Decidere che tipo di persona essere, calibrare parole e azioni, valutare passi di carriera e impegno sociale, rimanere coerenti con i propri valori, con la consapevolezza che ogni scelta o non scelta racconta la nostra storia. Così Arthur Ashe, primo tennista nero a vincere Wimbledon, nel 1975, così Mauro Berruto, ex ct della nazionale italiana
Decidere che tipo di persona essere, calibrare parole e azioni, valutare passi di carriera e impegno sociale, rimanere coerenti con i propri valori, con la consapevolezza che ogni scelta o non scelta racconta la nostra storia. Così Arthur Ashe, primo tennista nero a vincere Wimbledon, nel 1975, così Mauro Berruto, ex ct della nazionale italiana maschile di pallavolo che oggi ha presentato al Salone del Libro di Torino, Giorni di Grazia, biografia di Ashe scritta con Arnold Rampersad (Add Editore).
L’introduzione di Giuseppe Vercelli, psicologo, psicoterapeuta, docente di psicologia dello sport ha messo subito in evidenza le molte similitudini fra l’atleta statunitense e Berruto, uomini di sport che hanno fatto del rispetto dei valori un precetto di vita, anche a costo di profonde rinunce.
Ashe parla di sé attraverso una serie di sequenze, narrate tutte in prima persona, che partono da una riflessione profonda sul concetto di reputazione, per concludersi con una lettera rivolta alla figlia Camera, un testamento morale, scritto prima di morire. In mezzo la vita di un grande campione, fra successi sportivi e passioni artistiche (Rembrandt su tutti), rapporti con grandi campioni e richiami a un certo modello di comportamento. Fino alla fine di tutto, la malattia che lo ha fiaccato, quella che Ashe chiama “La bestia nella giungla”: l’AIDS.
Ashe, infatti, atleta magnifico, talentuoso e diligente, ha visto la sua carriera arenarsi due volte; la prima a causa di due infarti, superati, con l’intervento di bypass che gli consentirà anche di tornare in campo. Poi la fine, la beffa più dolorosa: un intervento al cervello e una maledetta trasfusione di sangue infetto. La condanna più grande, l’AIDS in un’epoca in cui la malattia era ancora legata a scenari di devianza e le cure neppure immaginabili.
Il travaglio di Ashe ha trovato nelle parole di Mauro Berruto il giusto garbo, con particolare risalto alla difficoltà sulla decisione più difficile: diffondere la notizia o parare il colpo nel momento in cui fosse emersa. In un’epoca in cui i social media non esistevano, Ashe indìce una conferenza stampa e consegna al mondo il suo fardello personale, facendo della sua vita e, di conseguenza del suo libro, un manuale sull’antifragilità.
Succede così, il primo giorno al Salone del Libro di Torino che un grande allenatore ricordi, attraverso le parole di un grande atleta, quanto sia bello essere, con il proprio esempio, veicolo di grandi messaggi universali.
Elena Miglietti
[Fonte Immagini: addeditore.it]
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