, infatti, non è soltanto il risultato di un accoppiamento riproduttivo, ma è soprattutto il risultato di un desiderio, di una costruzione di un progetto e di un legame affettivo e sociale.
Contrariamente ai fantasmi di chi se la prende con l’insegnamento del “gender”, l’educazione all’affettività e al rispetto delle differenze non ha come scopo quello di spingere i maschi a diventare femmine o viceversa. Esattamente come non si insegna a un eterosessuale a diventare omosessuale o viceversa. Lo scopo è solamente quello di favorire il rispetto di chiunque, indipendentemente dalla propria identità e dal proprio orientamento sessuale, perché non è vero che un gay o una lesbica sono delle persone malate da curare, nè che se una bambina gioca con i soldatini o un bambino con le bambole siano “sbagliati”.
Bufale, crociate e falsi allarmismi non servono a nulla se non a creare disinformazione e confusione. E in quanto adulti responsabili di cura ed educazione nei confronti di bambini e ragazzi, non è una cosa che ci possiamo permettere.
Pier Luigi Gallucci
[Fonti delle immagini: new-wineskins.org, welcomingschools.org, morganalynx.wordpress.com, ucl.ac.uk, blog.libero.it/VitaPerez/, ]
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