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L’arte come “vertigine” e chiave di lettura del quotidiano nella ricerca pittorica di Stefano Pasquini

L’arte come “vertigine” e chiave di lettura del quotidiano nella ricerca pittorica di Stefano Pasquini

Paradossalmente io mi sento uno scultore, in senso filosofico. Perché mi voglio sentire parte di questo spazio fisico, come solo la scultura sa fare. Per cui forse la scultura è il mio media preferito, anche se dipingere è indubbiamente l’esperienza artistica più intensa. Dipingere davanti a un pubblico è un’esperienza unica e meravigliosa. Abbiamo conosciuto

Stefano_W._Pasquini_-_ph._Stefano_StagniParadossalmente io mi sento uno scultore, in senso filosofico. Perché mi voglio sentire parte di questo spazio fisico, come solo la scultura sa fare. Per cui forse la scultura è il mio media preferito, anche se dipingere è indubbiamente l’esperienza artistica più intensa. Dipingere davanti a un pubblico è un’esperienza unica e meravigliosa. Abbiamo conosciuto Stefano Pasquini qualche anno fa, mentre stavamo organizzando dei laboratori artistici per un progetto di inclusione, Pinksie The Whale, che doveva coinvolgere le classi terze della Scuola Primaria A. Spinelli. Siamo rimasti subito impressionati dalla sua energia e dal suo entusiasmo. In pochi istanti aveva già conquistato i giovani artisti e aveva cominciato a pensare e progettare con loro. Un laboratorio straordinario, di indescrivibile creatività, che ha consentito a tutti i suoi piccoli allievi neofiti di esprimere le proprie emozioni con grande libertà e ironia. Un artista ricco di talento, apprezzabile nella sua semplicità, ma forte nella sua determinazione artistica. Figlio di un metalmeccanico, finita l’Accademia, Pasquini ha lasciato l’Italia per un decennio: Dublino, Londra e New York, dove al lavoro d’artista ha sempre affiancato vari dayjobs per vivere. Dopo un decennio e mezzo in Italia, ora ha il privilegio di poter insegnare in un’Accademia importante come l’Albertina di Torino e il tempo necessario per concentrarsi sulla sua ricerca artistica. Oltre ad esporre in luoghi prestigiosi come l’ICA di Londra o Art in General a New York, ha sempre curato mostre e scritto d’arte, convinto che l’esperienza dell’arte sia una conquista quotidiana. Quest’anno ha anche pubblicato un libro su Elia (Alessandro Greggio), un compagno d’Accademia, pittore meraviglioso, purtroppo scomparso nel 2005. In un’intervista Stefano W. Pasquini ci racconta la sua arte in cui emerge la profonda maturità artistica di un uomo che vive e racconta il suo tempo, interpretandolo con un certo realismo e con spirito critico, ma rivisitandolo con creatività e fantasia. Le sue opere vogliono essere parte del mondo reale e magari raccontare una realtà alternativa ma possibile, ma soprattutto vorrebbero essere una chiave di lettura del nostro quotidiano che abbia un leggero spostamento di senso, una leggera vertigine che ci permetta di guardare le cose da un’angolazione leggermente diversa, precisa l’artista. Pasquini rappresenta l’uomo con tutte le sue contraddizioni, realisticamente, ma cerca simultaneamente di epurare la realtà da tutto ciò che è in dissonanza. Egli ama definirsi un artista orizzontale perché con la sua arte si rivolge a tutti per invitarci a vivere la vita in modo più creativo, tralasciando giudizi e pregiudizi.

Quando hai capito che la tua vita doveva essere dedicata all’arte? Racconta come ti sei avvicinato all’arte. Ho sempre disegnato quando ero alle elementari e alle medie, poi in terza media, a dodici anni, ci è stato consegnato un libretto con tutti gli istituti superiori che potevamo frequentare. In fondo a tutti c’era l’Accademia di Belle Arti e mi è sembrato un posto fantastico, con tutte quelle statue in una piccola foto in bianco e nero. Ho letto tutto il libretto per poi scoprire che per frequentare l’Accademia occorrevano 18 anni, così ho optato per il Liceo Artistico con l’intento di passare poi all’Accademia. Avrei studiato scultura, se non fosse stato per un professore del liceo che mi odiava e me l’ha fatta odiare.

