C’è un po’ di fibrillazione fra i paleontologi da quando una recente scoperta ha portato alla luce i resti dell’Homo naledi, scoperta che rende ancora più misterioso il percorso dell’evoluzione umana. 1550 fra resti fossili di ossa e denti sono stati rinvenuti in una caverna molto profonda, la Dinaledi, raggiungibile solo attraverso un cunicolo strettissimo
C’è un po’ di fibrillazione fra i paleontologi da quando una recente scoperta ha portato alla luce i resti dell’Homo naledi, scoperta che rende ancora più misterioso il percorso dell’evoluzione umana.
1550 fra resti fossili di ossa e denti sono stati rinvenuti in una caverna molto profonda, la Dinaledi, raggiungibile solo attraverso un cunicolo strettissimo che collega un intrico di grotte, vicino Johannesburg, in Sudafrica.
Come gli ominidi siano arrivati fin lì non è chiaro e questo è uno dei motivi che crea frizione fra diverse equipe di specialisti: i resti non sono stati portati laggiù da predatori, non vi sono scheletri di altri animali, non è chiaro se siano rimasti intrappolati da vivi o depositati in questo luogo da morti.
Di sicuro si contano i resti di 15 individui, con ritrovamenti plurimi di stesse parti di scheletro: mano, polso, palmo, di costituzione già evoluta, anche se ancora con dita arcuate, adatte all’arrampicata. I piedi somigliano a quelli dell’Homo sapiens, mentre spalle, bacino e femore sono primitivi.
A fronte di un cranio piccolo, ma del genere Homo, il peso è stimato fra i 40 e 55 kg.
Insomma una ricerca straordinaria, che mette un po’ di disagio al punto che i ricercatori non hanno ancora datato i fossili, c’è cautela perché se l’Homo naledi risalisse a più di due milioni di anni fa, la specie potrebbe rappresentare uno dei primi stadi dell’evoluzione del genere Homo. Diversamente, se i fossili avessero meno di 100mila anni, si potrebbe trattare di un parente dell’Homo sapiens, sopravvissuto fino a epoche recenti.
Elena Miglietti
[Fonte Immagini: nationalgeographic.com, lumsanews.it, .wikipedia.org]
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