C’era un tempo in cui la visione della città del futuro metteva insieme intelletto, fantasia, estro, tecnica, materiali e spirito di innovazione. C’era un tempo in cui pensare la città faceva bene e rendeva i giovani architetti spregiudicati, fra conservazione e fantascienza. C’era un tempo in cui il paesaggio, provava a ospitare azzardi visionari, a
C’era un tempo in cui la visione della città del futuro metteva insieme intelletto, fantasia, estro, tecnica, materiali e spirito di innovazione. C’era un tempo in cui pensare la città faceva bene e rendeva i giovani architetti spregiudicati, fra conservazione e fantascienza. C’era un tempo in cui il paesaggio, provava a ospitare azzardi visionari, a volte eccessivi, ma sicuramente forieri di cultura e segno dei tempi. Quel tempo c’è stato, contenitore di opere solide e non fragilmente destinate a rimozione post-evento stile EXPO, un tempo in cui a grandi avvenimenti si legavano grandi edifici fatti per durare e caratterizzare un intero quartiere.
Quel tempo è finito, forse è durato un solo attimo, in un non luogo in cui viveva la genialità di chi voleva pensare al futuro e che, in ogni epoca, si è troppo spesso confrontato e scontrato con amministrazioni miopi che, se hanno avuto il coraggio di approvare piani regolatori che comprendessero opere talvolta esagerate, poi non hanno saputo mantenerle, men che mai valorizzarle.
Oggi la Danimarca inaugura, dopo il your rainbow panorama, un’altra struttura, il Cirkelbroen, volta ad alimentare la felicità dei propri cittadini. Entrambe opere di Olafur Eliasson, la prima è un camminamento sulla città di Aarthus che riproduce i colori dell’arcobaleno, la seconda un ponte che unisce due quartieri e, rallentando la corsa dei ciclisti con una serie di cerchi concentrici, incoraggia la socialità fra le persone.
Ecco, mentre in Danimarca ci si affida a grandi architetti per rendere felici e meravigliose le città, in Italia, a Torino, si è assaliti dall’infinita tristezza del rogo di Palazzo Nervi, più conosciuto come Palazzo del Lavoro, su Corso Unità d’Italia, il corso che i Torinesi chiamano “Italia ’61”.
E’ andato letteralmente in cenere un edificio voluto dalla città in occasione del centenario dell’Unità d’Italia e progettato dall’ingegner Pier Luigi Nervi, con la collaborazione dell’architetto Giò Ponti e di Gino Covre, un esempio unico per i suoi tempi, di struttura espositiva per dimensioni e innovazione tecnologica.
Il Palazzo del Lavoro ha reso, insieme a Palazzo a Vela e Torino Esposizioni, la città di Torino sede prediletta per grandi manifestazioni, è stato sede del B.I.T., Agenzia delle Nazioni Unite, concentrando in quella Rotonda Maroncelli, in ingresso, o in uscita della città a seconda delle situazioni, un pezzo di internazionalità che si è perso completamente a causa dello stato di abbandono in cui versava da anni.
Vituperato e lasciato a se stesso, di questo palazzo si sommano le varie sorti, ospitò anche una sezione distaccata della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, più una parte di sedi didattiche di un consorzio specializzazioni post-diploma, ma i costi di gestione ne hanno decretato l’abbandono, addirittura l’oblio quando si decise, in occasione del Centocinquantenario dell’Unità d’Italia, di coprire la struttura arrugginita con enormi drappi verdi, bianchi e rossi.
Il 20 agosto il rogo distruttore.
Altro che felicità, drappi tricolore a coprire il degrado per non vedere la vergogna.
Elena Miglietti
[Fonte Immagini: cornell.edu, GreatBuildings.com]
Leave a Comment
Your email address will not be published. Required fields are marked with *