In che modo la tua vita e il tuo passato hanno influenzato positivamente il tuo modo di fare arte? Spesso le mie opere si basano su problematiche reali o politiche, per cui tutta la mia esperienza di vita ha influenzato positivamente la mia ricerca artistica. L’aver vissuto per tempi consistenti fuori dall’Italia sicuramente ha infuso una maggior libertà al mio modo di fare arte.

Raccontami il senso della tua ricerca pittorica… Sono cosciente che operare una ricerca pittorica figurativa in questo millennio sia anacronistico, ma nello stesso tempo l’energia della pittura è qualcosa di ancestrale, che ci fa bene. Accettando che ora sia impossibile creare innovazione in pittura, possiamo comunque cercare di continuare il suo percorso di storia, che è la storia dell’uomo.

Raccontami il senso della tua ricerca concettuale… Parto da un’ideale di libertà stilistica. Perchè dover creare uno stile proprio quando siamo esseri così complessi e sfaccettati? L’unico motivo reale è il mercato. Una volta messo da parte questo, decido che la mia idea debba essere espressa nel modo che io reputo migliore, indipendentemente dal mezzo con cui la esprimo. Dunque può diventare un quadro, un’installazione sonora, una fotografia o un libro.

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(Stefano W. Pasquini – Open Studio – 2015, installazione performativa, The Others, Torino.

Nello spazio della cella delle Carceri Nuove di Torino, l’artista decide di riportare il suo studio in tutto e per tutto, dipingendo dal vivo per i quattro giorni della durata della fiera ed intrattenendosi con i visitatori.)

Come nasce un’idea? Cos’è per te l’ispirazione?
Spesso nasce da un corto circuito lessicale. Giochi di parole che diventano qualcosa di altro, oppure frasi sentite che sono così solide che sentono il bisogno di diventare una scultura. Alle volte è il suono stesso delle parole, come Frightening Figure che diventa una pedana fatta di parole.

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(Stefano W. Pasquini – US1001 – 2010, legno e materiali vari, 35 x 326 x 66 cm. I materiali di scarto che compongono questa passerella vanno a formare la scritta “Frightening Figure” (figuro spaventoso). La parola diviene scultura lasciandoci l’incognita sul chi sia questa figura.)

Quali sono tre punti di riferimento nella storia dell’arte, tre artisti di ere diverse che hanno influenzato la tua visione artistica? Perché?
Raffaello, Gauguin e Man Ray. In tutti e tre i casi l’approccio è concettuale, ma penso che tutti abbiano cercato di raccontare il loro momento storico al meglio delle proprie possibilità. Per Raffaello e Gauguin conta anche la qualità della pittura, ma Man Ray è indubbiamente l’artista a cui mi sento più vicino. La sua vivacità intellettuale, la sua ironia e il suo surrealismo innato, il suo disinteresse per la tecnica me ne hanno fatto innamorare quando ancora ero al liceo artistico e tuttora influenza il mio modo di fare arte. Un’idea di arte come libertà personale, senza distinzioni sociali, in cui tutti possono intervenire.

Tecnica e pensiero: come convivono nel tuo lavoro e nel tuo essere?
La tecnica mi interessa poco, il pensiero tantissimo. L’idea che il tuo pensiero possa improvvisamente prendere una tangente inaspettata, grazie all’incontro con una mia opera, è la cosa più interessante di tutto il mio operato.

Come definiresti il tuo lavoro al di là di qualsiasi definizione già attribuita?
Orizzontale. Intendo socialmente orizzontale. Mi piace pensare alla creatività di tutti, e a quanto potenziale ci sia in essa. Spero che il mio lavoro possa ispirare gli altri a vivere la loro vita in maniera più creativa.

