Uno spettacolo coraggioso e interessante quello che abbiamo potuto godere al Teatro Gobetti di Torino il 5 gennaio scorso. Si tratta di un esempio di teatro decomposto, ovvero formato da un susseguirsi di sketch slegati fra loro e autoconcludentesi, ma tenuti insieme da un fil rouge, l’attualissima questione dei Balcani, e da una struttura circolare che ha
Uno spettacolo coraggioso e interessante quello che abbiamo potuto godere al Teatro Gobetti di Torino il 5 gennaio scorso. Si tratta di un esempio di teatro decomposto, ovvero formato da un susseguirsi di sketch slegati fra loro e autoconcludentesi, ma tenuti insieme da un fil rouge, l’attualissima questione dei Balcani, e da una struttura circolare che ha visto iniziare e finire lo spettacolo con lo stesso quadro tematico e gli stessi personaggi. Chiara è l’aderenza all’omonimo testo di Matéi Visniec, giornalista, drammaturgo e poeta romeno, anche se non tutti i brani sono stati proposti e di alcuni si è cambiato l’ordine di presentazione.
Nella piéce si modifica il percorso del mitico Orient Express, il treno emblema del lusso occidentale, che, dopo un’inversione di rotta, inizia a viaggiare in senso contrario, e dai finestrini delle sue carrozze si manifesta un caleidoscopio di storie, quelle di un popolo – gli abitanti o ex abitanti dell’Est Europa – che insegue il mitico Occidente cercando di dimenticare il proprio passato. Ogni stazione presso cui il treno si ferma diventa occasione per “spiare”, proprio come si fa attraverso il vetro del finestrino, la vita di personaggi sapientemente dipinta e, quasi, sublimata.
Le scene, in un continuo montarsi e smontarsi, ricostruiscono o lo scompartimento di un treno o una delle fermate di questo mezzo di trasporto che diventa espressione del viaggio, dell’incontro con l’altro, del percorso verso una Terra premessa, verso la speranza di una vita migliore. E il viaggio, oltre ad essere guidato dalla curiosità, si rende sinonimo di possibilità, scoperta, evoluzione e crescita, un sogno di emancipazione che alla fine non si realizza. I personaggi in movimento sembrano comunque non riuscire a sganciarsi dal proprio status quo, nonostante il tentativo di provarci in una terra diversa, condannati a una condizione disagiata.
Lo spettacolo si trasforma in un tentativo di analisi socio-antropologica, particolarmente resa da uno sketch riguardante il sogno della notte prima alla presentazione di una tesi dottorale su un ipotetico popolo dei Balcani di cui non si hanno tracce e memorie giacché si era caratterizzato da una capacità camaleontica di farsi assorbire e assorbire le culture altre, di adattarsi ai colonizzatori, legittimando così la propria sopravvivenza. E davanti ai nostri occhi sfilano dieci Paesi che non si conoscono, diversi fra loro ma che condividono tutto il fascino dell’Occidente. Sono tutti attratti dal sogno americano. L’imperialismo culturale americano e la globalizzazione come effetto e causa di quanto si vede realizzare in scena che trova il suo climax nel ballo del politico patriottico di turno con Capitan America a rappresentare l’asservimento sentimentale al mito americano. La Coca Cola vince sul comunismo.
E si canta il crollo dei miti, tanto di quello orientale come di quello occidentale. Due utopie che continuano a essere inseguite ma che alla fine dimostrano la loro fragilità e si sgretolano manifestando storture e contraddizioni.
Inoltre durante Occident Express si esprime la volontà di dire no ai confini, alle divisioni, alle separazioni, in uno sforzo verso l’unità dei popoli e la condanna della fallacità del concetto stesso di confine che si ridefinisce continuamente: Solo che non riesco a finirle perché ne spuntano sempre delle nuove. Quando penso di aver finito con una regione paff! Spunta qualche altro paese indipendente. Al diavolo queste frontiere, non riesci mai a pisciare su tutte….
In sintesi dunque un’ora ricca di spunti di riflessione, con del belle musiche, fra cui spiccano quelle di Goran Bregović, e in generale buono il ritmo narrativo. A volte è risultato faticoso seguire la narrazione per la presenza dei numerosi sketch, in particolare di due che si sono susseguiti e che ci hanno un po’ spiazzato. Buona anche la gestione degli spazi scenici e chiara e ordinata la regia di Nino D’Introna.
I migliori in scena sicuramente Alessandro Lussiana e Stefano Moretti. Duttili, presenti nei vari ruoli, energici e totalmente immersi in quanto stavano proclamando col corpo e la voce.
Annunziato Gentiluomo
[Fonte dell’immagine: taringa.net]
Leave a Comment
Your email address will not be published. Required fields are marked with *