Oggi i nostri riflettori sono puntati su Stefania Salvai, una musicista con eccellenti doti di insegnante. Il suo strumento è il pianoforte e si dedica sia alla musica da camera, sia al repertorio per pianoforte a 4 mani e 2 pianoforti. Diversi sono stati i duo con violoncellisti e clarinettisti, anche se spesso si è
Oggi i nostri riflettori sono puntati su Stefania Salvai, una musicista con eccellenti doti di insegnante. Il suo strumento è il pianoforte e si dedica sia alla musica da camera, sia al repertorio per pianoforte a 4 mani e 2 pianoforti. Diversi sono stati i duo con violoncellisti e clarinettisti, anche se spesso si è esibita come solista.
Vediamo cosa ci racconta…
In primis, può parlarci del suo percorso di formazione? Com’è nata la passione per la musica?
So di aver avuto un nonno dalla straordinaria voce tenorile e che molto probabilmente duettò con Beniamino Gigli, purtroppo però le tristi circostanze legate agli strascichi della Seconda Guerra Mondiale non gli permisero di far fruttare il suo talento.
Quando ero molto piccola mio padre, agguerrito melomane, acquistò un antico verticale, uno di quegli splendidi esemplari d’antiquariato coi candelabri e i tasti d’avorio. Insomma, tutto iniziò di lì, dal desiderio di produrre suoni, melodie.
All’età di sei anni i miei genitori mi affidarono a un’insegnante con cui intrapresi il mio percorso e dopo un anno iniziai a vincere i miei primi concorsi. Arrivarono poi gli esami in Conservatorio, i Concerti e le indimenticabili esperienze vissute nelle Accademie e durante Corsi di perfezionamento dove per una settimana intera si suonava tutto il giorno, ci si sottoponeva alle lezioni dei Maestri e la sera ci si esibiva in concerto. L’effetto era davvero inebriante. Si viveva di sola musica.
Ho avuto la fortuna di procedere attraverso un percorso vario e sfaccettato sperimentando formazioni di diverso tipo, non riuscirei a immaginare il pianoforte soltanto come strumento solista. Naturalmente ho sempre affiancato l’aspetto artistico a quello didattico, due tasselli indissolubili nella mia formazione.
Quali sono stati i maestri che hanno rappresentato una svolta nel suo percorso artistico?
Tutti gli insegnanti e i Maestri che ho frequentato mi hanno lasciato segni indelebili e il mio modo di intendere la musica é il risultato di un processo di maturazione che é passato attraverso le loro critiche, i loro giudizi, la loro prospettiva anche quando questa era diametralmente opposta alla mia. Rimango particolarmente affezionata alla mia prima insegnante che aveva una “verve” straordinaria e anche solo con quella riusciva a ottenere dagli allievi risultati interpretativi sorprendenti.
Con un pizzico di nostalgia, ricordo spesso il Maestro Mika che per me continua ad essere il migliore interprete delle “Mazurke” di Chopin oltre che grande didatta. Vorrei ritornare indietro nel tempo per godermi ancora qualche sua lezione. Con la stessa ammirazione penso spesso agli insegnamenti tecnici del Maestro Bollea, alla continua e spasmodica ricerca del movimento ideale della falangetta piuttosto che del polso al fine di ottenere un suono adeguato a quel passaggio, a quel pezzo o a quello stile. Ricordo lucidamente le impegnative lezioni affrontate con lo storico Trio di Trieste e in particolare con Dario De Rosa.
La vera svolta però avvenne il giorno in cui decisi di essere indipendente e di eseguire un intero concerto senza consigli tecnico- interpretativi dettati dall’alto, ma seguendo il mio istinto e basandomi sulle mie capacità.
Nel 2012 ha inciso un cd di pezzi originali di Banchio pubblicato da Eufonia e disponibile nei negozi di musica su territorio nazionale. Ci può parlare della genesi di questo progetto?
Sulla genesi di “Il bianco e il nero” bisognerebbe chiedere notizie al compositore. Io ho lavorato sull’interpretazione dei brani anche se poi si è optato per un’incisione piana e piuttosto neutra al fine di avvicinare i giovani pianisti ad un’esecuzione che non fosse inarrivabile. È un bella raccolta contenente pezzi di stili differenti alcuni dei quali anche molto graziosi e utilizzabili come bis a fine concerto, ad esempio.
A questo punto se Le chiedessi, passati tre anni dalla pubblicazione, una valutazione critica del prodotto finale dell’incisione, cosa mi direbbe?
Credo rivaluterei l’idea di lasciare un’impronta interpretativa decisamente più marcata.
Sappiamo che nel 2010 è stata una delle relatrici a WORK TO WORK, evento organizzato dal Museo di Arte Contemporanea En Plein Air. In quell’occasione ha trattato il tema della musica futurista. Potrebbe spiegarci quali sono i caratteri principali di questo tipo di musica?
L’intervento nell’ambito del progetto WORK TO WORK è stato molto formativo e interessante. Ad eccezione dell’anno in cui si è celebrato il centenario, di questo Manifesto musicale non si parla quasi mai.
