Oggi i nostri riflettori sono puntati su una bellissima interprete di belcanto. È con noi Mihaela Marcu, soprano virtuoso, reduce da due importanti produzioni di successo al Teatro La Fenice di Venezia. Conosciutala a Timişoara, dove ha iniziato la sua formazione artistica, l’abbiamo seguita e vista muoversi di successo in successo. Siamo riusciti a intervistarla.
Oggi i nostri riflettori sono puntati su una bellissima interprete di belcanto. È con noi Mihaela Marcu, soprano virtuoso, reduce da due importanti produzioni di successo al Teatro La Fenice di Venezia.
Conosciutala a Timişoara, dove ha iniziato la sua formazione artistica, l’abbiamo seguita e vista muoversi di successo in successo. Siamo riusciti a intervistarla. Vediamo cosa ci racconta e come si racconta…
Dove ha mosso i suoi primi passi nel teatro e con chi?
Non sono nata in una famiglia di artisti. Mi ricordo di avere semplicemente sempre cantato a casa e più tardi in chiesa. La chiesa non era un palcoscenico di teatro ma ho scoperto lì l’emozione e il piacere di cantare in pubblico. Prima di diventare solista al Teatro Nazionale di Timisoara, la mia città natale, sono entrata nel coro del teatro ed è lì che ho mosso i miei primi passi in questo magico mondo. È stata un’ottima scuola per comprendere il mestiere, conoscere il palcoscenico, osservare il lavoro dei solisti di “casa” o dei cantanti “ospiti famosi”. Una vera e propria palestra. Devo molto alla costante fiducia del direttore dell’Opera Romena di Timişoara, il famoso tenore Corneliu Murgu, che è un grande conoscitore delle varie vocalità e che è sempre alla ricerca di giovani talenti per il suo teatro. Mi ha dato l’opportunità di debuttare dei ruoli importanti nonostante la mia giovane età, in veramente ottime condizioni. Un ruolo importante nei miei primi passi come solista l’ha avuto anche il regista italiano Mario de Carlo, che ha diretto tante bellissime produzioni nelle quali ho avuto il piacere di debuttare i miei primi ruoli.
Quale è stato il momento del grande salto che l’ha portata in grandi teatri come quello di Verona, Roma, Trieste, Marsiglia, Venezia?
Il grande salto, dopo la borsa di perfezionamento che mi ha fatto studiare a Vienna con professori importanti e fatta conoscere da persone che mi seguono ancora, è stata l’interpretazione di Musetta della Bohème al Teatro Verdi di Padova. Da quella Bohème tutto è precipitato, tutto si è impressionabilmente velocizzato. Prima di tutto l’incontro col mio agente, che mi ha fatto fare delle audizioni in teatri di fama, audizioni che hanno dato degli ottimi frutti e che mi hanno fatto debuttare Medora de Il corsaro di Verdi a Trieste sotto la direzione del meraviglioso Maestro Gelmetti, e poi debuttare a Verona Giulietta de I Capuleti e i Montecchi.
Secondo lei, nel mondo della lirica italiano essere straniero è un valore aggiunto?
Non mi sembra, anzi forse tutto si complica, diventa più difficile. Essendo straniera la concorrenza è più dura. Devi dimostrare di più, di avere delle peculiarità che giustificano il tuo essere lì, altrimenti la gente non capisce perché una straniera si trovi al posto che spetterebbe a un’italiana. È più duro, ma alla fine può diventare una sfida e soprattutto una chance, costringendo l’artista a perfezionarsi il più possibile, in particolare nella pronuncia e nello stile.
Gentile signora Marcu, il nostro pubblico ci segue perché cerchiamo, attraverso gli artisti, di fare luce su realtà lontane da noi. Per questo le chiederei di spiegarci come funziona in generale l’opera rumena…
La Romania, nel campo della musica e più specificamente della lirica, nonostante la connotazione di nazione ex-comunista, è un paese come gli altri, con poche differenze globalmente rispetto al sistema italiano. Ci sono scuole di musica, orchestre e conservatori
in tutte le grande città.
Qualitativamente, i più importanti teatri d’opera della Romania sono Bucarest, Timisoara e Cluj. Timisoara possiede un “vivaio” eccezionale di solisti di prima classe invidiato da tanti teatri, non solo rumeni.
