Madama Butterfly che è andata in scena lo scorso 8 aprile al Teatro Municipale di Piacenza nel complesso non ci ha convinto. Il primo atto è stato caratterizzato da un’incomprensibile lentezza. Il Maestro Valerio Galli quasi assente e pareva che tutto si potesse risolvere in un affannoso rincorrersi tra solisti e musicisti e musicisti e
Madama Butterfly che è andata in scena lo scorso 8 aprile al Teatro Municipale di Piacenza nel complesso non ci ha convinto.
Il primo atto è stato caratterizzato da un’incomprensibile lentezza. Il Maestro Valerio Galli quasi assente e pareva che tutto si potesse risolvere in un affannoso rincorrersi tra solisti e musicisti e musicisti e solisti. Sicuramente più avvincente il secondo anno, anche se nel complesso musicalmente non è emerso alcun particolare colore.
Buona la regia di Sandro Pasqualetto che ha curato nei minimi particolari tutti gli elementi tradizionali giapponesi, fra cui il rituale del tè, il gioco con i petali di fiori e il suicidio di Cio-Cio San attraverso il taglio della vena giugulare. Tale pratica, detta in giapponese jigai, prevedeva, come si è visto in scena, le gambe legate, la posizione in ginocchio e la totale solitudine dell’atto. Abbiamo gradito l’incedere di Mr Pinkerton, simbolo della diversità, espressione del rango militare e della volontà colonizzante americana, e anche le due figuranti che partecipavano attivamente alla creazione, sia ponendosi di fronte sia di spalle, di uno spazio atemporale dove avvenivano le riflessioni/confessioni tra i personaggi principali, in particolare tra Cio-Cio-San e Suzuki e tra Butterfly e il Sharpless. Contribuivano all’intensità emotiva dell’azione e proteggevano l’intimità dei dialoghi. Rimane poco chiaro, invece, il finale in cui Butterfly si rivolge al figlio non più in scena, poiché accompagnato lontano da Suzuki, e non molto riuscito il rapporto tra i due protagonisti. Il loro stare assieme è identico sia quando sono soli sia quando sono presenti con loro altre persone. Mancano, in particolare, il trasporto di Pinkerton verso Cio-Cio-San e soprattutto l’intimità fra i due.
Ben curate le luci da Claudio Schmid, capaci di ritrarre i diversi momenti della giornata e dare spessore drammatico alla scena. Bellissimi i costumi firmati da Catherine Voeffray, specialmente quello dei Yamadori e i due obi (bianco e rosso) della protagonista. Belle, semplici e funzionali le scene di Cristoph Wagenknecht: si concentrano nella struttura della casa di Butterfly, espressa su tre livelli orizzontali che lasciavano intendere location diverse.
I limiti più grandi però si sono rilevati a livello di cast.
Vincenzo Costanzo (F. B. Pinkerton) appare acerbo per questo ruolo, in quanto non pare riuscire a rendere vocalmente le sfumature del personaggio. Nonostante il bel colore e la corretta tecnica, a volte sembra sforzare e di riflesso perde in rotondità. Scompare nei trittici e in dei momenti viene sovrastato dalla musica.
La stessa Amarilli Nizza (Madama Butterfly / Cio-Cio-San), nonostante sia veterana della parte, in questa occasione è risultata poco convincente. Il suo trucco, discutibile, sembrava rappresentare metonimicamente i limiti della resa del ruolo. La sua esecuzione, nel complesso dignitosa e tecnicamente valida, risulta alterna. Poco partecipe, a volte eccessiva, altre volte impropriamente più arrabbiata che delusa, poco fluida nelle gestualità, poco libera nell’espressione vocale, incapace di esprimere l’abbandono all’amore e il dolore per essere stata ripudiata dalla famiglia. L’anima infantile del suo personaggio è da lei ignorata. Migliore senza dubbio nel secondo atto dove ha potuto liberare maggiore verve drammatica, anche, se ad esempio,è di poco effetto la celeberrima aria Un bel dì vedremo in cui manca tutta la proiezione del desiderio del personaggio e che scivola via lasciando ai presenti realmente poco.
Invece veramente convincente, totalmente nel ruolo, raffinata scenicamente e dalla vocalità piena e interessante Nozomi Kato (Suzuki), la vera risolutrice dello spettacolo. Tecnicamente ineccepibile, melodica, sempre pertinente nel suo incedere, sempre attenta ed equilibrata nel manifestarsi, ma capace anche di momenti di alto pathos e drammaticità. Senza dubbio la migliore in scena.
Molto buona la prova del baritono Mansoo Kim (Sharpless). Tale ruolo è perfetto per il suo registro. La sua vocalità, ricca di armonici, è robusta, rotonda e piena. Controlla con maestria il suo strumento, vocalmente riempie la scena e si amalgama bene nei duetti. La sua verve scenica pregevole.
Discreta la performance di Luca Casalin (Goro), a volte non totalmente preciso vocalmente nel rendere il personaggio. Come comprimari abbiamo apprezzato Cristian Saitta (Zio Bonzo) e Alessio Verna (Il principe Yamadori e Yakusidé). Entrambi dotati di buona vocalità e di convincente capacità attoriale.
I solisti sono stati ben sostenuti dal Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto da Corrado Casati.
Annunziato Gentiluomo
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