La musica futurista è il frutto di una ricerca che avrebbe dovuto portare alla scoperta di un nuovo linguaggio. Nasce dalla volontà di un gruppo di artisti dall’ideologia decisamente discutibile, che spera di sovvertire gli accademismi e le regole pesanti che caratterizzano da troppo tempo l’insegnamento tradizionale nei Conservatori. L’idea di prendere in considerazione quello scarto minimo che passa tra una vibrazione regolare/suono e una irregolare/rumore è senz’altro rivoluzionaria. Perché il suono dev’essere necessariamente bello? Perché dovremmo emozionarci solo attraverso le vibrazioni regolari? In fondo il rumore è solo l´altra faccia della stessa medaglia. E ancora, perché non rappresentare una musica che racconti la quotidianità più spiccia, quella del traffico cittadino, del suono dei clacson, delle industrie in attività, del chiacchiericcio per strada? Il pittore Russolo inventò addirittura nuovi strumenti chiamati Intonarumori e Rumorarmonio, tutte invenzioni che non ebbero un seguito purtroppo, ma che diedero l’avvio a numerosi altri tipi di sperimentazioni sonore quali appunto la musica concreta, la musica stocastica, o spettrale tanto per ricordarne alcune. Francesco Pratella presentò il “Manifesto dei Musicisti futuristi” e “La musica futurista-Manifesto tecnico” caratterizzati da toni molto simili a quelli del Manifesto di Marinetti. I futuristi hanno in qualche modo predetto quello che avremmo vissuto noi oggi col pieno utilizzo delle macchine: un’esistenza sempre più frenetica. Utilizziamo l’ascensore per fare più in fretta, ci spostiamo con l’auto così arriviamo prima, usiamo il frullatore per impiegare meno tempo a cucinare e il tempo che illusoriamente avanziamo, non lo usiamo per vivere, ma per dedicarci ad un’ulteriore cosa inutile. Quest’idea della velocità/meccanicità è ben rappresentata dalla schiera di compositori che aderirono al movimento: tra i più noti Antheil col suo “Ballet mecanique“, ma sono esperimenti interessanti anche la “Fonderia” di Mosolov, varie composizioni di Alfredo Casella per non parlare poi delle ricerche sonore più estreme come il “Risveglio di una città” di Russolo o “L’aviatore Dro” di Pratella.
I tempi di oggi per un musicista sono…
Qualsiasi epoca per un musicista può essere difficile. Credo si tratti piuttosto di una questione di equilibrio tra compromessi e libertà. Compositori come Bach, Händel in parte ancora Mozart, scendevano in continuazione a compromessi col datore di lavoro che dettava le regole. Si componeva ciò che serviva entro i tempi richiesti e secondo certi schemi, tutto sommato però lo stipendio arrivava con una discreta regolarità. Da quando il musicista iniziò ad avere più libertà, diciamo pure da Mozart in poi, sebbene il modo di concepire un lavoro fu totalmente stravolto, il prezzo da pagare fu davvero sempre più alto e oggi temo sia diventato insostenibile. Alla fine il musicista deve avere l’abilità di muoversi bene in molti ambiti, avere uno spirito eclettico ed essere un capace imprenditore di se stesso e allora può pensare di vivere di musica. Quando viene a mancare anche solo una di queste caratteristiche diventa tutto molto complicato.
Per un paio di anni ha aperto a Ingolstadt la sua Scuola di Pianoforte, da cui ha avuto enormi soddisfazioni. Infatti i suoi migliori allievi si sono classificati tra i primi posti partecipando al prestigioso concorso tedesco Jugend Musiziert. Cosa ci dice di questa esperienza?
È stata un’esperienza dal bilancio molto positivo. I miei allievi provenivano da nazionalità diverse, culture anche molto lontane: cinese, rumena, russa, messicana e naturalmente tedesca e italiana. Anni impegnativi e sfidanti dove trovare il giusto approccio alle varie tipologie di ricezione è stato anche arduo. Si è trattato però di un periodo talmente denso e laborioso da lasciarmi la sensazione di aver lavorato il doppio del tempo, così la riscossione dei vari premi è stata senza dubbio un’enorme gratificazione.
Secondo lei, essere un buon musicista è una “conditio” sufficiente per essere un buon insegnante?
No, a mio avviso no. Bisogna senz’altro essere un buon musicista per essere un buon insegnante, è necessario sapere di che cosa si parla, aver affrontato un pubblico, avere suonato anche nelle peggiori delle condizioni, ma non è una “conditio” sufficiente. Dietro la figura dell’insegnante ci deve essere una passione sconfinata per l’essere umano. L’insegnante, coi suoi consigli, va a puntellare quella magnifica costruzione che un giorno starà in piedi da sola e sarà unica nel suo genere. In un’epoca come la nostra, in cui si parla continuamente di standardizzazione del pensiero, il maestro di musica ha il ruolo sempre più delicato di scavare nella musicalità degli allievi che ha davanti per tirarne fuori caratteristiche che siano il più possibile originali. In buona sostanza non si dovrebbe mai mortificare un’idea autentica, singolare solo in favore di una moda interpretativa. Naturalmente è importante essere coerenti e saper giustificare ogni scelta, ma ribadisco che, con enorme pazienza, si deve andare a fondo e cercare quel suono, quella linea, quell’intuizione dalla quale possa trapelare un’ispirazione nuova, mai udita, dovesse anche solo manifestarsi attraverso un unico passaggio.
