È ora di mettersi al lavoro e costruire lo spettacolo! È ora di farsi venire delle idee e pensare cosa dire, fare, recitare, cosa mettere in scena oltre agli attori, scenografie, musica, luci; ma c’è un prima. Un prima che esce dai desideri di Enrico Gentina che ha deciso di allevare questa squadra, ancor prima
È ora di mettersi al lavoro e costruire lo spettacolo! È ora di farsi venire delle idee e pensare cosa dire, fare, recitare, cosa mettere in scena oltre agli attori, scenografie, musica, luci; ma c’è un prima. Un prima che esce dai desideri di Enrico Gentina che ha deciso di allevare questa squadra, ancor prima di dirigerla, di nutrirla, ancor prima di metterla al lavoro e per farlo si inventa spazi di compresenza fortissima, dove stiamo vicini gli uni agli altri, appiccicati in questo groviglio di emozioni. A me basta starli a guardare.
Enrico decide che un pezzo di un pomeriggio di prove deve essere dedicato ad alcune suggestioni su cosa significhi essere un tifoso del Toro e questa cosa non la capisco subito subito. Intuisco però che è nelle sue intenzioni parlare del Grande Torino durante lo spettacolo e nel costruire quel senso di squadra che dovrebbe permeare il progetto “Sporting”, si affida ai nostri due tifosi d’eccezione che sono Maurizio Malano e Mauro Berruto.
Non è un racconto, è un’apologetica: questi due qui non parlano e basta, esprimono i propri dogmi.
Il binario su cui viaggiano è lo stesso, l’intensità è la stessa (proprio ci credono), le sfumature, invece, sono personali, entrambi sono stati indirizzati verso questa passione dalle famiglie e gli aneddoti fanno sorridere, come quando Maurizio dichiara di essere stato cresciuto da suo padre nel mito del Grande Torino e nel disprezzo contro l’arbitro Barbaresco. Qualcosa che si porta dentro, una sorta di impostazione dell’animo, Maurizio sostiene di essere testardo perché è un tifoso del Toro e come la squadra deve sopravvivere calcisticamente (non necessariamente vincere) così lui è abituato a farlo a sua volta, nella vita.
Sa un po’ di cosa forte, ma è così, non c’è ombra di dubbio nel suo discorso.
Mauro arriva più lieve, ma mica tanto. Anche la sua storia parte dalla famiglia, con i nonni che abitavano vicino allo stadio Filadelfia, luogo che lui ha vissuto come un qualcosa di sacro, lo definisce una Chiesa.
La questione si fa intensa e io guardo gli attori e le loro facce di fronte a questi racconti, sono affascinati, ma anche increduli, la questione non è di immediata comprensione, perché, a ben guardare, si entra nel mondo dei sentimenti, al di là delle passioni.
Il passaggio dal retaggio del Grande Torino, all’essere tifoso del Toro è molto chiaro nei due, del primo non hanno ricordi diretti, solo forti venti di brezza che però devono averli colpiti un bel po’, soprattutto quando Mauro dice che quel Torino lì, con tutto il dramma che si porta dietro, è stato qualcosa di troppo grande, tanto che il tifoso di oggi vive magari anche attimi di felicità, ma con la sensazione che debba succedere da un momento all’altro qualcosa di tragico.
Questa visione della caducità degli eventi inquieta un po’, anche se si ride al pensiero di Mauro a sette anni a festeggiare lo scudetto, con la macchina che si incendia in Piazza Castello (vedi la tragedia in agguato?) e di Maurizio che si sente davvero un resistente, che manco il Sub Comandante!
Tra ricordi personali e retaggi del passato, tanti discorsi sul senso di appartenenza, l’identità, l’orgoglio del gruppo, qualche mito da portarsi dietro e una convinzione strenua: essere tifoso del Toro rappresenta un’elica del DNA.
Pregni di questa sacralità torniamo a casa, con la sensazione che a tutti noi manchi qualcosa, come se non facessimo parte di questa ristretta cerchia di eletti. Dopo un po’ passa, ma a distanza di giorni ho proprio voglia di tornare dagli attori e chiedere loro cosa stiano portando sul palco di tutto questo pacchetto emotivo color granata.
Elena Miglietti
[Fonte Immagini: ArtInMovimento Magazine]
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