Si alza il sipario del Teatro Fraschini, venerdì 3 novembre alle 20.30 con Rigoletto, in replica domenica 5 novembre alle ore 15.30. E’ la produzione annuale del Teatro Fraschini, opera di primo piano per costruzione drammaturgica e impianto musicale, rappresentata per la prima volta a Venezia, alla Fenice, nel 1851. Regista Elena Barbalich, direttore Pietro Rizzo,
Si alza il sipario del Teatro Fraschini, venerdì 3 novembre alle 20.30 con Rigoletto, in replica domenica 5 novembre alle ore 15.30. E’ la produzione annuale del Teatro Fraschini, opera di primo piano per costruzione drammaturgica e impianto musicale, rappresentata per la prima volta a Venezia, alla Fenice, nel 1851. Regista Elena Barbalich, direttore Pietro Rizzo, scene e costumi Tommaso Lagattolla. Coproduzione dei Teatri di OperaLombardia: Teatro Fraschini di Pavia, Teatro Grande di Brescia, Teatro Ponchielli di Cremona, Teatro Sociale di Como, Teatro Donizetti di Bergamo. In collaborazione con Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi. OperaLombardia è un progetto promosso, sostenuto e coordinato da Regione Lombardia, con il quale si è voluta valorizzare la ricca tradizione operistica dei Teatri di Tradizione lombardi. Il circuito regionale ha permesso di realizzare e promuovere programmazioni liriche di grande qualità attraverso la formazione di un sistema strutturato di coproduzione, distribuzione e promozione. Protagonisti: Angelo Veccia, Francesco Landolfi (Rigoletto), Lucrezia Grei, Claudia Pavone (Gilda), Matteo Falcier, Marco Ciaponi (Duca di Mantova). Nel cast: Alessio Cacciamani (Sparafucile), Katarina Giotas (Maddalena), Nadiya Petrenko (Giovanna), Matteo Mollica (Conte di Monterone), Giuseppe Distefano (Matteo Borsa), Guido Dazzini (Marullo), Giuseppe Zema (Conte di Ceprano), Anna Bessi (Contessa di Ceprano), Maria Luisa Bertoli (Paggio), Giacomo Archetti (Usciere). “Nella nostra visione di Rigoletto – afferma nelle note di regia Elena Barbalich – abbiamo cercato una sintesi spaziale, che fosse la più adatta ad esprimere la nostra concezione: per questo abbiamo pensato di adottare il prototipo della wunderkammer cinquecentesca. In questo tipo di scelta abbiamo visto la possibilità di concentrare la nostra idea dell’opera e di poter allo stesso tempo articolare lo spazio nelle diverse funzioni che la drammaturgia richiede. La Wunderkammer costituisce inoltre un ponte tra le diverse epoche che interessano la creazione e l’ambientazione dell’opera e la sua messa in scena nell’epoca attuale: il Cinquecento (epoca in cui si diffonde la camera delle meraviglie), l’Ottocento (in cui il fenomeno del collezionismo continua nei salotti borghesi) e la contemporaneità, in cui la produzione di mirabilia interessa molti artisti quali Hirst, Fabre, Dinos e Jake Chapman. Nella nostra concezione, la Wunderkammer, come camera delle meraviglie, incontra la serialità industriale attraverso la moltiplicazione dell’oggetto mediante un gioco di specchi. La ripetizione ottica esprime il desiderio di creare un percorso fisico sempre uguale che garantisca l’incorruttibilità di un destino artificialmente prescritto. Nella nostra lettura abbiamo individuato due tipi di collezionismo che si contraddicono. Il primo, quello del Duca, è rappresentato da una raccolta di giovani donne, con cui la corte intrattiene un rapporto di voyeurismo e consumo spersonalizzato. Nel corso dell’opera tutte le figure femminili, comprese Gilda, Maddalena e la Contessa di Ceprano, appaiono allo spettatore come oggetti inanimati. Questa visione è in linea con la stessa denuncia espressa da Triboulet nel lungo monologo del terzo atto di Le roi s’amuse di Victor Hugo, da cui Piave e Verdi trassero il libretto (“Per loro, ve lo dico io, cos’è una donna? Meno di niente! […] Una donna dev’essere un terreno che dà utili ingenti, una fattoria concessa in affitto dal sovrano che, ad ogni decorrenza, paga degli interessi salati. Una donna significa un’infinità di favori inauditi […] come un governatorato, una nomina regia o meglio ancora, dei benefici continui, incessanti, destinati ad aumentare!”). Nella dimensione domestica di Rigoletto, si cristallizza invece un universo incontaminato, rappresentato da alberi racchiusi in teche, protetti dal mondo esterno