Il Teatro Regio di Torino ha concluso la stagione con Carmen di Bizet, e il triangolo amoroso sivigliano tra Don José, Carmen e Micaëla si impone al pubblico. Un piano inclinato circolare che si trasforma con pochi elementi scenici in tutte le locations dell’opera. Bei fondali che ricreano le diverse ambientazioni e seguono l’evolversi della
Il Teatro Regio di Torino ha concluso la stagione con Carmen di Bizet, e il triangolo amoroso sivigliano tra Don José, Carmen e Micaëla si impone al pubblico.
Un piano inclinato circolare che si trasforma con pochi elementi scenici in tutte le locations dell’opera. Bei fondali che ricreano le diverse ambientazioni e seguono l’evolversi della vicinda. La polizia spagnola è ridicolizzata da Matthias Hartmann, messa al bando da più punti di vista. La stazione di polizia è resa attraverso un ombrellone e una sedia a sdraio a indicare l’andazzo non propriamente dinamico della forze dell’ordine spagnola. Il loro modo di interagire con Micaëla mentre chiedeva loro informazioni su Don José, sicuramente famelico, provocatorio e poco garbato. Il giornale pornografico sfogliato dal protagonista maschile e dall’Ufficiale, e il calcio di quest’ultimo ai piccoli festosi. Il loro modo di porsi nei confronti delle sigarettaie e il gesto volgare ripetuto tre volte con cui spingono i loro genitali verso il pubblico, a sottolineare la sessualizzazione del corpo di polizia. La presenza di una tv a colori a tubo catodico accesa che rende evidenti, come anche i costumi di Su Bühler, che ci si trova agli inizi degli anni Ottanta. In sintesi un minimalismo scenico caratterizza l’opera di Volker Hintermeier, un non-luogo scelto per far vivere uno dei drammi lirici più amati al mondo, di cui l’aspetto più lirico è la quercia dell’ultimo atto.
Una regia quasi assente. Non trasmette molto e non riesce a catturare i presenti. L’unica scena ben allestita è quella che precede l’ingresso di Carmen quando le sigarettaie vengono contenute dalla polizia. Per il resto, tutto piatto.
Nel complesso buona la gestione delle luci di Martin Gebhardt, riprese da Andrea Anfossi.
La direzione dell’Orchestra di Asher Fisch non decolla, si trascina. I passaggi tra i forti e i piani sono repentini, scelta che risulta incomprensibile. Sembravano tanti valorosi marinai, pieni di potenzialità e maestria, privi di un nocchiere e costretti ad arrancare e a frustrare ciò che realmente potevano esprimere. Abbiamo molto apprezzato due solisti. Il violoncellista Amedeo Cicchese e il flautista Nicolò Manachino, entrambi capaci di esprimere pienamente quanto voluto dal compositore francese.
Buona e compatta la performance del Coro del Teatro Regio istruito da Claudio Fenoglio, anche se la parte femminile è risultata più precisa e più interpretativamente in linea col capolavoro di Georges Bizet. Molto suggestivo il Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio G. Verdi (Carmen_Locandina).
Andando ai solisti, fra tutti si distingue Irina Lungu (Micaëla), impeccabile in ogni suo intervento. Il suo è un personaggio di carattere, consapevole e determinato. Possiede una tecnica ineccepibile e un eccellente fraseggio, e si muove con agilità nel registro acuto senza mai risultare forzata. In questo ruolo è riuscita a fondere sfumature espressive a una morbida linea di canto, dominando la partitura senza nessuna esitazione. La voce è piena e l’interpretazione ha raggiunto picchi emozionali impressionanti.
Anna Caterina Antonacci, donna di carisma e grande professionista, conosce perfettamente il personaggio di Carmen per cui è stata acclamata dalla critica in quanto capace di esprimere la carica sensuale e al contempo nichilista del ruolo. In questo allestimento, però, è risultata poco generosa e poco conturbante. Altalenante la sua presenza: a volte sinuosa, altre chiusa, quasi introiettata. L’interpretazione non sempre appare all’altezza della complessità del ruolo, crocevia di passioni. Manca a volte di energia e tale limite non viene colmato dal timbro morbido e seducente. Sicuramente l’ultimo atto è quello in cui emerge con tutta la classe che le è propria.
Buona la prova di Dmytro Popov nei panni di Don José sia dal punto di vista vocale sia scenico. Si contraddistingue per una grande verve drammatica che riesce ben ad alternare a un puro lirismo. Tonante il volume e rotonda la vocalità sono caratteristiche che gli consentono di ben rendere il protagonista maschile dell’opera di Bizet.
Convincente Vito Priante che ha reso Escamillo un elegante e signorile torero. Notevoli qualità vocali, nonostante deficitario in potenza ma importante presenza scenica.
Buone le performance vocali di Anna Maria Sarra (Frasquita) e di Lorena Scarlata Rizzo (Mercédès) anche se soprattutto la seconda non sempre precisa nelle semplici coreografie in cui era coinvolta con Carmen.
Hanno completato il cast i baritoni Paolo Maria Orecchia (il Dancaïre), Ricardo Crampton (Moralès), il tenore Luca Casalin (il Remendado), il basso Luca Tittoto (Zuniga) e l’attore Sax Nicosia nei panni di Lillas Pastia. Nel corso delle dieci recite, dal 22 giugno al 3 luglio, si alternano nei ruoli già specificati, Veronica Simeoni (Carmen); Roberto Aronica (Don José); Mariangela Sicilia (Micaëla), Luca Grassi (Escamillo) ed Emilio Marcucci (Moralès).
A brevissimo, il prossimo mercoledì, la prima della Stagione d’Opera 2016-2017 dell’ente lirico torinese dove vedremo in scena di nuovo Irina Lungu, stella indiscussa dell’allestimento di Carmen, stavolta nei panni di Mimì…
Annunziato Gentiluomo
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