Giuseppe Parasporo sta vivendo “pienamente” la 71ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, giacché arrivò primo al concorso David Giovani, indetto da Agis Scuola. Ci racconta, trasferendoci stupore ed emozione, quanto sta accadendo al celeberrimo Festival del Cinema. Riporta il suo vissuto filtrato dagli occhi attenti di un diciannovenne. Intitola il suo resoconto del 28/08/2014 Venezia 2014:
Giuseppe Parasporo sta vivendo “pienamente” la 71ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, giacché arrivò primo al concorso David Giovani, indetto da Agis Scuola.
Ci racconta, trasferendoci stupore ed emozione, quanto sta accadendo al celeberrimo Festival del Cinema. Riporta il suo vissuto filtrato dagli occhi attenti di un diciannovenne. Intitola il suo resoconto del 28/08/2014 Venezia 2014: tra cinema e fiera della vanità.
Lo riportiamo per intero.
“Secondo giorno. L’ansia, le paure, l’agitazione del prefestival sono sparite. O forse no. Certo non sarà facile; non lo è; non lo è stato.
Al mirabolante arrivo all’hotel del capoluogo veneto, tutt’altro che scontato dato il numero sconsiderato di ritardi accumulati da ogni mezzo di trasporto esistente sull’isola, è subito seguito il precipitarsi nella villa dell’Agis, agli ordini della professoressa/generale “Lucianona” Della Fornace (solo Luciana per i non addetti ai lavori): esperta conoscitrice dell’universo cinematografico (i suoi aneddoti sul mondo del cinema, da A. Sordi a T. Roth, in una parola: FOLLI!); autorità e prima della lista per ogni evento filmico che si rispetti(se non ci va è solo “per non mettersi in mostra”); punto di riferimento, infine, oltre che peggior incubo di noi “piccoli” giurati del Leoncino d’Oro, eventualmente chiamati a processo per ogni minimo ritardo (parafrasando Mr. Jobs, il suo motto potrebbe essere “siate affamati, siate folli; siate in orario però!”).
Ma ecco che, così istruito, così “minacciato”, inaspettatamente nessuno si dà per vinto e, anche se molti preferirebbero indietreggiare lentamente, alzare bandiera bianca – “mi arrendo”-, ogni regione ha la forza, se non addirittura il coraggio, di raggiungere l’anteprima del Festival, e assistere alla proiezione di un film “muto”, Maciste soldato (1916), episodio dell’omonima saga pietra miliare del cinema di propaganda d’inizio Novecento, oltre che capolavoro indiscusso della storia del cinema muto italiano.
Il giorno dopo dal muto si passa ai suoni, alle voci: tutte rigorosamente originali e non doppiate, beninteso. E le prime voci a farsi sentire sono americane. Sono quelle di M. Keaton, E. Norton, E. Stone, N. Watts, Z. Galifianakis (su tutti), ovvero del cast di Birdman: the unexpected virtue of ignorance del messicano Inarritu: rappresentazione realistica e al contempo visionaria del mondo del cinema americano; commedia sprezzante, witty, quasi wildeiana, sulla tradizionale dicotomia tra cinema e teatro (Hollywood vs Broadway); nonché speranza utopica, quasi aristofanesca, di vivere solo sul palcoscenico, di volare (il titolo ricorda Gli uccelli del commediografo greco ), per molti versi anche romanticamente baudelairana, nel bisogno dell’attore/albatro che, “principe delle nuvole” esiliato in terra, per le “ali di gigante non riesce a camminare” .
La vita del festival è frenetica. Ai film in concorso seguono altri fuori concorso, non meno ambiziosi però.
Per i primi due giorni Venezia 71’ non è italiana. Tra i film in gara appaiono The look of Silence dell’americano Joshua Oppenheimer, interessante e insolito documentario sul genocidio dei comunisti indonesiani nel 1975; il francese La rancon de la gloire di Xavier Beauvois, delicato racconto dai risvolti comici, con protagonista una tomba, quella di Charlie Chaplin; per continuare con l’iraniano Ghesseha (Tales) di Rakhshan Banietemad, pseudodocumentario che, non molto lontano nelle intenzioni dal vincitore della scorsa edizione (Sacro GRA di G. Amelio), abbraccia, come in una grande danza matissiana, più storie di vite iraniane: povere, virtuose, ma umane.
La mostra corre veloce, non si ferma; e tu, tu non puoi tirarti indietro. Corri da una proiezione in Sala Grande a una nella nuova Sala Darsena, passando per il salone stampa. Corrono gli attori, sul red carpet, e non puoi fermarli, anche se lo vorresti. Alcuni corrono intimiditi dalle folle urlanti (vedi Mr. Roth); altri non ti degnano di uno sguardo, sono di Hollywood loro (vedi Micheal Keaton). Tutti però si devono fermare per gli scatti, per l’immagine. Devono posare.
Mostra del cinema o delle celebrità? Mostra di divi, vip, e dello star system? Di certo però, una mostra sempre meno coraggiosa. O almeno non coraggiosa come il timidissimo Carlo Verdone che, rimasto a firmare autografi per più di mezz’ora, ha poi invitato i colleghi americani (Norton, Keaton, Stone, Watts, Roth, su tutti) a fare meno i narcisi, ad accompagnarlo a rendere omaggio ad un grande pubblico, quello italiano, il suo pubblico.
La speranza allora è una sola: un festival che sia “grande, grosso e… – non solo – Verdone”.
In attesa di una seconda “sbirciata dal vivo” del Festival del Cinema in corso nella Serenissima, ringraziamo Giuseppe Parasporo per l’estemporanea che ci ha regalato.
Redazione di ArtInMovimento Magazine
[Fonti delle immagini: myword.it/cinema, paperstreet.it, it.wikipedia.org e labiennale.org/it/cinema/71-mostra]
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