Arriva a Bologna il Riccardo III di Massimo Ranieri, la nuova sfida teatrale dello scugnizzo napoletano. Due giorni (1-2 novembre) e copiosi applausi per la mise en scène del dramma storico shakespeariano al Teatro EuropAuditorium di Bologna Fiere: uno spettacolo imponente (diciotto attori in scena) per l’adattamento contemporaneo di una tra le più lunghe pièce del
Arriva a Bologna il Riccardo III di Massimo Ranieri, la nuova sfida teatrale dello scugnizzo napoletano.
Due giorni (1-2 novembre) e copiosi applausi per la mise en scène del dramma storico shakespeariano al Teatro EuropAuditorium di Bologna Fiere: uno spettacolo imponente (diciotto attori in scena) per l’adattamento contemporaneo di una tra le più lunghe pièce del drammaturgo del Globe, seconda solo a Hamlet.
Un personaggio a dir poco impegnativo poi, quello con cui si cimenta Ranieri: in un’opera che, dal suo primo interprete, il londinese Richard Burbage, è stata banco di prova per i grandi artisti del ’900, da Laurence Olivier a Carmelo Bene.
L’allestimento, che nasce sulla traduzione e l’adattamento di Masolino D’Amico, uno dei massimi anglisti al mondo, vede la regia dello stesso Ranieri, con associata quella di Roberto Bani, ma soprattutto gode delle musiche del maestro Morricone. Sulla scena poi, creata da Lorenzo Cutrili, oltre a Ranieri, ci sono Paolo Lorimer, Carla Cassola, Margherita Di Rauso, Giulio Forges Davanzati, Federica Vincenti, tra i volti noti.
“Anche Morricone – svela il poliedrico performer napoletano – mi ha dato dell’incosciente. Ma sei non sei incosciente non puoi fare questo mestiere: è un ruolo con cui prima o poi ti devi scontrare”. Da questo “scontro”, allora, trae origine uno spettacolo che, quasi bianco e nero a colori, noir “inquietante ma accogliente” (forse più di quanto Shakespeare avrebbe pensato), porta in scena la storia dell’ultimo monarca di casa York che, erede dei dissapori (post-guerra delle due Rose) bollati Lancaster, è destinato alla sconfitta, per mano di Enrico Tudor (futuro Enrico VII), nella Battaglia di Bosworth Field, dopo poco più due anni di reggenza (1583-85). In realtà, le indagini storiche ne consegnano un ritratto piuttosto differente da quello tracciato dal drammaturgo. Ma del resto, per il teatro shakespeariano si sa, nothing is, but what is not?
L’adattamento, firmato da un esperto in materia, il già citato D’Amico, prevede un taglio fondamentale. Viene censurata una delle scene più importanti del testo shakespeariano, quella del sogno precedente la battaglia in cui Shakespeare tenta di umanizzare l’infimo re Riccardo, mostrandone dialetticamente paure e insicurezze, e sottraendosi dunque a un’univoca tipizzazione negativa: è soltanto evocata. Una scelta questa, più che coraggiosa.
La risposta, però, può esser semplice, logica: quello che Shakespeare fa in più di quattro ore, Ranieri lo condensa in una pièce poco più lunga di due. E ci riesce, più o meno.
Forse più che in ogni altra opera di Shakespeare, si sa come il pubblico del Riccardo III provi una relazione complessa, ambigua, variabile con il protagonista. È vero, Riccardo è malvagio, e lo dimostra molto chiaramente sin dal discorso iniziale; ma, nonostante la sua aperta fedeltà al male, è un uomo così carismatico, vero prince charming, che, per quasi tutta l’opera, si simpatizza per lui, si viene impressionati, almeno.
Mettere in scena il male assoluto, l’odio cui conduce la sete di potere, un’intensa “psicologia del male”: è questo quello in cui riuscì il drammaturgo inglese. Traguardo (beninteso, difficile da eguagliare) che il buon Massimo non sembra esser riuscito tagliare, con una perfomance in cui terrore, alterità, ambiguità del monstrum Riccardo si piegano (forse troppo spesso) al sorriso comico, al bozzettismo, alla macchietta: basti pensare alla scena, che strizza l’occhi alle commedie del mito De Filippo, del “libro di preghiere“. Un aspetto, quello di wit e humour, che in Shakespeare è presente, è vero; ma non così tanto.
Tra le note positive costumi e scenografia, sapientemente accostati in modo più che originale, ai limiti del kitsch. Se la scena, mastodontica e (a ben vedere) costosa – un cilindro nero che si apre e si chiude, quasi a costituire un porticato circolare – riprende la fosca ambientazione inglese quattro-cinquecentesca; i costumi invece, curati da Nanà Cecchi, non lo fanno. Quasi gangster anni ’30, gli attori, ad eccezione del re e delle dame, indossano eleganti abiti rigorosamente neri che, per l’abuso che se ne fa, appaiono fumanti di sigarette. Come non pensare poi al disagio che ti assale all’ascolto di uno dei bravi di Raccordo, disinvolto nello sfoggiare un’abbastanza fedele parlata cinquecentesca con pistola in mano: altro che nodi al collo. Il tutto poi, accompagnato dalle percussioni tra il lamento funebre e la marcia militare firmate Morricone.
Più che dramma storico dunque, quello del napoletano è un dramma sociale, “politico”, forse più di quello di Shakespeare. Ed è il regista stesso ad ammetterlo, laddove spiega come “ho intravisto nel testo di Shakespeare, sin dalla prima lettura, aldilà del dramma, un groviglio di situazioni politiche. Così l’ho riferito ai giorni d’oggi, come odierno intrigo politico”. Parola d’ordine insomma, contaminazione, novità, attualità.
Sfortunatamente però ciò che resta è un Ranieri che non riesce a far rivivere davvero, fino in fondo Riccardo.
La traduzione pop di un classico non riuscita fino in fondo. Non completamente se stesso, né compiutamente Riccardo, Massimo Ranieri rimane in un limbo teatrale. Memore forse della lezione di Strehler e dello straniamento brechtiano, si ferma a metà: teatro politico o reviviscenza, Brecht o Stanislavskij. È qui il bivio a cui si ferma Ranieri, a riposare forse.
Insomma: una grande sfida a se stesso, quella di Ranieri, che può dirsi riuscita, anche se non a pieni voti. Un ruolo che prima o poi tutti i grandi attori devono affrontare – è vero. Ormai, però, Massimo è un attore troppo grande. Proprio per questo l’attesa era per quel quid in più: il tocco del maestro nel declinare, far rivivere un classico, ricreandolo e superando la dovuta ed eterna reverenza che si deve e si dovrà al Bardo di Avon.
Come il suo Riccardo , Massimo Ranieri è caduto da cavallo. Si è già rialzato però.
Giuseppe Parasporo
[Fonti delle immagini: www.teatroeuropa.it; www.engolo.com (copertina); Giuseppe Parasporo ph]
Leave a Comment
Your email address will not be published. Required fields are marked with *