Quali sono le differenze del mondo della musica in Italia e in Germania, entrambe culle dei più grandi compositori di tutti i tempi?
Per rispondere a questa domanda devo premettere che ho vissuto in Baviera, terra estremamente conservatrice della Germania e dove le cose funzionano ben diversamente dal resto della nazione o da Berlino che è ancora una realtà ben distinta dalle altre due. Dunque in base alla mia esperienza posso dire che le differenze sono sostanziali e riflettono tutto il resto. La Baviera ha molti mezzi, le stagioni concertistiche sono organizzate bene, gli artisti vengono remunerati adeguatamente e sono professionalmente ineccepibili, ma spesso manca quel desiderio di osare, di offrire un cambiamento, di sottoporre al pubblico la novità. L’Italia dal canto suo possiede musicisti di grande spessore, di enorme elasticità mentale, straordinaria capacità di adattamento, ma procacciarsi il lavoro sta diventando sempre più complicato e la maggior parte delle volte le Stagioni pagano poco e dopo parecchi mesi. Il musicista tedesco gode di molto rispetto ed è scontato che faccia quello di mestiere, in Italia quando si dice di essere musicisti sorge sempre il dubbio che si stia parlando di un passatempo. Le lascio immaginare quali siano le conseguenze sociali di tale dubbio, spesso e volentieri non rientriamo in alcuna categoria. Non parliamo poi degli insegnanti tedeschi che percepiscono circa il doppio dello stipendio di quelli italiani. Diciamo che se anche il denaro non è tutto, avere una retribuzione adeguata aiuta ad evitare tante frustrazioni. Dovrei aprire poi un capitolo sull’educazione alla musica. E qui posso far riferimento alla Germania intera. Intanto quasi tutti i bambini tedeschi in età scolare suonano uno strumento (il tempo scuola è dimezzato rispetto al nostro dunque i bimbi hanno l´intero pomeriggio a disposizione per dedicarsi alla musica e allo sport), aggiungo che in città come Berlino ci sono chiese che quotidianamente ospitano artisti a partire dalle 10 del mattino dando la possibilità alla casalinga piuttosto che al pensionato di estraniarsi un paio d’ore e iniziare con un altro spirito la giornata. In Germania ho conosciuto realtà inimmaginabili come quella di un paese di circa duemila anime con tre cori e due gruppi strumentali… praticamente tutto il paese si dedica ad attività legate alla musica. Tengono concerti periodicamente e col ricavato si sono acquistati un pianoforte a coda, installato nella sala consigliare del comune e sfruttato a turno per altri concerti. È un vero peccato che da noi sia tutto sempre così complicato, le cornici spettacolari che offrono i nostri palazzi, i cortili di certi centri storici potrebbero risuonare costantemente di composizioni cameristiche da offrire a chi ne ha piacere.
Appurare regolarmente che a far la differenza è quanto investe un paese nella cultura, nell’affinare i gusti, nel preparare le giovani generazioni a recepire arte e musica come segnale di salute e prosperità di una nazione, e sapere che da noi si fa davvero poco o nulla a tal proposito, è alquanto deprimente.
Se avesse la possibilità di scegliere i brani di un suo concerto di circa due ore e mezza, quali sceglierebbe e perché?
Per suonare un repertorio di due ore e mezza dovrei essere Clara Wieck, la quale si esibiva in programmi estenuanti, come d’abitudine nell’Ottocento. In genere la durata dei concerti in Italia è di circa un’ora e mezza con una pausa di 10/15 minuti nel mezzo. In Germania si tende a suonare di più, circa due ore.
In questo momento avrei molto piacere di rispolverare parte di certa musica francese a cui sono particolarmente affezionata come i Preludi di Debussy, e qualcosa di Satie spesso ingiustamente sottovalutato. Sicuramente alternerei pezzi del repertorio cameristico a qualche pezzo solistico. Avrei una gran voglia di risuonare la Sonata di Debussy per violoncello e pianoforte per la densità dei contenuti e le sonorità a tratti estreme. Inoltre includerei anche un brano di qualche compositore contemporaneo sconosciuto. Mi piacerebbe proporre al pubblico qualche novità.
Da poco è tornata in Italia. Quali sono i sui progetti futuri?
Ho in progetto di riposarmi, fare lunghe passeggiate in riva al Po e cogliere nell’aria un’ispirazione, un’idea che presto arriverà…
Annunziato Gentiluomo
[Fonti delle immagini: senzabarcode.it, it.wikipedia.org]
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