Ieri, 3 giugno, al Teatro Regio di Torino, la prima del Faust di Charles Gounod, il più celebre grand-opéra del repertorio francese, su libretto di Jules Barbier e Michel Carré, tratto dall’omonimo poema di Goethe. Una versione semplicemente sensazionale, curata nel minimo dettaglio sia nella direzione musicale, sia nella regia. Uno spettacolo centrato sul simbolismo che permette a Stefano Poda
Ieri, 3 giugno, al Teatro Regio di Torino, la prima del Faust di Charles Gounod, il più celebre grand-opéra del repertorio francese, su libretto di Jules Barbier e Michel Carré, tratto dall’omonimo poema di Goethe.
Una versione semplicemente sensazionale, curata nel minimo dettaglio sia nella direzione musicale, sia nella regia.
Uno spettacolo centrato sul simbolismo che permette a Stefano Poda di mostrare un mosaico umano ricco e inquietante, che solo alla fine trova senso eterno. In primis, va evidenziato l’enorme anello che occupa la scena, come se fosse un monolite arcaico. Allegoria della vita stessa, svolge diverse funzioni metaforiche e sceniche: l’inesorabilità del tempo che scorre e che non torna indietro; l’ineluttabilità di alcune scelte per cui non vi è ritorno; il giuramento coniugale; l’impegno devozionale con Dio; il buco nero della perdizione; l’inseguirsi reciproco di contemplazione e azione; il rincorrersi di cielo e terra; la stanza di Marguerite; il regno di Mefistofele; il calderone delle anime dannate; il confine tra un dentro e un fuori. Quest’ultima la prima dicotomia delle tante presenti nel libretto e nella versione di Poda. Le si affiancano: vita vs morte; Dio vs Satana; la croce cristiana vs la croce al contrario di matrice demoniaca; angeli vs demoni; Valentin vs Faust, luce vs tenebre; verità vs menzogna; libertà vs prigionia; maledizione vs preghiera; perdizione vs salvezza; purezza vs perversione. Tutti aspetti che tratteggiano, in un caleidoscopio di immagini forti e dinamiche, un viaggio attraverso le tappe dello spirito in cui tutti possono riconoscersi, caratterizzando l’opera in modo marcatamente catartico.
Sicuramente interessanti anche altre scelte registiche, e tra quelle che ci hanno colpito maggiormente: la scritta in tedesco sul mantello (Se si possiede il diritto, si possiede anche il potere) per riprendere l’opera di Goethe; i palloncini, leggeri come l’anima, che vengono scoppiati da Mefistofele a sottolineare la supremazia di quest’ultimo e il suo intento di soggiogare più anime possibili; gli ombrelli che devono riparare dalla pioggia, ma che, a nostro avviso, diventano scudi per difendersi dalle brutture che stanno avvenendo in scena. E poi il gioco di braccia nel primo atto, preposto a creare un movimento ondoso e atto a testimoniare la responsabilità del singolo rispetto al tutto, al gruppo, alla società in cui si viene a trovare. Gli errori o le mancanze dell’individuo hanno delle ripercussioni su altri a lui vicini, condizionandone, a volte profondamente, l’evoluzione. La riproduzione del carrello della produzione in serie realizzata con i ballerini nell’ultimo atto, ad esprimere il mercato delle anime dei dannati che veniva portato alla mercé di Satana al quale bisogna prostrarsi e obbedire. Nell’ultimo atto la regnatela di Mefistofele che poi Marguerite riesce a distruggere grazie alla sua fede che la redime e la salva. E, in fine, negli ultimi minuti la rappresentazione della resurrezione, della possibilità di liberarsi del gioco dei dannati e del samsara, il ciclo di nascite e morti: il cerchio, infatti, mostra una feritoia luminosa e in lontananza viene realizzato un altro cerchio più piccolo. Quest’ultimo è un elemento di perfezione che richiama Dio, collocato dentro una struttura che ricorda il Santo sepolcro, proprio dopo l’uscita di Cristo.
