A conclusione della prima edizione del Rendano Arena Opera Festival, giovedì 18 luglio, a Cosenza ha brillato una versione di Tosca di Puccini assolutamente all’altezza delle aspettative, in una cornice davvero impressionante, proposta dall’Associazione L’altro Teatro. Nonostante all’aperto, come diceva saggiamente Toscanini, si possa giocare solo a bocce, è doveroso premettere che eventi come questo
A conclusione della prima edizione del Rendano Arena Opera Festival, giovedì 18 luglio, a Cosenza ha brillato una versione di Tosca di Puccini assolutamente all’altezza delle aspettative, in una cornice davvero impressionante, proposta dall’Associazione L’altro Teatro.
Nonostante all’aperto, come diceva saggiamente Toscanini, si possa giocare solo a bocce, è doveroso premettere che eventi come questo risultino essere momenti di bellezza dall’alto valore educativo e sociale, capaci di attirare un pubblico più diversificato: quindi ben vengano soprattutto al Sud Italia.
La direzione artistica di Luigi Travaglio ha imbastito un team di notevole valore che ha reso omaggio al grande compositore toscano.
Travaglio inoltre ha curato la regia dello spettacolo di cui abbiamo apprezzato l’assoluta aderenza al libretto, gli ingressi in scena, la gestione non semplice degli spazi, precisamente in un palcoscenico di dimensioni ridotte per movimentare masse come quelle previste dall’opera pucciniana, e la caratterizzazione dei personaggi. Ingegnosa la risoluzione del corteo del Te Deum del I atto per cui ricorre al semplice e composto dare le spalle al pubblico di tutti gli attori in scena e molto ben curato il festoso ingresso del coro delle voci bianche che interagiscono col Sagrestano sempre nel I atto.
I bellissimi video di Leandro Summo hanno arricchito con gusto la scena che per limiti di spazio è risultata piuttosto spoglia. Non abbiamo compreso il cambio troppo repentino delle immagini nonostante alcune dal valore più simbolico e intimista: forse così si voleva tratteggiare non solo lo spazio fisico, ma anche quello interiore.
Ci saremmo aspettati per la messinscena una maggiore profondità data dalle luci mentre si sono effettivamente riscontrati dei problemi all’audio che hanno messo in difficoltà i cantanti.
Dignitosi i costumi della Sartoria Shangrillà e discreto il trucco e il parrucco firmato dalla Moema Accademy: le mani di Floria Tosca dopo l’uccisione di Scarpia non sono neanche insanguinate.
Uno dei grandi protagonisti della serata è stato il direttore Giancarlo Rizzi che da abile e sagace nocchiero guida con precisione i superbi maestri dell’Orchestra Sinfonica Brutia che si è distinta per l’equilibrio e la ricercatezza dei suoni. La lettura dell’opera di Rizzi è stata appassionata e vivace, tratteggiando con ritmi differenti – più sostenuti a volte e più ampi e rilassati altri – la partitura, coordinando la buca e cantanti con maestria e a vero sostegno di questi ultimi.
Buone si confermano le prove del Coro Lirico F. Cilea diretto dal maestro Bruno Tirotta e del Piccolo Coro del Teatro A. Rendano istruito da Maria Carmela Ranieri, formazioni vocali entrambe compatte e coese.
Non è certo facile valutare la performance dei solisti per i limiti acustici succitati e per la necessaria amplificazione richiesta dall’opera all’aperto.
Nel complesso abbiamo trovato notevole l’interpretazione di Davide Piaggio che è stato un Mario Cavaradossi in cui ben hanno dialogato l’artista, l’attivista politico e l’amante. Una vocalità rotonda ricca di armonici e ben proiettata, una valida tecnica e un fraseggio eccellente consentono al tenore di risolvere anche le spigolisità della partitura. Mentre all’inizio incerta risulta Recondita armonia, tecnicamente buona è stata l’esecuzione di E lucevan le stelle. La sua caduta nel II atto risulta però poco credibile.
Marta Mari, nonostante la bella vocalità, tratteggia Floria Tosca a volte in modo esagerato, esasperando emotivamente il vezzo e il capriccio del personaggio, e per questo non sempre controlla il proprio strumento. A volte è apparsa ingessata in scena, negandosi all’interazione visiva con gli altri artisti. Notevole l’interpretazione di Vissi d’arte, vissi d’amore: ha raggiunto nel finale un climax degno di una grande artista. Nell’ultimo atto appare però stanca e meno presente.
Carlos Almaguer è stato uno Scarpia diabolico e strategico, capace di incarnare il politico senza scrupoli davanti a cui tremava tutta Roma. Dotato di una voce pastosa e profonda, e di grande tecnica, usa con consapevolezza il suo strumento, nonostante qualche imprecisione soprattutto nel I atto.
Cesare Filiberto Tenuta veste con gusto e attenzione i panni di Angelotti, caratterizzandosi per una voce cavernosa e potente, una convincente verve scenica e un ottimo fraseggio.
Il Sagrestano è reso con leggerezza da Laurent Kubla, dotato di una buona vocalità, ottima mimica facciale e grande espressività corporea. Non convince completamente però il duetto con Piaggio (Mario) che veniva quasi coperto.
Il pastorello è stato reso con leggiadria da Benedetta Pienelli, non sempre capace di sostenere perfettamente il suono.
Emanuele Campilongo, nei panni di Spoletta, nonostante una voce ben proiettata, non appare sempre preciso sia vocalmente sia ritmicamente.
Francesco Laino veste, con compostezza e attenzione, tanto scenicamente quanto vocalmente, i panni di Sciarrone.
Totalmente distratto, impreciso e disintonato Alessandro Skanderbeg, il Carceriere.
Nel complesso un bello spettacolo, con delle punte di intensità significative, dalla musica trascinante, un importante contributo alla celebrazione del centenario della morte di Puccini che ha richiesto l’attenzione e la partecipazione di un pubblico numeroso e molto caloroso…
Annunziato Gentiluomo
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