Come ti definisci come artista?
Mi definisco un artista concettuale per semplificare la spiegazione del mio lavoro, ma non è un termine che mi appassioni. Tutta l’arte è concettuale. Forse mi dovrei definire un artista orizzontale.

Cosa rappresenta per te l’arte?
L’arte è un linguaggio in più che tutti abbiamo per esprimerci. Ed è tutta valida, perchè deve servire prima di tutto a noi stessi. Quando arriva all’altro è un bonus, è lì che scatta la magia.

Guardando alla tua produzione artistica, quali sono i generi e i modi espressivi che preferisci?
Paradossalmente io mi sento uno scultore, in senso filosofico. Perchè mi voglio sentire parte di questo spazio fisico, come solo la scultura sa fare. Per cui forse la scultura è il mio media preferito, anche se dipingere è indubbiamente l’esperienza artistica più intensa. Dipingere davanti a un pubblico è un’esperienza unica e meravigliosa.

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(Stefano W. Pasquini – UC1501 – 2015, collage su carta, 13,5 x 13.5 cm. Il collage come momento di memoria, tecnica che mette in discussione l’idea di copyright ma che anche ci fa riflettere sul nostro ruolo e momento nella storia.)

Cosa raccontano le tue opere? Quali sono i tuoi messaggi?
Le mie opere raccontano noi e le nostre contraddizioni. Cerco di lasciare il messaggio il più universale possibile, ma voglio anche mantenere un certo realismo in quello che faccio. Non mi piace l’idea che le mie opere siano fine a se stesse.

Come si collocano le tue opere tra realtà e illusione … raccontaci.
Indubbiamente vogliono essere parte del mondo reale. Magari raccontare una realtà alternativa ma possibile. Soprattutto vorrebbero essere una chiave di lettura del nostro quotidiano che abbia un leggero spostamento di senso, una leggera vertigine che ci permetta di guardare le cose da un’angolazione leggermente diversa.

Alcune tue opere sono state realizzate con la tecnica del collage, parlaci di questa scelta.
Il bello del collage è la sua velocità di esecuzione. Poi elimina il problema del foglio bianco, nel senso che un piccolo pezzo di carta colorata diventa già lo spunto per una nuova immagine, per una nuova avventura. Poi è completamente orizzontale: chiunque ha in casa un vecchio giornale e può costruire arte in qualunque momento.

Quali altri materiali o tecniche utilizzi nel tuo lavoro?
Ho utilizzato il collage anche tridimensionalmente, costruendo opere di materiale di riciclo, ma uso anche tecniche molto tradizionali, come la pittura su tela. Diciamo che i materiali e le tecniche non sono fondamentali, è l’idea inziale che determina con quale materiale comporrò il lavoro.

Quali sono gli strumenti di lavoro per te indispensabili?
Da quando avevo circa 14 anni non sono mai uscito senza una macchina fotografica, carta e penna e un registratore di suoni. Ora con uno smartfone è tutto più semplice, ma diciamo che sono sempre stato un po’ Warholiano….

La serie pittorica che ti ha dato maggiori soddisfazioni… raccontaci.
Forse sono le lune che da tre anni a questa parte dipingo. Sono opere piuttosto semplici, ma hanno una certa tensione, con queste colature di colore. Una rivista di filosofia ne ha pubblicata una in copertina, ma poi non mi stanco di farne delle nuove, vengono sempre diverse, diciamo che mi hanno un po’ ossessionato….

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(Stefano W. Pasquini – UP1612 – 2016, acrilico su tela, 53 x 32,5 cm. Dal 2013 ho dipinto una serie di lune di vari formati, ispirati dall’idea della luna di Astolfo dell’Orlando Furioso, che contiene le cose che gli umani perdono sulla terra:
Le lacrime e i sospiri degli amanti, l’inutil tempo che si perde a giuoco, e l’ozio lungo d’uomini ignoranti, vani disegni che non han mai loco, i vani desideri sono tanti, che la più parte ingombran di quel loco: ciò che in somma qua giù perdesti mai, là su salendo ritrovar potrai“.)

