Il numero 660 della Piccola Biblioteca Adelphi mette a disposizione del lettore italiano la breve raccolta Un été avec Montaigne uscita per le Editions des Equateurs l’anno scorso alla fine di giugno. Un libretto, neanche a dirlo, che ebbe successo immediato di pubblico. Ne è l’autore Antoine Compagnon, ex ingegnere allievo dell’École polytechnique poi passato alla letteratura
Il numero 660 della Piccola Biblioteca Adelphi mette a disposizione del lettore italiano la breve raccolta Un été avec Montaigne uscita per le Editions des Equateurs l’anno scorso alla fine di giugno. Un libretto, neanche a dirlo, che ebbe successo immediato di pubblico. Ne è l’autore Antoine Compagnon, ex ingegnere allievo dell’École polytechnique poi passato alla letteratura francese comparata, il cui curriculum vale di per sé a garantirne l’affidabilità di ricercatore e critico.
In realtà, prima ancora che leggerle su carta, i francesi poterono ascoltare le parole di Compagnon alla radio. Nel 2012, infatti, Philippe Val, fino al mese scorso direttore di France Inter,chiese all’illustre accademico di intervenire in una trasmissione quotidiana della durata di pochi minuti. Gli venne chiesto praticamente l’impossibile: commentare, nello spazio di pochi minuti, gli Essais di Michel Eyquem de Montaigne, (1533-1592) che, come ogni lettore di classici della prima modernità sa bene, è impresa che scoraggerebbe chiunque. Eppure per Compagnon, sebbene “stravagante” e “arrischiata”, l’impresa risultò in qualche modo fattibile, anche perché “occupare l’etere all’ora che fu di Lucien Jeunesse […] era una di quelle proposte che non si possono rifiutare” (A. Compagnon, Un’estate con Montaigne, Milano 12). E così “la gente, stesa sulla spiaggia, o magari intenta a sorseggiare un aperitivo prima di pranzo, avrebbe sentito parlare di Montaigne alla radio” (p. 11). Nascono quaranta brevi interventi, quasi dei flash sull’opera del Segneur de Montaigne che tentano di introdurre anche il lettore meno informato alla sapienza degli Essais. Quei 40 fulminei interventi estivi sono, ora, altrettanti capitoletti del libro che proponiamo al lettore in questo inizio di estate.
In questi capitoli sono racchiusi, da un lato, aspetti della figura di Montaigne: la sua indole, cenni della sua psicologia e del suo tratto umano, abitudini di vita e spazi del suo operare, soprattutto quelli che accolsero il suo otium dopo l’abbandono della vita pubblica. Dall’altro vi si trova racchiuso il necessario per comprendere la nervatura moralistica della sua opera il cui argomento sono le cose della vita: dall’amore all’amicizia, dalla morte alla vanità, dalla bellezza alla malattia. Dice Compagnon del suo lavoro preparatorio: «[…] scegliere una quarantina di brani di poche righe per chiosarli brevemente, mostrandone al tempo stesso lo spessore storico e l’attualità, sembrava una scommessa persa in partenza. Dovevo scegliere le pagine a caso […]? Chiedere a una mano innocente di estrarle a sorte? O passare in rassegna a tambur battente i grandi temi dell’opera? Dare un’idea della sua ricchezza e varietà? Oppure limitarmi ad alcuni frammenti preferiti, senza scrupoli di coerenza o di esaustività. Ho cercato di fare tutte queste cose insieme, senza ordine né premeditazione» (p. 12).
