Turandot, il testamento di Giacomo Puccini, in scena al Teatro Carlo Felice di Genova dal 16 al 21 giugno 2017, è anche la sua opera più innovativa e all’avanguardia nel teatro musicale europeo del tempo. Una fiaba cinese, argomento curioso e inedito, che i librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni trassero dall’omonima fiaba teatrale di
Turandot, il testamento di Giacomo Puccini, in scena al Teatro Carlo Felice di Genova dal 16 al 21 giugno 2017, è anche la sua opera più innovativa e all’avanguardia nel teatro musicale europeo del tempo. Una fiaba cinese, argomento curioso e inedito, che i librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni trassero dall’omonima fiaba teatrale di Carlo Gozzi (1762), con protagonista non una donna reale, ma una principessa dispensatrice di morte per gran parte dell’opera. La sua bellezza uccide: chi vuole averla in sposa non solo deve essere di stirpe nobile, ma risolvere tre enigmi che lei propone al pretendente. Chi sbaglia viene decapitato, come il giovane principe di Persia. Un altro principe è appena giunto a Pechino, Calaf, in incognito perché è un principe spodestato e perseguitato. Qui ritrova il vecchio padre, il re Timur, accompagnato dalla fedele schiava Liù, da sempre innamorata di Calaf. Il principe ignoto resta ammaliato da Turandot e si candida alla prova degli enigmi. Li risolve, ma Turandot si rifiuta di tenere fede al giuramento; Calaf, generosamente, le offre una via d’uscita: se prima dell’alba Turandot riuscirà a scoprire il suo nome, Calaf rinuncerà al diritto di sposarla e si farà giustiziare. Tutto andrà come deve andare nelle fiabe: Turandot e Calaf si sposeranno e vivranno felici e contenti. Ma è un lieto fine accompagnato da un alone di tragicità: l’innocente Liù, torturata perché rivelasse il nome del principe, si è sacrificata. E con la sua scomparsa finisce anche la musica composta da Puccini, che lasciò l’opera incompiuta. La scena conclusiva delle nozze, infatti, è stata completata da Franco Alfano. L’ultima rappresentazione della Turandot al teatro ligure risale alla stagione 2012/2013, e ora la principessa di ghiaccio ritorna in scena con l’allestimento di Giuliano Montaldo che, creato nel 1993, inaugura la sua quinta replica a Genova. Sontuosa e monumentale, la scena trabocca di effetti, cattura lo sguardo e irretisce: le due regali scalinate che salgono alla sommità del palazzo, il gong in primo piano, il popolo avido e sgomento addensato alle mura, le tuniche pastello dei bambini nella cupa processione, la veste sfavillante del Principe di Persia condannato alla sciabola di Pu-Tin-Pao, l’oro, le vesti, le gemme, lo scintillio dell’accecante lama portatrice di morte. Horror vacui, forte, denso, pregnante. L’impianto scenico è tradizionale e molto funzionale, sempre attuale e in grado di reggere allo scorrere del tempo. La ripresa della regia è curata da Fausto Cosentino, mentre le scene, ideate da Luciano Ricceri, evocano l’ambientazione orientale con semplicità di mezzi. Sovrasta la scena la fastosa e imponente reggia di Pekino, una struttura su tre livelli molto singolare. Sullo sfondo un susseguirsi di proiezioni video riscaldano e ravvivano l’atmosfera di corte. Raffinati i costumi di Elisabetta Montaldo, curate le coreografie di Giovanni di Cicco e di grande effetto le luci di Luciano Novelli. Apprezzabili l’Orchestra e il Coro del Teatro Carlo Felice di Genova, come pure il Coro di voci bianche, guidato da Gino Tanasini. Giuseppe Acquaviva, direttore artistico del teatro genovese, ha diretto con maestrìa il comparto strumentale e vocale, trasfondendo nei musicisti la sua passione e la sua energia, senza mai perdere di vista la coesione e il dialogo tra buca e palcoscenico. Applausi e merito alle voci maschili, convincenti e ben interpretate: la chiara e nitida emissione vocale, molto sicura nella gestione degli acuti, la cura nel fraseggio e la raffinatezza di Mario Malagnini (Calaf) sono assolutamente da segnalare e apprezzare. Mùihailo Šljivić (Timur) si distingue per la sua notevole presenza vocale, discreta l’esecuzione musicale. Vincenzo Taormina (Ping) piace per la sua presenza scenica allegra, leggera e spiritosa e la vocalità plasmabile molto adatta alla parte che interpreta. Interessante anche la prova di Blagoj Nacoski (Pang) e di Marcello Nardis (Pong), che completano il simpatico e coreografico terzetto dei buffi. Non meno degne di nota le parti di Max René Cosotti (Altoum) e Alessio Cacciamanni (mandarino) per la loro interpretazione, precisione, professionalità e significativa presenza scenica. Grande apprezzamento per le voci femminili. Si distingue fra di esse Maria Teresa Leva (Liù) per il sorprendente volume e l’indiscutibile bravura nella gestione del fiato, ben impostata nonostante la giovane età dell’interprete. Conclude la rassegna Giovanna Casolla che si conferma interprete di assoluto riferimento nella recita, sorprendente per la sua longevità vocale e per la sua forza espressiva ricca di pathos.
Odette Alloati
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