Quantitativamente, il Teatro Nazionale di Timisoara è la compagnia lirica romena che propone il maggior numero di nuove produzioni (premiere) ogni anno.
Il grande Festival rumeno è il Festival Enescu che si tiene ogni anno a Bucarest e diretto in un modo brillante dal rumeno Ian Holländer, il famoso ex-direttore dell’Opera di Vienna.
Nonostante la storia della lirica presenti esempi di cantanti con una dizione non propriamente perfetta o con una poco precisa articolazione delle parole, come l’intramontabile Joan Sutherland, Lei cosa pensa di questo aspetto?Quanto è determinante per un cantante?
Non mi permetterei mai di criticare Joan Sutherland, che è un’artista stellare, ma credo che la dizione sia molto determinante per diversi motivi. In primis, una buona dizione aiuta tanto alla proiezione della voce. Basta sentire Luciano Pavarotti: aveva una dizione impeccabile e unica. Secondo me, l’opera è teatro in musica. Si deve comprendere e rendere al meglio il testo e l’interprete deve essere padrone della lingua nella quale recita.
Nel lavoro di preparazione di un ruolo, il lavoro sulla lingua e la dizione sono essenziali quanto il lavoro puramente vocale.
Sappiamo che a giugno scorso si è misurata con l’impervio ruolo di Violetta Valery de La Traviata a Marsiglia, con grande successo e raccogliendo molti consensi. Drammaticamente e vocalmente, cosa ha significato per lei rivestire questo ruolo che qualche critico sostiene sia fatto per ben tre soprani?
Sì, è vero, è un ruolo fatto per tre tipi di vocalità diversi: soprano leggero nel primo atto, lirico nel secondo e drammatico nel terzo. Il principale lavoro mio è stato di trovare la flessibilità e la sicurezza per passare da una vocalità all’altra. Evidentemente è una parte tra le più difficili, di grande delicatezza e che non dà tregua alla voce. È un volo continuo tra note centrali e acuti.
Drammaticamente è un sogno per un artista che ama recitare. È un ruolo complesso che offre la possibilità di esprimere tante sfaccettature di una stessa personalità. Può immaginare il piacere di interpretare un ruolo così ricco teatralmente, affrontato prima dalla mitica Sarah Bernhardt che aveva fatto della “Dame aux camelias” uno dei sui ruoli feticci?
Inoltre ho una storia personale un po’ particolare con La traviata. Violetta, da quando ero piccola, mi seguiva. Era stata la mia prima emozione musicale avendola intravista alla tv con mio padre, la cantavo a casa, seguendo il disco in cui era interpretata da Renata Scotto chiudendo gli occhi, facendo la mia regia, ambientandola nella mia camera e morendo nell’ultimo atto con lei, trasfigurata.
A quell’età, conoscevo vagamente la storia, non capivo l’italiano ma la musica mi diceva tutto. Il mio desiderio più profondo era allora di avere la possibilità un giorno di essere Violetta in scena e di morire veramente insieme a lei alla fine.
Può facilmente immaginare la mia emozione quando debuttai questo personaggio in scena. Mi riferisco sia all’emozione di una prima e di misurarmi con un ruolo di data complessità, ma anche del senso di responsabilità accumulato da anni e dal grande desiderio che mi animava da quando ero bimba.
È reduce da due importanti allestimenti al Teatro La Fenice di Venezia. Due ruoli molto diversi e al contempo centrali, quello di Giulietta ne I Montecchi e i Capuleti e quello di Adina ne L’elisir d’amore. La critica l’ha elogiata in entrambi, ma a suo avviso, artisticamente quale dei due ruoli ha avvertito più adatto a lei? Perchè?
È stato un raro privilegio poter cantare Giulietta e Adina di seguito alla Fenice. Sono entrambi ruoli belcantistici, e per questo perfetti per il mio tipo di voce. Mi corrispondono vocalmente con le loro esigenze specifiche di quel repertorio, con delle linee lunghe, dei pianissimi infiniti, delle pericolose agilità. Due ruoli che richiedono una continua ricerca di un’emissione sempre morbida dei suoni e un’omogeneità dei registri.
Nel futuro affronterò sia Elvira de I puritani sia Fiorilla de Il turco in Italia. Sento la mia voce evolversi con un centro sempre più ampio, ma sto sempre attenta a curare gli acuti e i sovracuti pianissimi che mi hanno portato tanto successo.