In un mondo senza limiti che tipo di opera realizzeresti?
Già a vent’anni avevo cominciato una serie di disegni chiamata Progetti Irrealizzabili: in uno la Regina Elisabetta stava semplicemente in piedi in mezzo a una galleria. In un’altra colpivo il muro di una galleria con una raffica di mitra. Ora ho una serie di progetti che sono quasi architettonici, i quali implicano una serie di risorse enormi per essere realizzate. Purtroppo non sono Christo, e probabilmente rimarranno solo sulla carta.

Ipotizzando una collaborazione, con quale tipologia di artista lavoreresti e perché?
Il mio sogno sarebbe una collaborazione ampia tra un grande numero di artisti per creare un autentico momento alternativo all’attuale sistema dell’arte. Io vedo il ruolo dell’artista come parte di una comunità, per cui è per me normale scrivere d’arte o organizzare mostre ed eventi. Del resto buona parte della mia formazione è anglosassone, ma purtroppo l’Italia ha un fare più provinciale, gli artisti hanno paura di perdere quel poco che hanno, faticano a ragionare in grande.

Le tue considerazioni in merito all’arte contemporanea in Italia…
In Italia purtroppo manca (e non solo nel mondo dell’arte) un senso di comunità, che aiuterebbe tutti ad uscire da questa provincialità stagnante. Non abbiamo un senso di marcia, ognuno si preoccupa del suo orticello e così si perdono occasioni uniche di crescita collettiva. C’è un potenziale enorme per il mondo dell’arte italiano, ma manca la scintilla per far accendere la miccia.

Quale credi sia il ruolo dell’artista contemporaneo?
È quello di proporre alternative di pensiero, di creare una comunità creativa che possa migliorare la vita di tutti. Non basta produrre, esporre o vendere, non è questo il nostro ruolo.

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(Stefano W. Pasquini – UP1614 – 2016, acrilico su tela, 80 x 80 cm. Questo ritratto fa parte di una serie di ritratti femminili pensati attorno alla figura di Ludovico Ariosto.)

Ti ritieni un artista contemporaneo? Perchè?
Sì, perché produco arte e agisco all’interno del mondo dell’arte contemporanea. Del resto, l’alternativa è rimanere fuori dal mercato dell’arte, che per quanto sia discutibile rimane l’unico canale di espressione disponibile.

Cosa ne pensi della collaborazione tra artisti nel mondo dell’arte?
Collaborare con altri artisti è un’esperienza meravigliosa, che ti fa crescere ed imparare cose nuove. Purtroppo le collaborazioni sono spesso legate al mercato, e limitate dal fatto che la nostra vita ha sempre i minuti contati. Ma il dialogo tra artisti è fondamentale per non rinchiudersi virtualmente ognuno nella nostra torre d’avorio ad inventare il proprio mondo personale. È bene uscire, confrontarsi con l’altro.

Qual è il tuo punto di vista sulle forme d’arte diverse dalla pittura? Raccontaci cosa ti affascina e cosa non apprezzi.
Mi affascinano lo storytelling, la fotografia autobiografica e la poesia visiva. Non apprezzo un certo decorativismo geometrico che sembra essere dovunque in questo periodo. O le misurazioni fatte per concettualizzare opere che di concettuale hanno molto poco.

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(Stefano W. Pasquini – US1505 (Negotiate your freedom) – 2015, nastro adesivo e materiali vari, lightbox, 48 x 48 x 12 cm. Una vecchia lightbox diventa un’opportunità per una piccola perla di saggezza, un’istruzione di vita alla maniera di Fluxus: negozia la tua libertà.)

Un artista eclettico che attraverso un assiduo e costante lavoro di ricerca e sperimentazione esplora e si rinnova in continuazione. Nel suo variegato repertorio il messaggio artistico è universale, univoco, coerente e si esprime attraverso un linguaggio che non è soltanto segno grafico, tecnica, colore e composizione, ma soprattutto poesia.
Odette Alloati

[Fonte delle immagini: en.wikipedia.org]

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