proprio come Gilda lo è dal padre. In realtà la casa di Rigoletto è uno spazio illusorio, un luogo inconsistente dominato dalla presenza incombente del Duca e della sua corte. La suggestione dell’albero proviene da una metafora quasi ossessiva presente nel testo di Hugo, dove parole attinenti al mondo vegetale quali “pianta, fiore, foglie, rami secchi” ricorrono costantemente associate a Bianca, il personaggio di Gilda nell’opera (“Io, una povera fanciulla che viveva nascosta in mezzo i fiori” afferma Bianca di sé, mentre Triboulet dopo la seduzione del Re le dice “Ha brutalmente strappato le foglie della tua corona”). Quando questi due mondi apparentemente separati si incontrano avviene la tragedia. Non a caso il Duca è qualificato dall’area tonale di sol b, mentre il tema dell’amore paterno dal mi b. Secondo Marcello Conati l’area tonale di re si pone tra queste per contraddistinguere l’atto criminoso. La tragedia travolge la sfera di Rigoletto, per riconfermare il potere assoluto del Duca, che si estende incorrotto fino all’ultima immagine dell’opera. L’incidente si crea quando la maledizione, come in Edipo l’emergere della memoria, opera in Rigoletto una consapevolezza improvvisa sulla realtà. La maledizione non è altro che l’enunciato di un destino prescritto: destino rifiutato dal protagonista, che forza gli eventi in una direzione, che alla fine si rivelerà la beffarda realizzazione del suo percorso tragico, con la rappresentazione di uno sprofondamento dell’universo idilliaco che cercava spasmodicamente di preservare. Parallelamente allo svolgersi drammaturgico degli eventi, lo spazio indicherà un parallelo percorso simbolico, ad accompagnare il decorso psicologico del protagonista, che si troverà beffardamente imprigionato in una dimensione senza via di uscita”. L’11 marzo del 1851 è certamente una data da ricordare nella storia del melodramma italiano. Infatti, il pubblico della prima del Rigoletto, al Teatro della Fenice a Venezia, assistette ad un’opera “rivoluzionaria”, con la quale Verdi impresse un’accelerazione, ancora maggiore che nelle sue opere precedenti, alla riforma dell’opera romantica italiana che raggiungerà il suo culmine con Otello e Falstaff, le due ultime opere del Maestro: nonostante anche nella musica si trovino degli elementi innovativi nella scrittura verdiana, le novità nel Rigoletto riguardano maggiormente la costruzione drammaturgica.
Nonostante la struttura di scene, arie e cabalette rientri negli schemi tipici dell’opera ottocentesca, con la raccomandazione al librettista Piave di attenersi il più fedelmente possibile ai versi del “Le Roi s’amuse” di Hugo, e soprattutto con la richiesta di compattezza nello svolgimento della trama (i Versi di Piave sono 707 contro i 1681 di Hugo), Verdi riesce ad imprimere una forte tensione drammatica alla sua opera, addirittura rinunciando ad alcuni schemi tipici dell’opera ottocentesca: l’unico vero concertato è quello che porta a termine la prima scena del primo atto, mentre invece i finali di tutti e tre gli atti vedono protagonisti solamente Rigoletto (finale primo e terzo) o Rigoletto e Gilda (finale secondo atto). Se si fa un confronto con le precedenti grandi opere do Verdi (soprattutto Nabucco, Macbeth, I Lombardi, Ernani), la differenza è notevole. Inoltre, per il finale dell’opera, Verdi rinuncia al finale originale di Victor Hugo, dove un dottore entra in scena per appurare la morte per emorragia di Gilda, il tutto alla presenza del popolo nel frattempo accorso ad assistere all’accaduto; Verdi capisce quale maggior effetto possa avere terminare l’opera con Rigoletto da solo sulla scena , costretto a piangere la morte dell’amata figlia e a compiangere il proprio destino maledetto, nel buio della notte, sulle rive del Mincio fuori le mura cittadine. Un grande coup de théatre. (…) La genialità musicale di Verdi sta nel creare delle melodie non solo di grande immediatezza, ma anche di grande coerenza con il carattere dei vari personaggi. La biglietteria è aperta dal lunedì al sabato dalle ore 11 alle 13 e dalle 17 alle 19; è anche aperta un’ora prima di ogni spettacolo – Tel. 0382-371214. acquisto on line: ww.teatrofraschini.org
Redazione Artinmovimento Magazine
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