Da ieri, 22 aprile, al 5 maggio, sul palcoscenico del Teatro Regio di Torino fa ritorno Turandot nella produzione di grande successo che Stefano Poda creò nel 2018 per il Regio e che venne trasmessa sulla piattaforma europea OperaVision e uscì in DVD per UnitelClassica/CMajor. La scelta di partenza fu quella di fermarsi laddove Puccini depose
Da ieri, 22 aprile, al 5 maggio, sul palcoscenico del Teatro Regio di Torino fa ritorno Turandot nella produzione di grande successo che Stefano Poda creò nel 2018 per il Regio e che venne trasmessa sulla piattaforma europea OperaVision e uscì in DVD per UnitelClassica/CMajor. La scelta di partenza fu quella di fermarsi laddove Puccini depose la penna, alla morte di Liù, dove si fermò lo stesso Toscanini alla prima del 1926, senza il finale scritto da Franco Alfano.
Lo spettatore che assiste a Turandot compie un viaggio, assiste a un processo che prima o poi tutti dobbiamo vivere. È quella che io definisco la storia del mistero dell’alterità: è il confronto con l’altro con il “fuori da sé”, può essere un processo naturale, doloroso, felice, traumatico, c’è chi ha paura di questo confronto, e questo diventa un simbolo di quello che io chiamo poema dell’alterità. Io non offro interpretazioni, non sposto l’opera da Pechino al tempo delle fiabe o nella New York di oggi per rendere la vicenda più vicina o più comprensibile allo spettatore… Io depuro lo spazio, lavoro per sottrazione e permetto allo spettatore di vedere uno spazio dell’anima. Punto di partenza per mettere in scena Turandot per me è stata una frase delle tre maschere Ping, Pong, Pang: “Turandot non esiste”. La principessa di gelo è una “creazione” di Calaf. Ognuno di noi costruisce un oggetto d’amore, ma poi ci accorgiamo che chi amiamo non corrisponde a ciò che abbiamo idealizzato. Solo attraverso il dolore, la crescita, l’accettazione nasce quello che è un amore grande. In quest’opera solo Liù, che è meno cerebrale degli altri, accetta la vita e accetta allo stesso modo di donarsi e di sacrificarsi, ma forse per arrivare a essere Liù bisogna prima essere state Turandot. Calaf ha paura, Turandot ha paura del confronto, gli enigmi sono prove, sono un confronto con se stesso, afferma Stefano Poda.
Sul podio di Orchestra, Coro e Coro di voci bianche del Teatro Regio sale Jordi Bernàcer. Bernàcer inizia lo studio della musica all’età di sei anni e si diploma in flauto presso il Conservatorio di Valencia e in Direzione d’Orchestra presso il Conservatorio di Vienna sotto la guida di Georg Mark e Reinhard Schwarz. È stato assistente di Maestri come Riccardo Chailly, Sir Andrew Davis, Valery Gergiev, Nicola Luisotti, Zubin Mehta, Georges Prêtre e, in particolare, di Lorin Maazel che nel 2007 lo nomina “Associate Conductor” al Castleton Festival. Nel 2015 diviene Resident Conductor presso la San Francisco Opera, ricoprendo l’incarico per tre stagioni. Dal 2012 si è consolidato il sodalizio con Plácido Domingo, che dirige spesso in concerti e produzioni operistiche.
In scena, un unico cast per tutte le sette recite in programma. Nel ruolo del titolo troveremo Ingela Brimberg, celebre soprano svedese al suo debutto sul palcoscenico del Regio, nota per le interpretazioni delle più complesse eroine dell’opera; la sua “voce potentemente brillante” affascina pubblico e critica come nel suo debutto come Isotta nel Tristan und Isolde per l’Opera di Colonia e come Brünhilde in Die Walküre al Teatro Real di Madrid. Calaf sarà interpretato dal giovane tenore georgiano Mikheil Sheshaberidze, anche lui per la prima volta a Torino, che ha già sostenuto il ruolo al Teatro Lirico di Cagliari nel 2018, al Teatro di Vilnius per la regia di Bob Wilson nel 2019 e nel 2020 al Teatro di Taipei. Liù sarà il soprano Giuliana Gianfaldoni, una delle voci più promettenti del panorama della lirica contemporanea, astro nascente e in continua crescita, richiesta dai più grandi teatri d’opera e diretta dai direttori d’orchestra più prestigiosi, un Timur d’eccezione è Michele Pertusi.
Completano il cast: il tenore Nicola Pamio (Altoum), il baritono Simone Del Savio (Ping), i tenori Manuel Pierattelli (Pang) e Alessandro Lanzi (Pong), il basso-baritono Adolfo Corrado (un mandarino). Regia, scene, costumi, coreografia e luci sono di Stefano Poda, regista collaboratore è Paolo Giani Cei. Il Coro e il Coro di voci bianche del Teatro Regio sono istruiti rispettivamente da Andrea Secchi e Claudio Fenoglio.
Uno spettacolo da non perdere!
Redazione di ArtInMovimento Magazine
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