Un tiepido fine giornata di luglio a Torino, il salone di Palazzo Capris sede dell’Ordine degli avvocati, tante persone. Con queste premesse mi accingo alla serata di presentazione della missione umanitaria all’Ayder Hospital di Mekelle in Etiopia, un progetto portato avanti dalla onlus Shosholoza e, in prima persona, dagli uomini che in questa occasione ho
Un tiepido fine giornata di luglio a Torino, il salone di Palazzo Capris sede dell’Ordine degli avvocati, tante persone. Con queste premesse mi accingo alla serata di presentazione della missione umanitaria all’Ayder Hospital di Mekelle in Etiopia, un progetto portato avanti dalla onlus Shosholoza e, in prima persona, dagli uomini che in questa occasione ho incontrato.
Mi piace sottolineare il sostantivo “uomini”, perché quello che mi porterò a casa alla fine di tutto è un bel bagaglio di umanità, di quella schietta e pratica, che non va troppo per il sottile, si mette in gioco con vita, carriera, professione, famiglia e denaro a vantaggio di altra umanità, altrettanto degna, solo più in difficoltà.
Sono le parole di Giulio Menicucci, a raccontare, con soffice ironia, attraverso parole, cuore e immagini, l’esperienza di marzo di quest’anno che lo ha visto coinvolto come odontoiatra, insieme a Marco Mozzati, medico chirurgo Specialista in Odontostomatologia, Giada Bassi e Serena Annunziata, assistenti di poltrona, esperte nel frazionamento dei campioni di sangue e nella preparazione del PRGF e Giuseppe Fontanarosa che da anni lavora ll’Ayder Hospital e si occupa di gestire e organizzare aiuti e forniture provenienti dall’Italia.
L’obiettivo della missione era di promuovere l’utilizzo dei concentrati piastrinici (il PRGF nel caso specifico) a uso non trasfusionale, in un paese, l’Etiopia, dove la prevalenza delle ulcere croniche dovute a patologie sistemiche, infezioni, traumi, ustioni è a tutt’oggi elevatissima. L’estensione del territorio etiope e la scarsissima urbanizzazione della popolazione, 92 milioni di abitanti dispersi su una superficie quattro volte superiore a quella dell’Italia, rendono l’accesso alle strutture ospedaliere e sanitarie molto difficoltoso per gran parte della popolazione. L’Ayder Referral Hospital College of Health Sciences dell’Università di Mekelle, è il più grande ospedale della regione del Tigray e secondo dell’intero paese. Può ospitare 500 pazienti nei reparti di medicina generale, chirurgia, ginecologia, ostetrica, odontoiatria, otorinolaringoiatria, psichiatria, medicina d’urgenza, patologia generale, dermatologia, ortopedia, radiologia con TAC e risonanza magnetica, farmacia, una banca del sangue e laboratori.
Lo staff dell’Ayder Hospital conta 1400 persone, delle quali 130 Medici e 500 inferieri. Aperta nel 2008, la struttura è in realtà afflitta da perenni problemi di manutenzione e approvvigionamento di materiale sanitario di qualunque tipo. Talvolta le assenze di acqua, che tuttavia non scarseggia nella regione, e di corrente elettrica complicano il lavoro dei medici residenti, professionisti peraltro preparati e disponibili.
Uno scenario desolante per una struttura definita “nuova, ma già fatiscente”, il cui personale riserva un’accoglienza alquanto tiepida alla delegazione italiana che decide di passare subito all’opera senza perdersi in troppe spiegazioni. Le carenze non sono professionali, anzi, il personale locale è perfettamente all’altezza, purtroppo si paga l’impossibilità di attuare un efficace controllo delle infezioni post operatorie, per assenza di adeguati quantitativi di presidi sanitari. Lavorare così è molto complesso. Ma si può fare. Con determinazione il gruppo italiano passa all’azione, seleziona alcuni infermieri e medici cui passare le consegne e si comincia con il trattamento di alcuni pazienti. I risultati sono tangibili, l’iniziale freddezza dei colleghi locali si trasforma man mano in interesse al punto che diventa difficile far posto a tutti coloro che volevano assistere alle procedure.
La missione ha consentito il trattamento di molti pazienti, con ottimi risultati di guarigione, ha assicurato formazione per medici e infermieri in grado di riprodurre le terapie e consegnato kit necessari per le stesse, donati dalla BTI. Continuano, seppur con difficoltà, i resoconti di quanto si sta facendo, anche se le comunicazioni sono difficili per i costi proibitivi delle connessioni internet in Etiopia.
Lascio Palazzo Capris con la consapevolezza di aver assistito a una stilla della grandezza dell’uomo, quella onesta che si manifesta fuor dalle luci della ribalta: non ne ha bisogno, luccica da sola.
Elena Miglietti
[Fonte foto: shosholoza.info]
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