Un film di Gianni Amelio. Con Antonio Albanese, Livia Rossi, Gabriele Rendina, Alfonso Santagata, Sandra Ceccarelli. Commedia, durata 104 min. – Italia 2013 – 01 Distribution. Uscita: giovedì 5 settembre 2013. Non c’è stato successo di pubblico né di critica ad accogliere la nuova pellicola di Gianni Amelio con protagonista Antonio Albanese, L’Intrepido, presentata l’anno
Un film di Gianni Amelio. Con Antonio Albanese, Livia Rossi, Gabriele Rendina, Alfonso Santagata, Sandra Ceccarelli. Commedia, durata 104 min. – Italia 2013 – 01 Distribution. Uscita: giovedì 5 settembre 2013.
Non c’è stato successo di pubblico né di critica ad accogliere la nuova pellicola di Gianni Amelio con protagonista Antonio Albanese, L’Intrepido, presentata l’anno scorso alla 70a edizione del Festival Cinematografico di Venezia.
Un film anomalo. Uno sguardo sofferto, struggente, a tratti surreale che supera l’ambizione realistica di far respirare allo spettatore l’aria di un tempo (la Milano contemporanea), per quella benevola, paterna, di fargli trattenere il fiato, di preservarlo da un’aria sempre più nera, sempre più irrespirabile. Si dice che il cinema italiano contemporaneo non riesca a intercettare il presente: ecco la risposta di Amelio.
Il protagonista Antonio Pane (alias A. Albanese), inguaribile ottimista, sbarca il lunario come può, lavorando come rimpiazzo per qualunque tipo di impiego. Lo vediamo all’inizio in un cantiere, alla guida di un tram, alle prese con la macchina da cucire, in una stireria, al mercato del pesce. Ci sono poi la ragazza depressa e malinconica, la moglie che si è messa insieme a un losco faccendiere, ma c’è soprattutto lui. Divorziato con un figlio ventenne, Ivo (Gabriele Rendina), che suona in una band come sassofonista, Antonio tira a campare facendo l’eterno sostituto. Nulla sembra spaventarlo se non l’inattività, il non avere un senso, il sentirsi inutili, svegliarsi la mattina e non doversi fare la barba. Una storia che con abilità struggente parla del dramma della disoccupazione e della perdita dell’identità umana.
Che dire del titolo. L’Intrepido era il fumetto (e in effetti il film somiglia per certi aspetti a un fumetto, con la stessa leggerezza, lo stesso disincanto, lo stesso eroismo un po’ picaresco dei personaggi di quel giornalino) che Gianni Amelio leggeva da ragazzo: proprio quel fumetto che il piccolo Jacques ne Il primo uomo, film dello stesso autore, nascondeva allo sguardo severo della nonna. Era così chiamato, insomma, perché intrepidi erano gli eroi protagonisti delle sue storie. Intrepido poi è ed è sempre stato, anche cinematograficamente, colui che non trema per paura, che non si lascia abbattere e che sempre con coraggio, a dispetto dei pericoli, mantiene calma e fermezza. Ma è davvero necessario, per essere intrepidi, per essere eroi, mostrare i muscoli, essere spavaldi? Cosi almeno la pensa il duo Albanese-Amelio. L’eroismo a cui Albanese presta il volto nel film, allora, è una forma di resistenza atipica, un pacifismo discutibile perché ai limiti della tolleranza e quanto mai lontano dai modelli reazionari cui siamo sempre più abituati ad assistere.
Eloquente la scelta ironica dei nomi propri: Ivo, robusto come la pianta del tasso, da cui il nome, di origine celtica, deriverebbe; la luminosa Lucia. In un mondo in cui i figli, tenuta sotto scacco ogni speranza, stanno peggio dei padri, il protagonista Antonio Pane, la cui faccia è inequivocabilmente buona (come il pane, appunto) è intrepido perché, in una condizione di precariato estremo, non ha – racconta Albanese in conferenza stampa – inquietudini banali, ma accetta la solitudine, il lavoro precario, la paga saltuaria, l’abbandono della moglie, un concorso andato male, senza mai perdere la speranza che domani sarà meglio. Un uomo onesto, sempre disposto a dare senza chiedere nel lavoro e negli affetti, ma pronto a voltare le spalle all’insensatezza di un sistema sociale, prima che economico, che non contempla neppure l’illusione di qualcosa di «giusto da indicare» (neanche un paio di scarpe a un possibile acquirente).
Il nostro campione di rimpiazzi, dunque, è un eroe di tutti i giorni, erede diretto dei personaggi interpretati da mostri sacri come Sordi, Tognazzi, De Sica. Del resto, la storia richiama curiosamente alla mente il protagonista di Ladri di biciclette del 1948: uno dei primi lavori svolti da Antonio sarà proprio l’attacchino munito di bicicletta, mezzo che gli verrà sottratto con la forza. Così come evidenti sono i debiti al Miracolo a Milano di De Sica e addirittura – confessa l’autore – «per certi versi al cinema muto, Chaplin, Buster Keaton» . A distanza di oltre sessant’anni, complessivamente, il cinema italiano torna a rappresentare sul grande schermo uomini semplici, poveri e non miseri, mai disposti a cedere ai compromessi dell’immoralità, della corruzione e del sopruso.
Pollici in su per un cinema autentico, vero, di alto spessore morale seppur con qualche caduta nei dialoghi e qualche carenza dal punto di vista del tessuto narrativo. Ma soprattutto per il protagonista, quel doppio personaggio, quell’allegro, solare, intrepido, nel lavoro di un altro, fragile e disarmato nei sentimenti, che sa costituire un ponte di passaggio, di spinta verso il domani. Il domani, appunto: un altro giorno perennemente in sospeso, ma almeno intriso di desiderio, di quella speranza che va di pari passo con il rispetto per l’essere umano e la difesa appassionata della dignità.
Perché, comunque lo si giudichi, quello di Amelio è un film che, non imboccando la strada della lamentela fine a sé stessa sull’impossibilità di cambiare, esige un lieto fine. E lo fa proprio come nei fumetti de l’Intrepido, dove c’erano tante storie ambientate in tutti i mondi e le epoche possibili, ogni settimana si restava con il fiato sospeso… Ma sapevi che 15 settimane dopo con la parola fine arrivava la felicità (G. Amelio).
Giuseppe Parasporo
N.B. In corsivo le citazioni del regista dalla Conferenza Stampa del Festival. Venezia, 4 settembre 2013
[Fonti delle immagini: rbcasting.com; lapagina.ch; palomaronline.com; blog.screenweek.it]
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