Prosegue il nostro approfondimento sulla lirica, basato sul confronto di attori di spicco di questo interessante mondo. Questa volta abbiamo trascorso del tempo dialogando amenamente col soprano Marily Santoro (Reggio Calabria, 1996). Giovane promessa della lirica, Marily Santoro si diploma col massimo dei voti in canto lirico presso il Conservatorio di Musica Francesco Cilea di
Prosegue il nostro approfondimento sulla lirica, basato sul confronto di attori di spicco di questo interessante mondo.
Questa volta abbiamo trascorso del tempo dialogando amenamente col soprano Marily Santoro (Reggio Calabria, 1996).
Giovane promessa della lirica, Marily Santoro si diploma col massimo dei voti in canto lirico presso il Conservatorio di Musica Francesco Cilea di Reggio Calabria, avendo come mentore Liliana Marzano. Ha proseguito nella propria crescita artistica sotto la guida del grande Soprano Raina Kabaivanska, beneficiando della borsa di studio Fondo Raina Kabaivanska presso la prestigiosa New Bulgarian University di Sofia. Ha al suo attivo importanti debutti in ruoli di titolo come Norma e Turandot presso il Teatro dell’Opera di Sofia grazie al fondo NBU oltre
ai recenti impegni come Leonora nel Il Trovatore al Verdi di Trieste e di Monica in Medium di G. Menotti presso il Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena. È stata una delle protagoniste del Gran Galà lirico Vissi d’arte a Locri. Da pochissimo ha debuttato il ruolo di Juliette nel Romeo et Juliette di C. Gounod a San Paolo in Brasile e sarà stasera a Modena per il Concerto in Omaggio a Luciano Pavarotti.
Signora Santoro, come nasce la passione per il canto e soprattutto per il canto lirico?
Beh, credo sia nata proprio con me. Sin da piccola ho avuto una predisposizione molto naturale verso la musica, suonavo ad orecchio e cantavo le musiche che sentivo alla radio o alla televisione,poi ho cominciato a studiare pianoforte ed a 13 anni sono entrata in conservatorio,da lì,spinta dall’allora insegnante di solfeggio che aveva capito sin da subito che il pianoforte non era esattamente la mia strada,mi sono iscritta all’esame di ammissione in canto.
Non avevo ben chiaro cosa volesse dire e tra l’altro ritenevo l’Opera un genere completamente lontano dal mio carattere.
Mi sbagliavo… ed eccomi qua!!!!
Tra gli altri, ha studiato con Liliana Marzano e con Raina Kabaivanska. Cosa ha ereditato da questi due soprani?
Liliana e la Signora Kabaivanska sono stati due incontri benedetti dal Cielo,letteralmente.
Tecnicamente posso dire che sono l’una la continuazione dell’altra.
Liliana è stata fondamentale negli anni del Conservatorio,non potrò mai dimenticare l’umiltà con cui,a fine del mio percorso in mi invitò a fare il salto e a uscire dalla Calabria.
La Kabaivanska è l’insegnante che ha raccolto tutto e ha
messo ordine, nella tecnica, nel repertorio, nello stare in scena.
Per me sono due artiste straordinarie e generose: l’amore con cui si dedicano ai propri allievi è il tratto principale di entrambe ed è quello che porta a grandi risultati.
Quanto, secondo Lei, è importante per un cantante il rapporto col proprio maestro? Avere registri vocali differenti può creare dei problemi nella didattica?
Alla base di ogni rapporto con il proprio insegnante sicuramente ci devono essere rispetto, fiducia e sincerità e questa deve essere da ambo le parti. L’insegnante ascolta l’allievo,ne carpisce i punti di forza e i limiti anche caratteriali. L’allievo deve avere l’umiltà di ascoltare e anche a volte di saper obbedire.
Certo il confronto anche sulle divergenze diviene crescita per entrambi.
Per quanto riguarda la differenza timbrica o di vocalità, personalmente credo che dipenda dallo studente: qualcuno ha più facilità a studiare per imitazione, altri invece non avvertono questa necessità.
Personalmente mi son sempre adattata, cercando di interpretare sempre concetti, immagini e percezioni di suono anche su vocalità differenti.
Lo trovo estremamente affascinante e molto eclettico.
Si parla tanto di autovalutazione in più ambiti. Mi allineo a questa nuova tendenza, chiedendole un bilancio sui suoi punti di forza e sull’aree migliorabili che data l’età in fretta si trasformeranno radicalmente…
L’autovalutazione in ambito tecnico è sicuramente la prova del nove per qualsiasi artista che si rispetti. Sotto questo aspetto cerco di crescere ogni giorno un po’ di più.
Mi registro quotidianamente e come ogni lezione, come ogni concerto, come ogni esperienza avuta in palcoscenico, prendo tutto questo materiale e lo riascolto.
A volte dedico giornate intere, con calma, ripercorrendo lo sviluppo sia della voce sia dei ruoli che ho cantato o che
devo cantare.
Se dovessi trarre un bilancio oggettivo sulla mia vocalità in questo momento, direi che sicuramente è una vocalità abbastanza versatile che ha il suo punto di forza nella naturalezza del mezzo e in una punta del suono che ritrovo sempre con grande facilità. Per quanto riguarda il lavoro di perfezionamento, ovviamente significa gestire sempre una vocalità di portanza da lirico spinto, lavorando sulla cavità e sopratutto sul continuo sostegno del fiato, il cosiddetto “galleggiare”.
