Vocalmente deludente la prima dell’anteprima della Stagione operistica al Teatro Municipale di Piacenza. Alla luce della buona proposta dell’anno scorso, ci aspettavamo molto di più. Ma andiamo per gradi. La direzione del giovane Vladimir Ovodok è stata più che soddisfacente sia per andamento sia per il buon rapporto tra buca e cantanti. Il biolorusso ha
Vocalmente deludente la prima dell’anteprima della Stagione operistica al Teatro Municipale di Piacenza. Alla luce della buona proposta dell’anno scorso, ci aspettavamo molto di più. Ma andiamo per gradi.
La direzione del giovane Vladimir Ovodok è stata più che soddisfacente sia per andamento sia per il buon rapporto tra buca e cantanti. Il biolorusso ha ben interpretato le pagine del compositore napoletano, tratteggiando con cura l’evoluzione “patemica” del dramma. Buona la prova dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, quella del Voci bianche del Coro Farnesiano di Piacenza preparate da Mario Pigazzini e nel complesso anche quella del Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto da Corrado Casati, anche se qualche volta è parso poco tonico. Una nota di stanchezza o di noia ha un po’ inficiato la performance dei coristi.Apprezzabile la regia di Cristina Mazzavillani Muti non sempre pulita nei momenti di assieme, ma rispettosa del libretto. Molto interessante invece l’ideazione scenica dell’allestimento. Il gioco di ombre proposto, che garantiva profondità e una sorta di ponte tra la scena e altri luoghi, sostenuto dalle luci ben curate di Vincent Longuemare, è risultato vincente. Suggestiva e ben realizzata l’ambientazione cinematografica, dove nello sfondo si intravedono i camerini degli attori, dominata da otto lampade svoboda e quattro proiettori in bella vista, e pertinenti i costumi di Alessandro Lai. Superbo il ginnasta Andrea Neyroz che ha arricchito il passaggio tra il primo e il secondo atto dell’opera.
La nota più dolente il cast, ad eccezion fatta per Giovanni Sala (Beppe/Arlecchino) e Vittorio Prato (Silvio). Eccellenti nel fraseggio e dotati entrambi di una naturale eleganza signorile, sono stati all’altezza del ruolo sia vocalmente sia attorialmente. Aggraziata l’interpretazione della Canzone di Arlecchino del tenore e da evidenziare la bella linea di canto, la lama brillante, la grande tecnica e l’aver saputo tratteggiare lo spaccato emotivo del suo personaggio del baritono leccese, che debutta quindi con soddisfazione questo ruolo.Il tenore Diego Cavazzin (Canio), dotato sicuramente di una bella vocalità e di una buona estensione, è parso tecnicamente immaturo per una partitura così ardua e che vanta un’infinita storia di interpreti-riferimento del ruolo. Nel registro più scuro si perdeva e in quello più acuto, sicuramente più confacente al tenore, non sempre ha avuto una solida tenuta. La celeberrima aria Vesti la giubba, seppur ben eseguita, non è riuscita ad emozionare.
Estibaliz Martyn (Nedda) e il baritono Kiril Manolov (Tonio) sono sicuramente i più deboli.
Martyn, a nostro avviso, assolutamente inadatta al ruolo. La sua vocalità metallica e il suo incedere in scena ci hanno obbligato a una distanza e hanno generato un notevole senso di disappunto. Disorientata, spaesata, poco naturale e sicuramente non rappresentante l’eroina ribelle e passionale di Leoncavallo. Una dilettante allo sbaraglio ancora troppo acerba per un ruolo di spessore come quello di Nedda con un’energia tutt’altro che magnetica.
Manolov ha reso Tonio troppo truce. Abbiamo riscontrato poco energia tanto nel Prologo quanto nel finale. Una vocalità interessante la sua, sicuramente idonea per questa parte, ma forse non in serata: la sua performance è scivolata via lasciando ben poco.
In sintesi dunque si torna a casa privi dello spessore emozionale che il Verismo è capace di trasmettere…
Annunziato Gentiluomo
Leave a Comment
Your email address will not be published. Required fields are marked with *