Dopo uno spettacolo così intenso e ben realizzato, si fa ritorno alle proprie case soddisfatti. Il tempo è volato e ci si è sentiti nutriti profondamente. Questa la sintesi dell’esperienza multisensoriale fatta al Teatro Regio di Torino per la prima di martedì 15 novembre scorso di Sansone e Dalila (Samson et Dalila) di Saint-Saëns, coprodotto col
Dopo uno spettacolo così intenso e ben realizzato, si fa ritorno alle proprie case soddisfatti. Il tempo è volato e ci si è sentiti nutriti profondamente. Questa la sintesi dell’esperienza multisensoriale fatta al Teatro Regio di Torino per la prima di martedì 15 novembre scorso di Sansone e Dalila (Samson et Dalila) di Saint-Saëns, coprodotto col National Centre for the Performing Arts (NCPA) di Pechino, prestigiosa istituzione culturale cinese (samson.dalila).
Suggestiva l’atmosfera che si crea fin dalle prime battute, che esprime perfettamente quanto il regista Hugo de Ana pensa dell’opera. Secondo l’argentino Sansone e Dalila è una storia che racconta il conflitto tra religione e amore e tra amore e odio. Su queste dicotomie è giocato lo spettacolo che vedrà, per esempio, il grigio degli ebrei oppressi contrapposto ai coloratissimi costumi dei soldati filistei. Penso che sia un’opera di fantasia e di immaginazione che presenta un mondo irreale, pieno di magia. Quella magia che si rintraccia fin sa subito. Infatti raggi luminosi investono la scena come se fossero delle stelle cadenti di buon auspicio per la liberazione di Israele. La scena del primo atto è monumentale con due massicce pareti ai lati e una scalinata come sfondo. Questo quadro, come tutti del resto, si ridefiniscono continuamente grazie a delle video-scenografie di Sergio Metalli che creano profondità e arrivano a danzare con le odalische di Dalila. Nel loro aggraziato e sensuale movimento disseminano i fumi della seduzione che annebbiano la vista di Sansone. Nel secondo atto la protagonista femminile entra in scena legata da corde di due colori diversi. Una rossa, a indicare la passione amorosa, e l’altra viola, colore spirituale che rimanda alla sua religione o anche a quella di Sansone. Piano piano la raccoglie e se ne libera, ormai pronta alla vendetta. Le stanze della sacerdotessa filistea hanno due colonne orientaleggianti: alle spalle sono appesi sette medaglioni e in mezzo un gioco di tendaggi che sembra realizzare una tenda. Con questi Dalila, dopo il confronto col grande sacerdote, gioca, fino quasi a nascondersi. Le videoscenografie nel II atto iniziano con corpi che si fondono, danzano con volumetrie chiare, si incontrano e si scontrano. Quando Dalila seduce Sansone, le videoscenografie paiono enfatizzare l’aspetto magico, da strega della donna. E nel finale del secondo atto quei raggi blu iniziali, diventavano strali rapidi e rossi, a presagire la tragedia imminente. Il terzo atto inizia con raggi azzurri, simili a quelli del primo atto e con delle videoscenografie con inquadrature diverse di uno stesso edificio. Nella scena due porte giganti. Inizio impeccabile di Sansone nel III atto, e poi nel cambio scena suggestive immagini si susseguono, da mani legati a giovani corpi che si muovono, saltano con grazia e con colori chiari in contrapposizione del finale. Curato il movimento e la corporeità. La coreografia delle odalische e poi del rito orgiastico, firmate da Leda Lojodice, sono perfettamente realizzate, come d’altro sono curati i movimenti e le diagonali nell’incedere nel primo atto contro Sansone. La coreografia del III atto è energia pura, vitale, piena di sensualità, sinuosità: i corpi anonimi sono emancipati dalla forza del movimento stesso. Contrasti di colori e di luci dal grigio all’oro, al viola e all’argento delle odalische. Finale un po’ deludente. Dopo tutto la grandiosità ci immaginavamo qualcosa di più. Inoltre l’uso delle spade laser, in cui si richiama Star Wars, è terribilmente kitsch. Le luci di Vinicio Cheli sono curatissime e con i costumi orientaleggianti spettacolari firmati dallo stesso Hugo de Ana, danno profondità e contribuiscono, con degli interessanti effetti speciali, a enfatizzare le dicotomie presenti nell’opera e soprattutto a creare il mood irreale e magico. La regia è curata e si allinea subito alla musica che viene valorizzata da ogni scelta. Nulla è lasciato al caso, in particolare i rapporti i fra protagonisti. Emblematica la scena in cui dopo aver ottenuto dal capo degli ebrei il Je t’aime, la sacerdotesse filistea, che, fino ad allora gli era vicinissima, si allontana raggiungendo il lato opposto del palco, il destro, da dove può preparare indisturbata la vendetta. Grande attenzione anche per la scelta degli oggetti scenici e il loro uso.
Sul podio dell’Orchestra del Teatro Regio il Maestro Pinchas Steinberg, grande conoscitore del capolavoro di Saint-Saëns. Rende con grande eleganza tutti gli stati emotivi dell’opera, dando una lettura sicuramente oratoriale e valorizzando la buca che lo segue con maestria. Forse un po’ di dinamismo in più l’avremmo apprezzato.
Molto buona la performance del Coro del Teatro Regio istruito da Claudio Fenoglio, che ha dato prova di grande concertazione e che ha sostenuto i solisti, tutti assolutamente all’altezza.
Nonostante non fosse propriamente un ruolo del suo repertorio, Daniela Barcellona si è mossa con maestria nel debuttare Dalila. Il suo magnifico vibrato, la voce vellutata e robusta, la notevole tecnica, il controllo di emissione sui piani e sui pianissimi rendono convincente la sua performance. Rispetto all’interpretazione, invece, appare esaltare gli aspetti più eroici del personaggio, valorizzandone la verve pubblico-politica rispetto a quella sentimentale-intimistica. Pregevole il duetto col grande sacerdote.
Gregory Kunde, ad oltre sessanta anni, riempie, come solo i grandi riescono a fare, la scena, muovendosi con grande classe. Una voce luminosa e robusta, ben proiettata, una grande agilità tanto nel registro acuto quanto in quello grave, uno squillo ammirevole. Queste caratteristiche gli permettono di modellare un Sansone eroico e poetico, lirico e vigoroso: un personaggio autorevole incapace di nascondere il dramma umano, che raggiunge un climax espressivo nella tormentata dichiarazione d’amore a Dalila.
Tra i comprimari di distinguono, sicuramente, per intensità Sulkhan Jaiani nei panni delVecchio ebreo, il baritono Claudio Sgura (Il sommo sacerdote di Dagon) dalla voce profonda, impastata, con ottimi fiati, e il ben centrato e sanguigno Abimélech di Andrea Comelli. Corretta l’esecuzione di Roberto Guenno, Cullen Gandy e Lorenzo Battagion (Filistei).
Uno spettacolo notevole, apprezzato dal pubblico torinese che lo ha sostenuto con copiosi applausi.
Annunziato Gentiluomo
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