Com’è vissuto il melodramma in Bulgaria? Anche lì vi è un lunga tradizione?
In Bulgaria, l’Opera è come il cinema: ogni sera in Teatro c’è uno spettacolo. Un miracolo vedere così tanta gente appassionata e tra l’altro così legata alla nostra tradizione.
Dall’Europa dell’Est al Sud Italia. Realtà probabilmente simili dal punto di vista socio-economico. Dalla sua esperienza e da quella di suoi colleghi cosa ci può dire della realtà operistica nell’Italia Meridionale?
Domanda tosta a cui cercherò di rispondere in maniera obbiettiva e serena.
Credo che il Sud abbia notevoli potenzialità, non solo a livello di vocalità – le posso assicurare che le voci calabresi non passano certo inosservate per timbro, musicalità e caparbietà di fare -, ma anche per quanto riguarda strutture e spazi: ci sarebbero ma non sempre vengono sfruttati a dovere.
Il Teatro Comunale Francesco Cilea, ad esempio, è un vero e proprio gioiello a livello acustico e con una storia che forse non tutti i reggini conoscono: su quel palco ci salì un giovanissimo Pavarotti, oltre che la Callas e Anna Moffo, e potrei citarne molti altri ancora.
La Calabria ha una tradizione operistica non indifferente tra l’altro:
cominciando nel periodo del 700 con Leonardo Vinci, per citare i più recenti Mantica e l’illustrissimo Francesco Cilea, la cui “Adriana Lecouvreur” veleggia ogni anno circa nei teatri più importanti del mondo.
Credo che basti solo questo per dire che il Sud Italia e, in particolare, la mia Regione, la Calabria, debba riappropriarsi dell’Opera.
È inutile nascondersi dietro un dito: gli ultimi anni sono stati tristi e bui per quanto riguarda questo settore.
Io, in primis, come Reggina e come Calabrese ne ho sofferto molto.
E della tradizione operistica reggina che sembra riprendere vita grazie al Rhegium Opera Musica Festival?
E della Tradizione Operistica Reggina… Devo dire che il progetto
“Reghium Opera Musica Festival” mi ha resa estremamente felice. Ho seguito con molta attenzione e altrettanto entusiasmo i primi passi svolti dall’Associazione Traiectoriae per quanto riguarda il ripristino della stagione operistica al Cilea.
Ho fortemente tifato con il cuore per questo risveglio, tra l’altro con iniziative di alto livello artistico a partire dalla scelta dei titoli e degli artisti che vi hanno preso parte, come il grande Roberto Scandiuzzi e non per ultima Liliana Marzano.
Non potevamo davvero sognare di meglio!!!
Sarà Norma il 2 e 4 novembre al Teatro Francesco Cilea. Come si sente in vista di questo appuntamento “Reggino”?
Se dicessi emozionata sarebbe molto riduttivo. In realtà non sto nella pelle.
Non vedo l’ora di condividere con tutte le persone che mi hanno cresciuta e seguita questo momento. Ciò che mi rende senz’altro più felice è poter dare davvero un appuntamento reale alla mia città: penso al quartiere dove sono nata e cresciuta, che è San Giorgio Extra, e a tutti coloro che scherzosamente ad ogni mio rientro a casa ripetono sempre “Turnasti? Ti sintia cantari”.
Per ultimo,come sarà la sua Sacerdotessa belliniana?Beh, come ho detto esattamente circa un anno fa, Norma è il ruolo dei ruoli.
La percepisco come una vera e propria donna del Sud,passionale,volitiva,istintiva ma anche oltremodo razionalmente capace di morire a se stessa in nome della verità.
“Norma” è una madre protettiva e una donna di potere, come tutte le donne forti di carattere, una donna che ritrova il suo punto debole nell’amore sviscerale nei confronti di un uomo lontano da lei per forma mentis e cultura: dopo la passione arriva lo stallo, la crisi, il gelo.Norma madre rivuole accanto quel compagno che non solo è il padre dei suoi figli, ma quel nemico che sostanzialmente controlla in maniera molto femminile e sottile.
La ferita che Pollione aprirá poi, nella sua leggerezza, rischia di diventare un vortice che trascina tutto, colpevoli e colpiti.
Lei al centro divisa tra la sacerdotessa che è la personificazione della legge divina e la disarmante fragilità di un’amante tradita e ingannata.Direi che sarebbe presuntuoso e riduttivo usare, per quanto mi riguarda, un pronome possessivo per questo immenso personaggio e, in generale, è una cosa che penso per tutte le eroine che porto sul palcoscenico: di solito non amo mai dire la “Mia” Norma.
Preferisco come sempre leggere storia e spartito e riproporli poi a chi mi ascolta rispettando quanto più possibile verità di note, sentimenti e concetti.
Lascio poi al pubblico la libertà di contemplare e far propria la morale che ogni personaggio porta con sè.
Credo sinceramente che questo sia il vero compito di ogni artista ed è questo che voglio portare sul palco del Cilea.
Annunziato Gentiluomo
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