Prosegue sui social il dibattito pubblico, anche aspro, dopo che il Senato ha dato il via libera al maxiemendamento sulle unioni civili. Nella nuova riformulazione del ddl Cirinnà (ma che ricordiamo deve ancora passare all’esame della Camera), dopo il braccio di ferro all’interno della maggioranza, non ci sono più stepchild adoption e obbligo di fedeltà (come se la fedeltà tra due persone
Prosegue sui social il dibattito pubblico, anche aspro, dopo che il Senato ha dato il via libera al maxiemendamento sulle unioni civili.
Nella nuova riformulazione del ddl Cirinnà (ma che ricordiamo deve ancora passare all’esame della Camera), dopo il braccio di ferro all’interno della maggioranza, non ci sono più stepchild adoption e obbligo di fedeltà (come se la fedeltà tra due persone che si amano si potesse imporre con un documento, mentre viene da sola ed è “naturale” persino per i gay). Il testo rimane diviso in due parti: la prima introduce ex novo nell’ordinamento italiano l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale, mentre la seconda disciplina le convivenze di fatto, sia eterosessuale che omosessuale, secondo le evoluzioni della giurisprudenza già consolidata nell’ambito dei diritti e dei doveri delle coppie conviventi.
Per un’analisi dei dettagli si può fare riferimento a questo articolo. Anche il dibattito sull’obbligo di fedeltà è aperto e vivo, con posizioni contrastanti anche tra i giuristi, per esempio qui c’è uno sguardo tecnico interessante. Non sono i soli, ma sono scevri da posizioni preconcette.
A qualche giorno di distanza si possono iniziare a fare delle riflessioni a mente fredda sul travagliato percorso “all’italiana” delle unioni civili, con i suoi paradossi dal retrogusto dolce-amaro e i suoi possibili sviluppi.
Intanto non ci sono vincitori e sconfitti.
È vero che, finalmente dopo decenni, ultimi nell’Europa occidentale, le coppie gay e lesbiche possono avere diritti minimi sul piano assistenziale, previdenziale e successorio. Peccato che, per ragioni politiche, per sanare una discriminazione, si arrivi a sancirne un’altra: quella contro le famiglie arcobaleno e i loro figli che rimangono senza la tutela giuridica promessa inizialmente. Al tappeto dopo questo primo round al Senato rimangono le prime vittime, i minori.
Stralciata e rinviata chissà a quando, l’adozione del figlio naturale del partner continuerà dunque ad essere affidata alla magistratura.
E lo spettro delle reazioni della comunità glbt la dice lunga: dal rifiuto assoluto a “è un primo passo”, dall'”essere contenti” al “non accontentarsi”, dalla rabbia e delusione a una felicità che stenta a decollare. A differenza di altri paesi, l’Italia non fa esultare la comunità glbt per cui si legifera.
Il dibattito politico.
In una parola: penoso. Chiunque abbia seguito gli interventi al Senato si è imbattuto in toni e contenuti di rara volgarità e grettezza tra l’ostinazione per le procedure e il dietrofront del M5S, un PD zavorrato di cattodem, incapace di parlare con voce unica e chiara (malgrado la buona volontà della senatrice Cirinnà) e le ingiurie sguaiate e omofobiche del NCD. E non si tratta solo di senatori incapaci di pronunciare stepchild adoption, o di argomentare in italiano e con contenuti sensati. Peggio. Abbiamo sentito in un’aula del Parlamento di uno Stato che si definisce laico citare passi del Levitico, abbiamo letto emendamenti offensivi e imbarazzanti solo per fare ostruzionismo.
La ciliegina sulla torta, poi, è arrivata con le parole del ministro Angelino Alfano che si è vantato di aver impedito «una rivoluzione antropologica e contro natura».
L’Europa e noi.
Ma ora siamo davvero fuori tempo massimo. Basta valicare il confine per scoprire che in Francia, Spagna, Gran Bretagna, Danimarca, Olanda, Belgio, Svezia, Norvegia, Finlandia, Islanda, gay, lesbiche e bisessuali hanno piena cittadinanza. Perfino la cattolicissima Irlanda e ultimamente il Portogallo hanno già approvato il matrimonio per le persone omosessuali con l’idea che paternità e maternità siano fatte di esperienze e non di seme o utero (nemmeno “in affitto”).
E parliamo di matrimoni veri, senza ritocchi al ribasso alfaniani su obblighi di fedeltà, divorzi lampo, adozioni.
Quanto siamo lontani dall’Europa? Prova a rispondere Stefano Rodotà in questo articolo.
Ma rispetto al passato dei DICO e dei Pacs, il clima è cambiato. Ci sono le sanzioni e i moniti della Corte Europea, le ripetute sentenze dei tribunali italiani. Le persone gay, lesbiche, bisessuali e trans si nascondono sempre meno, non chiedono più diritti in punta di piedi. È cambiata la società. Nelle 100 piazze di #svegliatitalia, non c’erano soltanto le persone direttamente interessate.
Questa legge sulle unioni civili, nata vecchia e zoppa, mostrerà subito la propria insufficienza, la necessità di modificarla. Il diritto è già ben oltre e la sfiderà: è solo un timido primo passo, ma non può essere nè sarà l’ultimo. Ci sono buone ragioni per cercare di vederla come punto di partenza, non come punto di arrivo nè come una sconfitta.
A fianco di un cambiamento legislativo, c’è un cambiamento sociale. Un cambiamento di come il Paese ha visto e vedrà la realtà delle persone gay, lesbiche, bisessuali e trans. Che non possiamo delegare ai politici (tantomeno di tale livello), lo stiamo facendo e lo dovremo continuare a fare noi. Come si sta già facendo, bisognerà lavorare ancora e a lungo per arrivare alla piena uguaglianza. Scendendo in piazza, ma anche celebrando le unioni. A viso aperto.
Pier Luigi Gallucci
[Fonti delle immagini: publicpoloicy.it, liberties.eu, senatoripd.it, Coordinamento Torino Pride]
Leave a Comment
Your email address will not be published. Required fields are marked with *