Nonostante una location angusta e stretta (la tavernetta del bello spazio aereo Acquario Studios) e una presentazione “ingombrante”, la serata del 7 novembre è stata stimolante, interessante e altamente formativa. Al centro dello spettacolo Ubbikaai: la madre Muerte vi è stata la narrazione e la magia che questa crea, una narrazione al di là del tempo
Nonostante una location angusta e stretta (la tavernetta del bello spazio aereo Acquario Studios) e una presentazione “ingombrante”, la serata del 7 novembre è stata stimolante, interessante e altamente formativa. Al centro dello spettacolo Ubbikaai: la madre Muerte vi è stata la narrazione e la magia che questa crea, una narrazione al di là del tempo e dello spazio che accarezza il cuore e fai riflettere.
L’antropologo Marco Pollarolo, nei panni di un Griot, ha fatto fare agli accorsi il giro del mondo, toccando la Galizia, il Senegal, il Messico e il Sud America, e ricostruendo, attraverso le storie centrate sul tema esistenziale della morte, vissuti, tradizioni e cosmologie sempre attuali. Il suo corpo e la sua voce erano interamente orientate a offrirsi ai presenti, realizzando pienamente il senso etimologico del termine relazione, che significa proprio portare qualcosa di sé all’altro (dal verbo latino referre, infatti).
La serata, ben orchestrata e ben ritmata, ha contato sulla speciale presenza del videoartista Stefano Giorgi, di una purezza angelica, che ha creato, nella sua cappelliera, scenografie mozzafiato, immagini che prendevano corpo e davano profondità al racconto di Pollarolo, tratteggiandolo e rendendolo tridimensionale. Anche la musica ha giocato un ruolo fondamentale, rendendo lo spettacolo multimediale e immersivo. Mentre il tutto si consumava davanti una valigia di ricordi, con qualche foto di anni fa, si è ragionato sulla parola e su quanto questa contribuisca a creare ponti, su come oggi la morte sia ancora un tabù, sui diversi colori che la rappresentano e su quanto sia necessario recuperarne la celebrazione. Una danza di simboli capace di sfiorare la parte essenziale di ciascuno, codici universali che bypassano le differenze di un pubblico, ipnotizzato da quel caleidoscopio di forme artistiche.
In sintesi, in un’atmosfera surreale, senza tempo, si è celebrata, in un’ora, l’esistenza cantando la morte, oggi più che mai deturpata, e consentendo agli spettatori, senza filtri, di entrarvi dentro riconoscendola come sorella, come madre, come compagna e soprattutto come necessaria. Uno spettacolo, dunque, balsamo per l’anima e nutrimento per mente e cuore.
Annunziato Gentiluomo
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