728 x 90

L’immagine impossibile del genocidio cambogiano al TFF32

L’immagine impossibile del genocidio cambogiano al TFF32

La 32esima edizione del Torino Film Festival si è chiusa, tre giorni fa, con un evento importante al Cinema Classico, la proiezione in anteprima del film L’immagine mancante del cambogiano Rithy Panh, presente in sala. Il film, già presentato nella sezione documentari internazionali al Torino Film Festival dell’anno scorso, è stato riproiettato per i giornalisti

49958La 32esima edizione del Torino Film Festival si è chiusa, tre giorni fa, con un evento importante al Cinema Classico, la proiezione in anteprima del film L’immagine mancante del cambogiano Rithy Panh, presente in sala. Il film, già presentato nella sezione documentari internazionali al Torino Film Festival dell’anno scorso, è stato riproiettato per i giornalisti e per gli insegnanti (su invito dell’Aiace) domenica 30 novembre grazie alla collaborazione con l’Accademia di Francia a Roma – che presenta in questi giorni la quarta edizione del festival Cinemondo – e con il distributore italiano Stefano Jacono di Movies Inspired. L’uscita del film nelle sale italiane è prevista per domani 4 dicembre, mentre la retrospettiva dei film di Rithy Panh, con una scelta di titoli presentati a Roma nell’ambito di Cinemondo e una proposta di film inediti, in prossima uscita italiana, sarà ospitata sempre dal cinema Classico a partire da gennaio. Rithy Panh, premiato in alcuni dei più importanti festival internazionali di cinema, tra cui il Festival di Cannes nel 2013 nella sezione Un Certain Regard, proprio con il documentario L’immagine mancante (L’Image manquante), è stato candidato nel 2014 al premio Oscar nella categoria “miglior film straniero”.
L’immagine che manca, e che il regista ha cercato ossessivamente per decenni, è la foto incriminante, la foto che rivela un genocidio, quello del popolo cambogiano ad opera dei kmer rossi e del loro capo Pol Pot. Ebbene questa immagine non esiste, non esiste negli archivi, non esiste nei giornali: il cinema però, se non può crearla dal nulla, può testimoniarne almeno la ricerca. L’immagine mancante è proprio questa ricerca della fedeltà alla verità, con i mezzi propri dell’arte.
Quando in Cambogia inizia lo “straordinario balzo in avanti”, ispirato alla politica di Mao, si 048451diffonde immediatamente come una pestilenza l’ideologia utopistica del “partire da zero”, del ritorno ad un rousseauniano stato del buon selvaggio. La purezza della rivoluzione ha il prezzo della cancellazione: sono programmaticamente aboliti i ricordi, le parole vecchie sostituite con parole nuove, i nomi cancellati. Si viene spogliati di tutto, si resta in possesso unicamente di un vestito nero e di un cucchiaio, essendo persino una pentola borghese e individualistica. Quando arriva anche la fame – mascherata da equa e giusta distribuzione delle risorse -, allora tutto diventa possibile, perché la migliore arma di conquista totalitaria è il vuoto.
Tutto questo non ha una immagine, un corrispettivo cinematografico o fotografico, e forse non si può neanche raccontare a parole. Il regista Rithy Panh allora sceglie di rinunciare alla fiction cinematografica, che sarebbe stata del tutto inadeguata, ma anche al linguaggio del documentario classico. Come ha raccontato durante l’incontro del 30 novembre, era partito due anni prima dall’idea della sua casa a Phnom Penh, che però ormai non esisteva più, avendo essa subito mostruose metamorfosi dal 1975 (bisca, locale per karaoke, bordello…): ha così chiesto ad uno scultore di crearne un modellino. Vedendo l’artista lavorare la creta, mescolare fango e acqua, ha avuto l’intuizione che tutti i personaggi e le location del film avrebbero potuto essere sostituiti da modellini e figurine di creta. Non si pensi però ad un film di animazione: L’Immagine mancante non ha attori né luoghi, e i suoi personaggi sono immobili, piccole statuine pietrificate 1523384_452413871526090_1348494270_odall’orrore. Talvolta le figurine di fango si sovrappongono ad immagini di repertorio, e si fondono con l’orrendo paesaggio di distruzione, quello purtroppo reale degli anni di Pol Pot. I piccoli personaggi di creta sono colorati e rumorosi, prima della “rivoluzione”, e poi diventano emaciati e inespressivi, dopo, quando il mondo perde i colori e i suoni della vita. Phnom Penh – città natale del regista – si spopola, e così pure le altre città, giudicate impure e corrotte, e i cambogiani diventano letteralmente servi della gleba da rieducare, con torture e slogan: non c’è più spazio per la cultura e nemmeno per il pensiero espresso, giacché la penna è sostituita dalla vanga e la carta dalla terra.
La famiglia del regista è stata sterminata: il primo a cadere è stato il padre, che come gesto disperato di libertà si è rifiutato di mangiare il cibo delle bestie. Poi sono morti gli altri. Rithy Panh ha dichiarato di essere diventato un regista proprio per testimoniare tutto questo, per rielaborare infinite volte un lutto personale e un trauma collettivo. Ritiene di non aver “chiuso il cerchio”, di non aver pareggiato i conti con il passato e con l’oblio neanche con questo film.
La scelta antirealistica delle immagini ha il suo corrispettivo sonoro nella voce fuoricampo che commenta, una voce invadente e marcatamente poetica. Non si scade però mai nel retorico né nell’intellettualistico, perché non è possibile: mentre scorrono le immagini drammatiche dei pochi filmati di repertorio salvati dalla distruzione (Panh, tra l’altro, ha fondato nel suo Paese proprio un centro di recupero di materiali d’archivio), il silenzio sarebbe insopportabile e una voce che spiega sarebbe fuori luogo. La poesia, balsamica e infantile, prova sempre (e qui riesce) a non uccidere i morti.

Gianna Cannì

Posts Carousel

Leave a Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked with *

Latest Posts

Top Authors

Most Commented

Featured Videos

Questo è il testo del banner.
Maggiori informazioni