Per leggerezze gravi rivolte alla mia persona e alla testata che rappresento, e per priorità sopraggiunte, il mio rapporto col 32° Lovers Film Festival non è stato certo paragonabile a quello che ha invece contraddistinto le ultime dodici edizioni del Festival, in particolare quella dell’anno passato, in cui, insigniti e onorati dall’essere Media Partner, abbiamo mobilitato
Per leggerezze gravi rivolte alla mia persona e alla testata che rappresento, e per priorità sopraggiunte, il mio rapporto col 32° Lovers Film Festival non è stato certo paragonabile a quello che ha invece contraddistinto le ultime dodici edizioni del Festival, in particolare quella dell’anno passato, in cui, insigniti e onorati dall’essere Media Partner, abbiamo mobilitato la nostra redazione pubblicando circa tre pezzi al giorno per tutto il festival, articoli di lancio prima e riflessioni sul dopo. Ho creduto nel progetto di Minerba, cogliendo tanti aspetti migliorabili, ma, al di là di scelte più o meno condivisibili, ritornavo a casa soddisfatto e alla fine del film conclusivo ero contento di aver partecipato attivamente a uno degli eventi di rilevanza sociale più importanti del bel paese. Ne era evidente il cuore che pulsava e che contagiava.
Quest’anno, sono stato carinamente invitato all’inaugurazione, alla serata conclusiva e ho chiesto di poter vedere dei film lunedì 19 giugno, dalle 18.00 in Sala 1 al Massimo. Si intuisce che non posso certo entrare nel merito della programmazione, ma posso parlare sicuramente di quanto ho visto esprimendo i miei parziali punti di vista in merito. Nella prima, come scrissi, avevo percepito dell’imbarazzo, ma non avevo individuato chiaramente quel “non so che” sottile che comunque non mi rendeva, come sempre, felice di essere lì. Ho pensato: Sarò stizzito dal comportamento poco gentile riservato alla mia persona e alla mia testata, ma poi ho cercato di andare al di là e di mettermi in ascolto. L’illuminazione mi è arrivata durante la serata della premiazione. E inizio la mia riflessione usando le parole, citate in questa occasione, dalla nuova direttrice Irene Dionisio: Versione giovanile e al femminile del Festival e un suo motto riportato da Piero Valetto, una pietra miliare del Festival, Nella continuità con il coraggio del cambiamento. Coraggio? Non ne ho visto. L’ingresso è stato a gamba tesa a partire dal nome, cambiato solo un paio di anni fa, e dall’iconografia del festival che ne ha minato la percezione. Forse sarebbe stato necessario un pizzico di umiltà in più da parte di una leva 86 che è nata dopo la prima edizione del Festival che oggi si trova a dirigere. Il tutto, inoltre, in pochissimo tempo.
Ho trovato veramente stucchevoli molti interventi, fintamente democratico il modus operandi e fortemente presuntuoso tutto il procedere. Esiste una storia. Esistono percorsi. Esiste un’evoluzione. Portare il cambiamento, porre una firma nel cambio di direzione ci sta, ma stravolgere il Festival, questo non lo accetto. Consideriamo il periodo diverso (giugno, invece di aprile o maggio). Consideriamo la prima tappa del Piemonte Pride che ha fatto bucare un giorno di Festival. Consideriamo la concomitanza del 31° Festival Mix Milano… Ma io ricordo file infinite pure sotto la pioggia. Credo che la comunità non si sia sentita giustamente rappresentata, si sia percepita strumentalizzata per una volontà politica poco chiara che ha dato un evento così sentito come il festival a una donna etero, incapace di sentire e vivere la condizione di omosessuale o transgender, di percepire quella sana ideologia che ha animato la campagna sociale portata avanti nelle tante edizioni precedenti. Femminile forse sì. Un gusto letterario presupponente, filoborghese, e un’interessante ibridazione con tante arti. Giovanile proprio no. Non c’era leggerezza e tutto era costruito perché bisognava piacere o compiacersi. Auto-referenzialità e in scena tutto ciò che etichetta popolarmente Torino e soprattutto i suoi abitanti. Alla fine non sono riuscito a rimanere per la proiezione del film di chiusura…
Sono solo addolorato e deluso. Non sono riuscito neppure a votare in quanto era complesso pure quello quest’anno. Ma in linea col fatto che al centro non c’erano sicuramente i film, ma tanti discorsi sulle pellicole, tanto filosofeggiare che alla lunga annoiava… E pensare che mi percepisco il promotore del cambiamento.
Speriamo nel prossimo anno e speriamo che non sia l’inizio del declino…
Concludo con le parole, che condivido in toto, di un addetto ai lavori, Luca Andreotti: È chi ha fatto tutte queste scelte che deve fare un passo indietro e permettere a chi sa fare bene il suo lavoro di farlo. È facile far morire un festival dedicato alle identità, ai corpi, ai generi, svuotando il senso delle storie e delle lotte che li hanno formati e trasformando tutto ciò in questioni di “naming” e di “claim”.
Forse un passo indietro e delle riflessioni oneste davanti ai bilanci dovuti sono necessari…
Annunziato Gentiluomo
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