Beati gli ultimi perché saranno i primi. Durante il darshan di Swami Roberto di oggi, domenica 9 febbraio, è il versetto del Vangelo che mi è risuonato di più. Fa parte della parabola dei lavoratori della vigna (Matteo 20,1-16) dove viene descritto il Regno di Dio. Gli ultimi… un messaggio controcorrente in quanto viviamo in una società competitiva,
Beati gli ultimi perché saranno i primi. Durante il darshan di Swami Roberto di oggi, domenica 9 febbraio, è il versetto del Vangelo che mi è risuonato di più. Fa parte della parabola dei lavoratori della vigna (Matteo 20,1-16) dove viene descritto il Regno di Dio. Gli ultimi… un messaggio controcorrente in quanto viviamo in una società competitiva, performante, alienante, dove non abbiamo il tempo neppure di ascoltarci, dove siamo preoccupati a fare dimenticandoci di essere, dove sono imperanti ingiustizie, soprusi, discriminazioni e diseguaglianze. Tra queste ultime quella di genere e in tal modo arriviamo alla lectio divina di Swami Roberto a Leinì (TO) che si è infatti focalizzata sull’incontro tra Gesù e una donna samaritana che non fu mai identificata, per permettere a ciascuno di noi, facilmente, di attivare un processo di identificazione.
In quel tempo Gesù giunse a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva»; gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: «Io non ho marito». Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui(Giovanni, 4, 5-30).
Swami Roberto ha dedicato molto spazio alla presentazione della situazione socio-economica della donna ai tempi di Gesù. La “regina del focolare” poteva essere ripudiata dall’uomo anche per futili e banali motivi. Non le era consentito conversare nemmeno col proprio marito. Le donne, a differenza di oggi, erano invisibili, senza nome, erano ombre, prive di diritti, prive di identità, totalmente succubi e in balia degli uomini. Questi ultimi in pubblico non potevano rivolgersi a una persona di sesso femminile: era disdicevole confrontarsi con un essere considerato socialmente inferiore. Farlo con la donna in questione inoltre era oggetto di sicuro scandalo: viveva con un uomo che non era suo marito, probabilmente un compagno, dopo essere stata abbandonata da altri cinque in precedenza. Una vita sicuramente non semplice, ridotta allo stremo e oggetto di scherno, derisione e critiche profondissime: una donna che portava un’onta sociale enorme e che quindi era sulla bocca di tutti come una poco di buono, una vittima come tante donne ancora oggi, giudicate male a volte anche ingiustamente.
Gesù, andando oltre schemi, ruoli, consuetudini e regole sociali, addirittura, davanti allo sconcerto dei suoi discepoli, figli di quella cultura, non solo l’accoglie, ma le mette nella mani la propria condizione divina: le rivela, infatti, di essere l’Avatara, il Messia, il frutto dell’incarnazione del pensiero di Dio Padre. Dunque, Gesù le affida questo messaggio, del quale lei, espressione dell’entusiasmo, della vivacità e della curiosità, propri dell’animo femminile, si fa subito promotrice fra i più.
Inoltre Gesù sceglie, a dimostrazione del messaggio cristiano più puro che nell’uguaglianza, nella solidarietà, nella compassione e nell’amore trova i suoi più importanti cardini, per questa rivelazione una donna oltretutto samaritana. I samaritani erano considerati dagli ebrei del tempo come un piccolo popolo di stupidi e bastardi (così li etichettavano), seguaci di una religione eretica. E Swami non può evitare di associare a ciò quanto succede oggi alla cultura ramirica che subisce la critica di eresia da parte del mainstream cattolico. Lo fa con dolcezza, con garbo, con compassione, anche se percepisco del dolore, dolore che porta dentro e che è frutto della sua storia tutt’altro che semplice e del suo compito piuttosto arduo. Quanto sarebbe bello se oggi il credo non rappresentasse una barriera invalicabile che separa! Come sarebbe bello se si potesse realmente credere che i semi del verbo siano diffusi in tutte le spiritualità! Come sarebbe bello se la diversità anche religiosa fosse vista come un valore e non come la manifestazione di un presunto nemico, semplicemente perché altro da te.
Swami ha approfondito inoltre la differenza tra Dio e il cervello dell’uomo: mentre il secondo è programmato per classificare, per categorizzare, il Padre che è nei Cieli non fa distinzione alcuna e ama in modo unico, speciale e dedicato ciascuno dei suoi figli. Questa verità ci dà speranza perché ci rende consapevoli di non essere mai da soli, di non essere mai abbandonati. Dio, se decidesse di mettere in gioco la propria Onnipotenza sfidandosi, potrebbe certamente farlo perché Tutto Egli può. Esiste per Lui un unico limite con cui non si potrebbe mai confrontare che è il non riuscire a non amarti. Questo Essere speciale che si chiama Dio al di là delle nostre personali negligenze dovute a scelte personali o contestuali non abbandonerà alcuno dei Suoi figli, precisa il fondatore di Anima Universale. Infatti, proprio alla samaritana, e anche a te, Gesù dice: Dammi da bere, continua Swami. Ovvero, accolgo la tua acqua, accolgo la tua vita, accolgo tutto di te. Quando nessuno ti considera, quando tutti ti giudicano male, io ti chiedo di aprirti con me: ho sete di te. E se tu sapessi chi è che ti dice: Dammi da bere, saresti tu a chiedermelo, e io ti darei dell’acqua viva.
Forti di questa convinzione, è fondamentale, proprio come fece la samaritana, rivolgersi a Dio con sincerità, non mentendo a noi stessi, non nascondendo le nostre miserie, senza vergogna, ma animati da una fiducia infinita nella magnificenza di Dio Padre che è paziente, amorevole e compassionevole e che desidera che ciascuno di noi risvegli la propria divinità interiore, legittimandosi come figlio di Dio. Quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità sottolinea Gesù nel racconto dell’evangelista Giovanni, perché Dio è Spirito e, in quanto tale, parla al nostro spirito, non al nostro intelletto: in quel momento la luce ci irrora, il nostro inconscio viene purificato e si attiva il risveglio. Non è ancora adesso ben interiorizzato tale concetto perché altrimenti non esisterebbe tanta materialità diffusa soprattutto in campo spirituale. Non ci sarebbe questo mercato del servizio e del dolore.
Swami Roberto ci ricorda pure che mentire a se stessi significa non volersi bene, e che il primo step per attivare la guarigione spirituale è proprio amarsi, manifestarsi in modo autentico, ascoltarsi senza filtri, conoscersi, essere coscienti di chi si è e anche degli errori commessi o dei traumi vissuti, e agire con consapevolezza. Alla fine ci invita ad essere pozzi pieni della grazia di Dio e di rivolgerci al Padre nostro così: Dio, mio rifugio, sii il mio specchio, purifica il mio inconscio e liberalo dal buio. La chiarezza come l’acqua limpida sia sempre con me per tua grazia, o Padre mio.
Una domenica intensa. Un darshan potente. E ancora ho i suoi occhi profondi che incrociano i miei e mi trasferiscono forza e consapevolezza. Tante emozioni. Tanti Divini Insegnamenti. Tanta divina umanità.
Annunziato Gentiluomo
Leave a Comment
Your email address will not be published. Required fields are marked with *