Da parte nostra, evidentemente, si pone il problema – se non del perché – almeno del “come” scrivere una introduzione a quella che, a tutti gli effetti, è un’introduzione a Montaigne. Aggiriamo l’ostacolo e proponiamo un hors-d’oeuvre di due capitoli che meglio mettono in risalto la figura e l’opera di Michel de Montaigne. Anzitutto chi era e, soprattutto, cosa faceva Michel de Montaigne prima degli anni del ritiro nel castello lasciatogli dal padre? Domanda solo apparentemente aneddottica perché ci aiuta a rispondere ad un’altra, ben più importante: “Quale esperienza delle cose della vita ebbe Montaigne e da dove trasse il suo sguardo sul mondo?”. Certamente Compagnon ebbe ben presente la connessione tra queste due domande. Sin dal primo intervento – L’impegno – siamo quasi obbligati a sbarazzarci di un luogo comune che è anche un errore indotto dalla lettura degli Essais: «Montaigne si dipinge spesso come un gentiluomo che vive ozioso nelle sue terre, rintanato fra le pareti della sua biblioteca, cosicché tendiamo a dimenticare che è stato anche un uomo impegnato nella vita pubblica del suo tempo e che ha avuto importanti responsabilità politiche in un’epoca quanto mai turbolenta della storia di Francia» (p. 13). In altre parole, non si comprende il Montaigne filosofo senza il Montaigne politico. La sua potrebbe essere descritta – mutatis mutandis – come la figura di uno Sciascia del Cinquecento francese. Impegnato per molti anni al Parlamento di Bordeaux – si ricordi che al tempo esso era un’istituzione di tipo giuridico e non legislativo come oggi – e poi sindaco della stessa città, ebbe modo di analizzare la vita attraverso quella lente di ingrandimento che è l’amministrazione della giustizia e il governo di una città e capire, in tempi di lotta violenta tra cattolici e protestanti, il ruolo della parola e del gesto nella mediazione dei conflitti. La sua intera vita adulta è dilaniata dalle guerre civili, a suo dire le peggiori tra le guerre, perché mettono amici e fratelli gli uni contro gli altri – e lo spettacolo di queste guerre gli si mostrò davanti dal 1562 al 1592, in un trentennio in cui subì il dramma del polemos sia esso nella forma di scaramucce e conflitti tra privati e sia nelle forme più imponenti di battaglie, assedi, uccisioni. È la riflessione su tutto questo che genera gli Essais e senza la considerazione di questo retroterra prevarrebbe ancora l’idea di un Montaigne aristocraticamente chiuso tra i suoi – pur nobili – pensieri.
Ma perché Montaigne cominciò a scrivere – e offriamo così al lettore della nostra introduzione il secondo degli insight promessi –? La risposta è semplice: Montaigne cominciò a scrivere per ordinem servare e per placare i suoi demoni interiori (anche qui è bandita ogni lettura irenica della figura e dell’opera del nostro). Compagnon si sofferma, nel flash intitolato Gli incubi,su un passo tratto dal capitolo Dell’ozio del primo libro degli Essais. Lo riportiamo congedando il lettore: “Quando, di recente, mi sono ritirato nella mia dimora [Montaigne aveva 38 anni e si ritirò a vita privata dopo essersi dimesso dalla carica di consigliere del Parlamento di Bordeaux], deciso, per quanto possibile, a non curarmi d’altro che di trascorrere in santa pace e appartato quel poco che mi resta da vivere, ho pensato che non potevo rendere alla mia mente servigio migliore che quella di lasciarla nell’ozio più assoluto, libera di conversare con se stessa, e di fermarsi e crogiolarsi in sé. Il che speravo potesse fare ormai con maggiore agio, dacché era diventata, col tempo, più pacata e matura. E invece scopro […] che, al contrario, come un cavallo imbizzarrito, si dà cento volte più affanno da sé medesima di quanto non se ne desse prima per gli altri, e mi partorisce una tal congerie di chimere e mostri fantastici, senz’ordine né disegno, che per contemplarne a mio agio l’assurdità e la bizzarria ho iniziato a prendere nota, sperando così che col tempo se ne vergogni” (pp. 40-41). Commenta Compagnon: “Insomma, cercando la saggezza nella solitudine, Montaigne ha sfiorato la follia. Ma si è salvato ed è guarito dalle proprie allucinazioni e dai propri fantasmi registrandoli. La scrittura dei Saggi gli ha restituito il dominio di sé” (p. 42).
Il libretto di Compagnon è un vademecum per chi, nel suo otium estivo, voglia introdursi all’ otium che fu di Montaigne. La successiva lettura degli Essais sarà una necessità e un piacere.
Francesco Contento
[Fonti delle immagini: amazon.it, philosopherinthecity.com, hua.umf.maine.edu, canuckswithoutborders.wordpress.com ]
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