Un Super Bowl gelato quello che si è giocato la notte scorsa a Minneapolis, dove il termometro negli ultimi venti giorni non si è spostato da -20 gradi. Un freddo impressionante quindi, che si è riversato sul campo dove, contro tutti i pronostici, ma con la determinazione di una squadra che non ci riusciva dal
Un Super Bowl gelato quello che si è giocato la notte scorsa a Minneapolis, dove il termometro negli ultimi venti giorni non si è spostato da -20 gradi. Un freddo impressionante quindi, che si è riversato sul campo dove, contro tutti i pronostici, ma con la determinazione di una squadra che non ci riusciva dal 1960, i Philadelphia Eagles hanno vinto la finale contro i favoritissimi Patriots di Boston, guidati dal leggendario quarterback quarantenne Tom Brady che in cuor suo sperava di entrare nella leggenda portando a casa, dopo quella dello scorso anno, la sua sesta vittoria nella finalissima del football americano. Invece è stata la notte del piccolo Nick Foles, protagonista di una fiaba in puro stile americano: fino a settembre quarterback di riserva, trova la sua chance con l’infortunio di Carson Wentz. E lui l’occasione se l’è giocata proprio bene, infatti ha strappato la corona al re e oggi, nei bar di tutto il paese, si parla solo di questo bravo ragazzo, belloccio, papà di Lily e marito di Tori ex giocatrice di volley, cosa che ci piace un bel po’.
Risultato sorpresa a parte, il Super Bowl 2018 ha confermato le aspettative: oltre 100 milioni di Americani, incluso il presidente Trump, si sono sintonizzati per guardare quello che, non è solamente un match sportivo, ma uno dei più grandi show d’America, sicuramente il più visto.
Come sanno bene gli investitori, soprattutto la Pepsi Cola (main sponsor, il cui Chief design officer da sei anni dall’Italiano Mauro Porcini), il cuore dello spettacolo non è certo la partita, ma l’halftime show, lo spettacolo musicale i cui spazi pubblicitari da 30 secondi sono venduti per la bellezza di 5 milioni di dollari. Quest’anno l’onore è toccato a Justin Timberlake che ha fatto cantare e ballare tifosi arrivati da ogni dove e che ha voluto rendere omaggio a uno degli artisti simbolo della città, il compianto Prince, scomparso da due anni: la città si è tinta di un magico viola in onore della sua “Purple Rain”. L’inno nazionale, invece, è stato affidato a una supertifosa degli Eagles, Pink che ha sicuramente portato fortuna e durante la sua esibizione nessun intoppo, nonostante nell’ultimo anno molti giocatori della National Football League spesso si siano inchinati in segno di protesta, rifiutandosi di fatto di rendere omaggio alla bandiera. Forse perché il Super Bowl è un momento quasi sacro per gli Stati Uniti, un momento di Sport e di unione, divertimento e patriottismo, in cui non c’è spazio per la politica, ma si lascia spazio all’orgoglio tutto americano di celebrare i guerrieri, gli eroi del football.
Elena Miglietti
[Fonte immagini: akns-images.eonline.com; pmcvariety.com; usatftw.files]
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