Durante la tre giorni torinese del Festival del Giornalismo Alimentare, tenutosi nel mese di febbraio, abbiamo conosciuto molte realtà e molti progetti legati al cibo, o che attraverso il cibo perseguono altre finalità. Uno di questi è “La ricetta del dialogo”, realizzato grazie a una sinergia tra Slow Food, l’ Agenzia Italiana per la Cooperazione
Durante la tre giorni torinese del Festival del Giornalismo Alimentare, tenutosi nel mese di febbraio, abbiamo conosciuto molte realtà e molti progetti legati al cibo, o che attraverso il cibo perseguono altre finalità. Uno di questi è “La ricetta del dialogo”, realizzato grazie a una sinergia tra Slow Food, l’ Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, Regione Piemonte, Città di Torino, le associazioni LVIA, Renken, Colibrì, Panafricando, ASBARL.
Le persone coinvolte sono residenti in 6 province piemontesi e provengono da oltre trenta Paesi. Il cibo, in questo caso, gioca un ruolo fondamentale come strumento di integrazione e di conoscenza, ma anche come appiglio per non vivere un totale spaesamento. Così, i partecipanti sono stati invitati ad aprire – letteralmente – le porte delle loro case e offrire la possibilità di sedersi al proprio tevolo e conoscere i piattitipici del proprio Paese di origine, favorendo così la convivialità e la conoscenza reciproca. Al Festival il progetto è stato presentato da Abderrahmane Amajou, che per Slow Food coordina i progetti legati alla migrazione. Lo abbiamo intervistato per fare il punto.
A che punto è la realizzazione e se sono stati fino ad ora raggiunti gli obiettivi attesi?
Tra novembre e dicembre dello scorso anno, nell’ambito del progetto Slow Food si è occupata della realizzazione di 4 percorsi formativi per 91 persone, residenti sul territorio di sei province piemontesi, provenienti da oltre trenta Paesi e con numerose esperienze nel mondo dell’agricoltura, della ristorazione e del commercio. La formazione ha avuto l’obiettivo di fornire ai partecipanti quegli strumenti utili che possono trasformare i loro patrimoni culinari in competenze qualificate per diventare autonomi e creare economia nel settore alimentare. Alcune esperienze, in particolare, sono state selezionate dai partner di progetto e premiate come le migliori idee imprenditoriali basate sulla valorizzazione della cultura gastronomica e della sua componente interculturale, i cosiddetti Ristoranti in casa. Questi comprendono, infatti, otto attività di accoglienza e ristorazione tradizionali con il valore aggiunto dell’interculturalità presso la propria abitazione. A raccontarle saranno le pagine di un Ricettario migrante. Non si tratta solo di un semplice libro di ricette, bensì di un vero e proprio biglietto da visita, attraverso il quale le comunità migranti che hanno aderito all’iniziativa potranno raccontarsi e aprire le porte delle proprie case per ospitare e condividere le proprie tradizioni.
Vi è l’intenzione e/o la possibilità di ripetere l’esperienza e di farla diventare un’attività continuativa?
Le Ricette del dialogo è parte di un percorso che Slow Food intraprende da anni con iniziative e attività pensate per dare un contributo concreto all’interazione tra le diversità umane. Slow Food crede fortemente che promuovere la solidarietà e l’interazione tra diverse culture sul medesimo territorio debba essere più che mai una priorità – a maggior ragione nel periodo storico che stiamo vivendo – e che la costruzione di una società multietnica si basi anche sulla valorizzazione delle competenze di ognuno, soprattutto se queste derivano da tradizioni gastronomiche antichissime. Le Ricette del dialogo va proprio in questa direzione, dando vita a un processo che Slow Food intende portare avanti con la società civile tutta e le istituzioni locali e nazionali. In questo, il lancio dei Ristoranti in casa sarà un passo di fondamentale importanza per rinnovare l’impegno di Slow Food nella promozione del cibo come trait d’union tra vecchi e nuovi abitanti, un fattore capace di innescare dinamiche virtuose di dialogo e conoscenza reciproca e di creare comunità. Ed è proprio questo il legame che Le Ricette del dialogo intende enfatizzare, soprattutto se arricchito della cultura, anche gastronomica, che i migranti portano con sé, in termini di conoscenze, ricette e semi.
Infine, potresti raccontarci un aneddoto particolarmente efficace per descrivere il progetto?
L’anedotto del progetto è il suo sottotitolo: Non conosci realmente una persona finchè non mangi con lei. Questa è una frase araba che racchiude dentro se l’importanza di creare convivialità, l’ospitalità. Quando si mangia con una persona si riesce ad abbattare quel muro invisibile di paura, di dubbio e si riesce a creare quell’intimità che ti porta a conoscere le persone attorno al tavolo, con le quali condividi il piatto.
Ringraziamo Abderrahmane Amajou e invitiamo i nostri lettori a seguire il progetto attraverso i canali social o i sui siti web delle associazioni promotrici, convinti dell’importanza dei progetti e delle iniziative che, come questa, riescono ad avere un impatto positivo sulla vita dei singoli e delle comunità.
Chiara Trompetto
[Fonti delle immagini: prime due nel testo e copertina: pagina facebook Le ricette del Dialogo; ultima: Slow Food Italia]
Leave a Comment
Your email address will not be published. Required fields are marked with *