Mentre sfumavano le note degli ultimi brani del concerto di Paolo Conte al Teatro Alfieri di Torino ho trovato una parola, un aggettivo che descriveva perfettamente ciò che era stato per me. Onirico, sì onirico. Un sogno, “un sogno fortissimo” per usare le parole dello stesso Conte. L’Alfieri pieno, un pubblico caldo, nonostante non fosse
Mentre sfumavano le note degli ultimi brani del concerto di Paolo Conte al Teatro Alfieri di Torino ho trovato una parola, un aggettivo che descriveva perfettamente ciò che era stato per me. Onirico, sì onirico. Un sogno, “un sogno fortissimo” per usare le parole dello stesso Conte.
L’Alfieri pieno, un pubblico caldo, nonostante non fosse una platea di ragazzini, ma l’avvocato di Asti ha i suoi affezionati che si porta dietro da una vita ormai, e non è un tipo facile, musicalmente parlando. A mettere in chiaro che cosa sarebbe stato il concerto ci ha pensato la seconda canzone suonata, “Sotto le stelle del jazz”. Le stelle brillavano nel cielo sopra Torino, ma quelle del jazz erano tutte su quel palcoscenico. Dieci musicisti di livello straordinario, come d’abitudine, polistrumentisti in grado di occupare la scena stando al fianco di un Conte che non perde il suo smalto, a dispetto degli anni che indubbiamente passano.
Poche parole, anzi in realtà proprio nessuna, se non le presentazioni dei suoi musicisti, sparse qua e là durante tutta la durata dello spettacolo, comunque presentazioni che si limitavano a dirne i nomi. Il resto è stato solo musica, in un crescendo che a un certo punto sembrava trascendere il tempo, forse anche lo spazio. Io lo ascoltavo dal vivo per la prima volta, le amiche che erano con me lo avevano visto molti anni fa, e l’emozione era tanta, per tutte. Per una di noi, però, c’era un qualcosa di più, condividere con l’Avvocato le origini: Asti, Corso Dante, le strade che dalla Langa astigiana portano verso la Liguria (“Genova per noi”), verso il mare. Pezzi di storia tramandata da conoscenti e amici, le citazioni ermetiche di alcune canzoni…
Certi capivano il jazz,
l’argenteria spariva
ladri di stelle e di jazz
così eravamo noi
così eravamo noi
Jazz anche nelle parole, che spesso sembrano funzione della musica, nell’incastrarsi con i suoni, con i tempi, parole allusive, evocative di mondi piccolissimi o grandissimi, di viaggi, di paesaggi esotici e lontani che si materializzano nella descrizione di profumi e sensazioni.
La scaletta scelta per il concerto di Torino è stata un volo planato sulla storia musicale di Paolo Conte, tanti successi storici che hanno scaldato ed emozionato il pubblico, noi comprese. Da “Sotto le stelle del Jazz” a “Vieni via con me”, e poi “Aguaplano”, “Alle prese con una verde milonga”, “Un gioco d’azzardo”, “Max”, “Chic et charme”, con alcune incursioni nel nuovo album (“Argentina”, “Snob”, “Si sposa l’Africa”, “Incontro”, “Tropical”).
“Gli impermeabili” valeva da sola il prezzo del biglietto, davvero, con il violino di Gianpiero Rosso e con il sax di Claudio Chiara nel finale, ma anche “Diavolo Rosso” è stata da brividi, lunghissima, con le chitarre impazzite di Daniele dall’Omo, Luca Enipeo e Nunzio Barbieri.
Quando il sogno è finito davvero nessuna aveva voglia di andarsene, perciò abbiamo lasciato i nostri posti ma dopo pochi passi, vedendo la gente in piedi che defluiva piano verso l’uscita, ci siamo risedute, poco più avanti. Siamo rimaste ad aspettare, notando un gruppo di persone di mezza età e oltre, con ogni probabilità di Asti, che volevano salutare Paolo Conte a tutti i costi. Sembrava non ci fossero molte speranze, e in verità non si capiva cosa stessero confabulando tra di loro e con le ragazze addette alla sala. Fatto sta che a un certo punto ci hanno invitate espressamente a lasciare il teatro, e una volta fuori – sorpresa! – abbiamo scoperto che Conte stava ricevendo i fan. Ci siamo messe in coda anche noi e alla fine ci siamo riuscite. La stretta di mano, l’autografo, guardarsi come a dirsi “hey, ma sta succedendo davvero?!”, ringraziarlo per il concerto e sentirsi rispondere “Ma grazie a voi!”.
E di cosa, Avvocato?
Uscite dall’Alfieri, non c’era più nulla di reale. Non c’era il sonno nemmeno a pagarlo oro. Abbiamo cercato un bar che ci servisse qualcosa da bere, continuando a parlare del concerto, felici di esserci fatte il regalo più bello: condividere un’emozione. Un’emozione che non dimenticheremo facilmente. Per un attimo, ho sperato che potesse ricominciare tutto da capo… così, “come in un rendez-vous” …
Chiara Trompetto
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