Definire la qualità televisiva è un’impresa di una certa complessità. Tale concetto è al contempo vischioso, relazionale, temporaneo, economico, politico e include punti di vista di tantissimi soggetti – stake-holders (pubblicitari, associazioni di categoria, centri media, giornalisti, istituzioni politiche, pubblico, registi, curatori…). Gli studiosi hanno evidenziato il rapporto perverso tra quantità (audience) e qualità (in
Definire la qualità televisiva è un’impresa di una certa complessità. Tale concetto è al contempo vischioso, relazionale, temporaneo, economico, politico e include punti di vista di tantissimi soggetti – stake-holders (pubblicitari, associazioni di categoria, centri media, giornalisti, istituzioni politiche, pubblico, registi, curatori…).
Gli studiosi hanno evidenziato il rapporto perverso tra quantità (audience) e qualità (in termini estetici) degli eventi editoriali proposti in televisione, e addirittura Aldo Grasso è giunto a definire la qualità televisiva come un ossimoro.
La letteratura sociologica ha evidenziato, fra tutti, il concetto di diversificazione dell’offerta come aspetto saliente per esprimere questo concetto, che comunque non è sufficiente. Attualmente è stato proposto, da un team di ricercatori romani, un modello che fonde l’aspetto performativo del mezzo televisivo (una rivisitazione del concetto di qualità erogata) con un misurazione della qualità percepita dai pubblici, attraverso la costumer satisfaction.
Questa annosa querelle continua anche con l’introduzione del digitale terrestre, nonostante si sperasse che “aprendo l’etere” si sarebbe potuto dare maggiore spazio a nuovi editori, nuove programmazioni, nuove modalità comunicanti. In gioco vi sono troppi interessi di natura per lo più economica, anche se la classe politica è latitante sulla questione: pare sempre più evidente che questo tema non sia rilevante all’interno dell’agenda politica nazionale, mentre il canone aumenta di anno in anno.Del 2009 è il testo di Angelo Alejandro De Marzo, Qualità televisiva. Un contributo alla sua comprensione sociale, mentre di fine 2008 è il mio volume La qualità televisiva. Definizioni e prospettive sociali. Da quest’ultimo si possono leggere gli ingredienti di una tv di qualità che emergono dall’analisi dei focus group su tre pubblici (insegnanti, adolescenti (suole medie superiori) e studenti di Scienze della Comunicazione):
- Possibilità di scelta e quindi diversificazione della programmazione
- Professionalità dei conduttori e degli operatori in genere
- Libertà di espressione e indipendenza dalle influenze politiche e dal mercato pubblicitario
- Buon prodotto, ma non necessariamente culturale
- Sperimentazione
- Tutela nei confronti dei minori
- Aumento degli spazi di approfondimento monotematici, soprattutto culturali.
Al di là delle considerazioni suddette, il tema della qualità televisiva si fa sempre più urgente. I modelli che vengono veicolati in tv sono spesso assolutamente discutibili; i programmi trash proliferano. La cultura è relegata ad orari improponibili. È imperante la presenza di luoghi comuni e di aggressive forme di comunicazione all’interno di diversi programmi, e in particolare nelle tribune politiche. Questi rapidi riferimenti concorrono nel decretare che la tv di oggi abbia abbandonato il suo mandato educativo, formativo e informativo, rendendosi “merce” che genera falsi bisogni, falsi miti attraverso la spinta all’omologazione e alla massificazione.
Cosa fare? Iniziare dal basso a pretendere di più rispetto all’offerta televisiva in quanto cittadini, consumatori, genitori e soprattutto persone attente che fanno sentire la propria voce. Momenti di dibattito, azioni di movimenti dal basso, percorsi di Media Education, ricerche e pubblicazioni scientifiche e non sono semplici esempi del fatto che qualcosa può essere agito. Tutto sta nella nostra responsabilità.
Annunziato Gentiluomo
[Fonte delle immagini: binariounico.net, insidemag.altervista.org, francoangeli.it, aracneeditrice.it, digitodesiderio.it]
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