Nel variegato programma del Festival Verdi 2016 quattro appuntamenti al Teatro Regio di Parma (21, 23, 27 e 30 ottobre) sono dedicati a Il trovatore, dramma lirico in quattro atti, in cui si incontrano e dialogano tre diversi punti di vista: Salvatore Cammarano, poeta napoletano e librettista; lo spagnolo Garcia Gutiérrez, autore del dramma El
Nel variegato programma del Festival Verdi 2016 quattro appuntamenti al Teatro Regio di Parma (21, 23, 27 e 30 ottobre) sono dedicati a Il trovatore, dramma lirico in quattro atti, in cui si incontrano e dialogano tre diversi punti di vista: Salvatore Cammarano, poeta napoletano e librettista; lo spagnolo Garcia Gutiérrez, autore del dramma El Trovador che mise in scena nel marzo 1836; e Giuseppe Verdi che con la sua interpretazione musicale lo ha reso un capolavoro intramontabile.
Ciascun interprete conferisce all’opera sfumature diverse che si integrano in un’armonia perfetta. Garcìa Gutiérrez, nella sua opera, rievocava un contesto sociale cavalleresco, affine al gusto dell’epoca, in cui la vivacità del racconto conferiva all’opera momenti di azione e di passione di grande risalto, nella Biscaglia e nell’Aragona del XV secolo. Verdi rimane affascinato dalla forza espressiva del dramma e lo interpreta con una ricerca tematica molto accurata che lo porta a sperimentare effetti e forme di grande originalità e libertà creativa.
La dimensione del racconto messo in scena si sforza di non ostentare il contesto nobiliare attorno al quale ruota la vicenda per concentrarsi invece su aspetti più strettamente intimi e riflessivi. Il teatro diventa così un luogo appropriato per esprimere l’interiorità dei personaggi, attraverso momenti di contrasto in cui si mettono a confronto il maschile col femminile, la leggenda con la favola tragica.
La scenografia, semplice e chiaroscurata, con i suoi giganteschi pannelli che definiscono i piani prospettici e con i fasci di luce che illuminano con ricchi effetti scenici i personaggi in un sottofondo ombroso dai toni grigi e monocromatici, avvolge i personaggi in un’atmosfera silente e cupa e descrive un’umanità che soffre e lotta per conquistare la felicità di un vita terrena molto travagliata.
Dalla partitura ai costumi e alla costruzione degli elementi scenici si coglie un tentativo di superare il convenzionale per ricercare vettori comunicativi e scenici nuovi e arditi.
Un dramma a pannelli dove i personaggi, fortemente statici, diventano essi stessi scena a intensificare il pathos del racconto. Nessuna coloritura, quanto piuttosto una ricerca di geometrie statiche nelle quali si intersecano personaggi ed elementi scenici.
Gli ambienti, essenziali e scarni, non descrivono luoghi, ma li rappresentano soltanto, perché ciò che conta, ciò cui si vuole dare risalto, sono i sentimenti, intensi, vivi, possenti. I gesti sono parchi, i movimenti misurati. Ogni gesto ha un suo significato e non arriva mai per caso. Nessuna retorica, attenzione ed essenzialità anche nelle parole e nelle frasi, liberamente interpretate e reiterate, a significare che ciò che importa è la resa drammatica del racconto e non l’eloquio fine a se stesso. La musica accompagna la tragicità del racconto e si modella sui personaggi e sui loro drammi in perfetta sintonia e sincronicità, dove la dimensione temporale del narrato sembra perdere i suoi riferimenti per rappresentare un dramma senza tempo, in cui i personaggi nel descrivere i loro dolori mettono in scena il dolore dell’umanità intera, in una costruzione drammatica universale di grande effetto e intensità.
Dolore, morte e paura pervadono l’opera in modo dominante e inquietante. Verdi stesso lo riconoscerà e si giustificherà con cinismo affermando: Dicono che questa opera sia troppo triste e che vi siano troppe morti, ma infine nella vita tutto è morte! Cosa esiste? Verdi si aggancia alla pietà come unico sentimento vero al quale l’uomo aspira per superare il dolore e i conflitti della sua esistenza. La vita dell’umanità viene così rivisitata e descritta nei suoi contrasti e si rappresenta in questa sua configurazione attraverso la scena, che ripropone, con i suoi chiaroscuri e i suoi effetti di luci e ombre, il grande dramma umano.
Interessanti gli interpreti dell’opera, intense e convincenti le vocalità del baritono George Petean (Il Conte di Luna), del soprano Dinara Alieva (Leonora), del mezzosoprano Enkeleida Shkoza (Azucena), del tenore Murat Karahan (Manrico), del basso Carlo Cigni (Ferrando), del soprano Carlotta Vichi (Ines), del tenore Cristiano Olivieri (Ruiz), del basso Enrico Gaudino (il vecchio zingaro) e del tenore Enrico Paolillo (un messo). Ottima la regia di Elisabetta Courir e splendida l’esecuzione dell’Orchestra Filarmonica Arturo Toscanini e del Coro del Teatro Regio di Parma con la direzione di Massimo Zanetti e del Maestro Martino Faggiani.
Odette Alloati
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