Roberto Devereux, tragedia lirica in tre atti su musica di Gaetano Donizetti, che debuttò al San Carlo di Napoli il 28 ottobre 1837, ha fatto ritorno per la quarta volta al Teatro Carlo Felice, dopo ventitré anni, con un allestimento veramente ben sortito. Quella di Alfonso Antoniozzi, baritono di fama mondiale, è stata una regia attenta, precisa
Roberto Devereux, tragedia lirica in tre atti su musica di Gaetano Donizetti, che debuttò al San Carlo di Napoli il 28 ottobre 1837, ha fatto ritorno per la quarta volta al Teatro Carlo Felice, dopo ventitré anni, con un allestimento veramente ben sortito.
Quella di Alfonso Antoniozzi, baritono di fama mondiale, è stata una regia attenta, precisa nella gestione degli spazi, fedele al libretto, ma ricca di interessanti elementi innovativi. Tra questi i mimi che impersonano alcuni Membri del Consiglio e il giullare di corte (Luca Alberti, Luisa Baldinetti, Filippo Bandiera, Nicola Marrapodi ed Erika Melli), trait d’union della messa in scena.
I primi partecipano alla vicenda in diversi modi: limitano lo spazio di Roberto, lo giudicano e muovono le semplici ed efficaci scene di Monica Manganelli, formate per lo più da separé in legno intagliato, che montano e smontano, e da cui osservano in modo scrupoloso quanto avviene, introducendo un vouyerismo, capace di marcare il sottile limite, già presente nell’opera, tra pubblico e privato. Sono legati all’istituzione – impero – di cui incarnano valori, storia e tradizioni, ne sono gli araldi, i rappresentanti. Acquistano potere proprio da tale relazione e dai ruoli asimmetrici che la realtà istituzionale produce. Sono loro che menano in trionfo le terre della Regina, disegnate sull’ultimo abito della sovrana, a mo’ di stendardo, scelta stilistica che abbiamo trovato grossolana e poco incisiva. Sono loro che, nel finale vivono un mancamento quando Elisabetta, liberandosi del proprio ruolo, li depaupera della forma da cui si alimentavano.
Il giullare, invece, apre e chiude lo spettacolo occupando il trono reale, segue da vicino l’evoluzione dei fatti, gestisce gli altri mimi, danza con la regina, accompagna nella gabbia Roberto e ne segue gli ultimi di vita. È una figura centrale dell’allestimento che rappresenta l’imprevedibile ironia della sorte e la maschera che è zattera di salvataggio (…), limite, condanna, prigione. Antoniozzi riesce realmente a rendere quanto dichiara nelle sue note di regia: In una corte dove tutto è teatro, dove le parole sono pesate, dove le intenzioni non sono mai palesi, dove niente è come appare, dove i cortigiani si sforzano di assecondare il Principe fino ad assomigliargli, dove nessuno porta mai se stesso ma recita il copione che la vita gli ha assegnato, tutti si muovono come su un grande palcoscenico, consci di essere osservati, giudicati, fraintesi: tutti sono personaggi e allo stesso tempo tutti sono pubblico su un palcoscenico dove è il potere a raccontare se stesso, ma l’uomo non si racconta mia. In questo gioco delle parti, nulla di quanto si crede e si percepisce è in realtà accaduto e l’azione viene costruita e ricostruita in base a chi la vive, in un crocevia di gelosie, paure, sentimenti, valori e presunti tradimenti. Da notare anche la disposizione a gradinata del Consiglio e il ricorso ai candelabri a nove braccia.
Sul podio dell’Orchestra del Teatro Carlo Felice il Maestro Francesco Lanzillotta, che ha saputo interpretare con passione, accuratezza e colore la partitura donizettiana, guidando i musicisti in una performance precisa e partecipata. Buona anche l’esecuzione vocale del Coro del Teatro Carlo Felice, che non ha saputo, però, sempre ben amalgamarsi scenicamente col resto del cast, parendo a volte ingessato.
Passando al cast, un plauso a tutti per come hanno interpretato questa complessa opera di Donizetti.
Mariella Devia (Regina Elisabetta) ha reso magistralmente quello che è considerato uno dei più significativi ritratti di donna del melodramma romantico, confermandosi come una delle più grandi interpreti viventi di tale ruolo. Sempre precisa nel fraseggio, tecnicamente ineccepibile, espressiva in ogni singola emissione e movimento scenico, rende con grazia anche le parti più impervie della partitura, tra le più difficile ed estreme del repertorio belcantistico. Tratteggia perfettamente tutte le sfumature del sovrano inglese: la solitudine, la vitalità dell’anelito amoroso, la stanchezza per gli anni di lungo e complesso governo. Nel finale è forte l’intensità scenica che riesce a incarnare, e realizza perfettamente quanto Antoniozzi pensa per lei: si toglie la maschera di regnante, abdica, rompe il gioco, fa saltare il tavolo, si sgretola il palco, cade la quarta parete. Elisabetta si fa pubblico, si fa umana, si fa finalmente donna. Si mostra per ciò che è, rivela il sacrificio di una vita al suo popolo sgomento, al suo pubblico, costringendo tutti a guardarci dolorosamente dentro, a smascherarci, a rappresentare, finalmente, noi stessi. Il pubblico, ipnotizzato dal suo grande carisma, l’ha inondata di applausi e apprezzamenti positivi.
Accanto al soprano, Stefan Pop che ha debuttato brillantemente nel ruolo di Roberto, risultando molto convincente in ogni suo intervento, sia nelle sue arie sia nei duetti. Una vocalità luminosa e potente la sua, assolutamente idonea al ruolo donizettiano che ha saputo rendere con cura e carica drammatica, toccando il cuore dei presenti.
Sonia Ganassi ha ben reso il personaggio di Sara, incarnandone la conflittualità. Grande tecnica, vocalità robusta, precisione e buon timbro vocale sono le sue caratteristiche, che la portano a raggiungere un’elevata intensità nel duetto finale con Roberto. Forse, scenicamente, l’abbiamo vista, a volte, in difficoltà nel sostenere la drammaticità del ruolo.
Mansoo Kim ha indossato con competenza i panni del Duca di Nottingham. Il volume e la potenza della sua voce, dotata di armonici impressionanti, ci hanno veramente stupiti. Abbiamo notato che, nel registro più acuto, data tale potenza forse difficilmente controllabile, la sua voce, in qualche occasione, ha perso in rotondità.
Veramente valide le performance di tutti i comprimari. In particolare quella di Claudio Ottino (Sir Gualtiero Raleigh), dalla timbrica possente e chiara, e quella di Alessandro Fantoni (Lord Cecil), dalla voce pulita e luminosa.
In sintesi, un gran bello spettacolo, molto ben curato anche dal punto di vista tecnico, sia per le luci, firmate da Luciano Novelli, capaci di marcare lo spessore drammatico dell’opera grazie ai cambi dei fondali che seguono l’evoluzione della storia, sia per i bellissimi costumi di Gianluca Falaschi. Stasera alle 20.30 l’ultima recita. Da non perdere!
Annunziato Gentiluomo
[Foto di Marco Orselli]
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