Venerdì 25 marzo, nell’ambito del Progetto Diderot della Fondazione CRT, è stata mandata in scena, alle OGR di Torino, in prima assoluta per il pubblico serale, l’opera show Le avventure dei fratelli Spark e il tesoro di Teotihuacan, scritta e diretta da di Mario Acampa, e prodotta dalla Fondazione Accademia Perosi, che cura l’intero progetto. Un caleidoscopio di musica e colori, valorizzati dai variopinti e
Venerdì 25 marzo, nell’ambito del Progetto Diderot della Fondazione CRT, è stata mandata in scena, alle OGR di Torino, in prima assoluta per il pubblico serale, l’opera show Le avventure dei fratelli Spark e il tesoro di Teotihuacan, scritta e diretta da di Mario Acampa, e prodotta dalla Fondazione Accademia Perosi, che cura l’intero progetto.
Un caleidoscopio di musica e colori, valorizzati dai variopinti e pomposi costumi di Agostino Porchietto.
Lo spettacolo è stato un viaggio nel tempo e nella storia, alla scoperta dei sentimenti atavici dell’essere umano e soprattutto fra le sue paure. I due protagonisti, i fratelli Spark – Lucy e Noah – interpretati con entusiasmo e passione da Mirjam Schiavello e Matteo Sala, chiamati nel passato e dall’altra parte del mondo, tra le piramidi Maya, in Messico, a dover salvare praticamente da se stessa Teotihuacan, dovranno, come prova, confrontarsi con le proprie paure, sconfiggere e comprendere come sono alla base di azioni spropositate e irreversibili sia a livello del singolo sia a livello della comunità.
Quella di Acampa è una regia ben strutturata, con una chiara idea portante e capace di tenere insieme tanti movimenti e tante azioni. Forse a volte ripetitiva e prevedibile per un pubblico adulto, mentre rassicurante per i piccoli che si sono sentiti coinvolti, hanno partecipato attivamente allo spettacolo e lo hanno apprezzato visibilmente. A nostro avviso forzata la scelta di rapportarsi all’attualità mettendo in scena il dramma ucraino: avremmo preferito rimanesse senza tempo e non calato in un contesto specifico, aspetto che l’ha reso al limite fra il fazioso e la propaganda e che ha fatto perdere in universalismo. Sarebbe stato più onesto, dato il valido testo drammaturgico dove svolge un ruolo importante la leggenda del colibrì, permettere a ciascuno di rispondere da sé alla domanda alla base della pièce (è possibile rispondere alla violenza senza fare ricorso ad altra violenza?), e non imboccarlo, cercando l’approvazione dei più. La sua regia ha trovato nelle pertinenti scenografie di Francesco Boerio, nella mai prevedibile lighting design di Giovanni Ricciardi e nelle proiezioni curati da Riccardo Alessandri, validissime compagne di viaggio.
Rispetto alla direzione musicale, abbiamo decisamente apprezzato il M. Maestro Marco Alibrando che ha fatto un vero miracolo. Il suo gesto sicuro, la sua imponente attenzione a quanto avveniva e la sua grande flessibilità umana e professionale gli hanno garantito di essere un forte nocchiero dell’Orchestra Talenti Musicali della Fondazione CRT, composta da giovani musicisti. È stato capace di valorizzare ogni comparto, intervenire medicalmente sulle minime e ingenue imperfezioni e soprattutto superare il limite che l’amplificazione, raggiungendo il pubblico con un suono rotondo e ben equilibrato e muovendosi con competenza su brani appartenenti a momenti storici lontani nel tempo e nello spazio (l’ouverture dell’Olandese volante di Richard Wagner, la Danza Infernale tratta dall’Uccello di fuoco di Igor Stravinsky, brani tratti da La Cenerentola di Gioachino Rossini e da Summertime di George Gershwin, e l’aria Dopo tante amare pene tratta da Alcina di Georg Friedrich Haendel), adattati da Diego Mingolla.
Non tutte le voci liriche sono state all’altezza del ruolo. Il comparto femminile migliore di quello maschile. Tra tutti si è distinta Francesca Biliotti (Metzitli) che ha saputo tratteggiare con delicatezza le sue parti, esprimendo grande musicalità, valida tecnica e consolidata conoscenza del repertorio. Anche Fè Avouglan (Xipe) si difende bene, mostrando una verve scenica convincente e una voce rotonda e potente. Buona la performance di Bekir Serbest (Tonatiuh) che, a nostro avviso, non ha portato esprimere pienamente il proprio strumento. Stucchevole, invece, l’idea del suo personaggio effeminato in cui il cantante si è perfettamente calato: non capiamo cosa ci sia ancora di divertente a mettere in scena l’omosessualità in tal modo. Non convince, invece, Emilio Marcucci (Tlaloc) che non sembra in serata: forse ha pensato di poter giocare in economia, sottovalutando quanto il suo ruolo richiedeva.
Abbiamo, infine, gradito complessivamente le coreografie di Raphael Bianco ben eseguite dai danzatori della Compagnia Egri Bianco Danza.
Un’immersione nel mondo delle civiltà precolombiane tra forzieri, oggetti preziosi e rituali magici., un modo leggero e pertinente per avvicinare i giovani all’opera che la platea di OGR ha sicuramente molto apprezzato.
Nobile infine la scelta di devolvere l’intero incasso della serata al Sermig per l’accoglienza e l’acquisto di cibo e beni di prima necessità a favore delle bambine e dei bambini in fuga dalla guerra con le loro famiglie.
Annunziato Gentiluomo
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