Sicuramente un musical con delle potenzialità quello che è in scena fino al 23 novembre al Teatro Colosseo di Torino, ma la sua riuscita non ci ha convinti. Al di là dei problemi tecnici – i fischi dei microfoni, le scritte che non si componevano come avrebbero dovuto – Jesus Christ Superstar risulta mozzato, improvvisato,
Sicuramente un musical con delle potenzialità quello che è in scena fino al 23 novembre al Teatro Colosseo di Torino, ma la sua riuscita non ci ha convinti. Al di là dei problemi tecnici – i fischi dei microfoni, le scritte che non si componevano come avrebbero dovuto – Jesus Christ Superstar risulta mozzato, improvvisato, poco curato, come se fosse inconcluso, come se avesse bisogno di un rodaggio ulteriore.
La regia di Piparo a volte è assente, per lo più lasciata al caso e poco attenta alla gestione dello spazio. La scena che raffigura l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, accolto con le palme, è realmente grossolana, da oratorio.
Pochissime le scene degne di nota, forse solo il famoso finale e l’ultimo assolo del protagonista quando, prima della croce, nel Getsmani, si rivolge al Padre. Troppo elementari le coreografie che ci aspetteremmo di trovare in un musical amatoriale.
Eccellente la performance di Feysal Bonciani nei panni di Giuda. Bella voce, timbro interessante, ottima presenza scenica, buon movimento e grande energia. Riempie e tenta di compensare le mancanze di Riccardo Sinisi (Pietro), Gloria Miele (Maddalena) e dello stesso Jesus. Di quest’ultimo non emerge il carisma, la sua straordinarietà. L’espressività del viso di Ted Neely è monotona, a volte quasi irritante: si muove da pontefice massimo e non da grande pacifista, portatore di un nuovo paradigma alle masse. La differenza di età con la maggior parte del cast rappresenta un elemento che condiziona molto l’armonia della messa in scena che risulta complessivamente poco credibile per chi, come lo scrivente, non ha vissuto quegli anni e forse non è messo nelle condizioni di comprendere cosa significhi per i presenti che applaudono zelanti, quell’uomo, e il perché si commuovano per la presenza del Gesù “originale” del celebre film di Norman Jewison, storico successo cinematografico del 1973. Perché questo musical non è riuscito ad arrivare ai più giovani? Perché l’aggancio culturale è così forte da far trascurare ai presenti soddisfatti le tante carenze, così evidenti, dello spettacolo? Ma noi andiamo a vedere il Nabucco di Verdi e, pur essendo culturalmente distanti anni luce dalla storia, lo comprendiamo, ne rimaniamo affascinati e lo accogliamo spontaneamente. Sorgono allora altri interrogativi: Si tratterà solo di un progetto di marketing capace di poter contare sul target dei nostalgici? L’intento di questo ponte col passato sarà realmente autentico o sarà un’intuizione squisitamente commerciale? L’arte e l’aderenza allo stato di bellezza e all’armonia dove vanno a finire? Perché negare ai più giovani il messaggio del musical? Non lo si reputa così interessante o ancora peggio non si ritiene che i giovani possano essere capaci di capirlo e interiorizzarlo? Ci si rende conto che il codice cinematografico è ben diverso da quello teatrale? Nel complesso è sembrato un collage di pezzi a cui mancava l’opera di montaggio, nonostante la presenza di botole ed elevatori e passerelle impiegati per dare prospettiva e movimento e avvicinare il pubblico.
È risultata avvincente la musica dal vivo e buona la direzione musicale di Emanuele Friello. I musicisti, i Negrita, pienamente all’altezza della situazione, hanno reso perfettamente la meravigliosa spartitura di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice, e tra i performer si distinguono anche Emiliano Geppetti (Pilato) per verve scenica e interpretazione vocale, e Paride Acacia (Hannas) e Francesco Mastroianni (Caifa) pienamente nelle loro parti. Buone anche le luci firmate da Umile Vainieri.
Usciamo dal teatro con l’amaro in bocca, con la sensazione di aver perso tempo, col fastidio di chi si sente escluso e giudicato, e con degli elementi kitsch che non riescono, nostro malgrado, a lasciarci…
Annunziato Gentiluomo
[Foto: Gianmarco Chieregato ph, facebook.com]
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