Il lavoro sinergico con Gianadrea Noseda è stato impressionante. Il direttore è riuscito a rendere in modo sublime questa densa partitura da lui considerata equilibrata e velata da un ordine che riesce solo nelle mani di pochi compositori. L’Orchestra del Teatro Regio, che ha dato prova di precisione e grande finezza artistica, seguiva gli attenti movimenti partecipati della bacchetta di Noseda che dal podio viveva la trasformazione di Faust e l’evoluzione della partitura dalla conclusione travolgente. Ci sembra doveroso sottolineare il brioso valzer del ballo nel II atto che ritorna anche nel V per rievocare l’incontro tra Faust e Marguerite; il suono del tam tam ricorrente per introdurre l’immediata tragicità che subito dopo si va consumandosi in scena; e il ricorso alla sesta napoletana, caratteristica inconsueta per i compositori francesi, elementi ben resi dall’orchestra del Regio.
Un cast unico per il Faust di Gounod, un cast assolutamente all’altezza e capace di inserirsi in modo più che opportuno nella magia creata dalla coppia Noseda-Poda.
Charles Castronovo (dottor Faust), dal timbro morbido e lucente, si è distinto per un intenso scavo psicologico del personaggio del titolo che è riuscito a coniugare con una estrema eleganza nella linea di canto e nella verve attoriale.
Ildar Abdrazakov, dotato di un possente timbro brunito e sostenuto da una grande presenza scenica, è riuscito a costruire un Méphistophélès sfaccettato, raggiungendo un perfetto equilibrio tra demoniaco e grottesco. Il suo è un personaggio che cresce, si evolve e sfoggia tutta la sua potenza negli ultimi atti.
Accorata la performance di Irina Lungu che, dotata di un timbro fresco e delicato, è riuscita a rendere, in modo ineccepibile, la grande espressività del complesso personaggio della fragile e tenera Marguerite, che grazie alla fede dimostrerà nella conclusione tutta la sua forza interiore.
Abbiamo goduto della notevole presenza del baritono Vasilij Ladjuk nei panni di Valentin, che ci ha convinto, fin dal suo possente ingresso in scena, per la vocalità rotonda, piena, luminosa, con tratti tenorili, che abbiamo trovato perfetta per il ruolo del paladino della giustizia e della cristianità.
Abbiamo apprezzato sia scenicamente sia vocalmente anche il mezzosoprano Ketevan Kemoklidze (Siebel), il mezzosoprano Samantha Korbey (Marthe) e il baritono Paolo Maria Orecchia (Wagner).
Eccellenti le performance del Coro del Teatro Regio che svolge un ruolo fondamentale nell’opera. Si è distinto sia nei momenti di insieme sia quando si richiedevano momenti solo maschili e solo femminili. Grande e preciso è stato il lavoro del Maestro del Coro Claudio Fenoglio.
Notevoli le performance dei mimi e meravigliose le coreografie dell’ultimo atto: energia pura, una perfetta rappresentazione della schiavitù degli inferi. Danzavano con vigore, riproducendo anche micro-battaglie per un ruolo agli occhi di Mefistofele che le dirigeva o che era colui a cui erano dirette.
In sintesi, Poda è riuscito nel suo intento: ha offerto al pubblico una lente con cui mettere a fuoco questo capolavoro e viverlo pienamente.
Una conclusione di Stagione, se escludiamo le quattro opere che si succederanno tra luglio e agosto per l’EXPO, veramente impressionante e che ha lasciato tutti senza fiato, consci di aver assistito a un grande spettacolo.
Annunziato Gentiluomo
[Fonti delle immagini: upload.wikimedia.org (copertina), gianandreanoseda, stefanopoda.com, charlescastronovo.com, operamagazine.nl, bach-cantatas.com]
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