Scenicamente è un regalo passare da Giulietta ad Adina. Giulietta non è proprio un ruolo comico. Adina un ruolo non proprio drammatico anche se, data la sua grande umanità, permette di comporre un personaggio ambiguo e complesso. È stato un sogno poter sviluppare molte sfaccettature della drammaturgia su un palcoscenico mitico, grazie a due ruoli così diversi.
In un’opera, parlando della relazione regista-cantante, quanto libertà ha quest’ultimo nel poter esprimere la propria versione di un personaggio?
Il grande regista francese Patrice Chéreau, ben conosciuto in Italia, diceva che l’attore deve “arrivare con il suo personaggio”. E personalmente sostengo che il cantante d’opera debba essere un attore. Per quanto riguarda il personaggio, arrivo con le mie idee più o meno coscienti e chiare. Il lavoro quotidiano e la collaborazione col regista mi fanno sviluppare un personaggio che cambia da una produzione all’altra. È la ragione per la quale amo collaborare con i registi. Adoro confrontarmi con delle idee e delle tecniche di regia diversi.
Ci sono dei registi che lasciano più libertà ai cantanti nell’elaborazione del personaggio, e ce ne sono altri che arrivano alla prima prova con delle idee molto precise forse a volte addirittura in contrasto con quelle del cantante, ma ciò fa arricchire il modo di pensare il personaggio. È veramente un lavoro bellissimo confrontarsi, scambiare sempre idee e dare vita a un personaggio in spettacoli diversi, pensati molto differentemente.
L’opera è sicuramente una forma d’arte complessa, poiché fonde insieme diversi canali espressivi e perché deve necessariamente trovare equilibri a tanti livelli, facendolo dialogare attori, ruoli, competenze e mezzi tecnici differenti. Quanto una buona impostazione attoriale è funzionale alla completezza di un cantante lirico?
Come ho detto prima, è essenziale ai miei occhi! Ancora una volta dipende del rapporto che un cantante d’opera intrattiene col suo mestiere. A mio avviso, l’aspetto scenico è tanto importante quanto quello vocale- Sono complementari, si completano. Oggigiorno il canto non basta più per portare un’emozione a uno spettatore che va al cinema o che guarda la televisione, e che quindi si nutre attraverso diversi canali mediatici. L’aspetto drammatico, diciamo la regia, deve nascere dalla musica e deve amplificare la bellezza del canto. La recitazione non si oppone all’interpretazione vocale, ma la rende ancora più forte.
La sua verve espressiva è sicuramente molto forte, come anche evidenti la sinuosità delle sue linee e dei suoi movimenti. A suo avviso, è sempre un punto di forza?
Mi piacerebbe ricordare come alcune fra le più grandi cantanti del passato erano osannate non solo per le doti vocali, ma anche per quelle interpretative. E mi riferisco ad autentici miti della storia dell’opera! Penso alla Malibran, che era idolatrata proprio per le sue interpretazioni appassionate, passate alla storia per l’impressionante verità che la grande artista infondeva nei suoi ruoli. Vincenzo Bellini ne era ammaliato.
Penso ad Adelina Patti, la grande virtuosa che passava con successo e disinvoltura da Gilda ad Aida, stimatissima da Verdi proprio per la disarmante credibilità in scena.
Penso a Gemma Bellincioni, che dopo essere stata Violetta decine di volte diventò la musa ispiratrice di Mascagni, Giordano e degli autori della scuola verista che per lei crearono personaggi come Santuzza e Fedora!
E penso ancora alle grandi Lily Pons, Mafalda Favero, Gianna Pederzini, tutte cantanti eccellenti che abbinavano alla loro maestria anche il fascino seduttivo e notevoli doti interpretative.
E ancora, per avvicinarci ai giorni nostri, Virginia Zeani, Antonietta Stella, Marcella Pobbe, Raina Kabaivanka e chissà quante non mi vengono in mente adesso fra le cantanti-attrici che hanno sempre conquistato il pubblico per entrambi gli aspetti che costellavano la loro arte!
Dunque, nell’Opera hanno sempre contato l’interpretazione e la bellezza. Il pubblico ha sempre preferito vedere le eroine del melodramma interpretate da artiste capaci di dare concretezza e autenticità a quei ruoli. Tutte creature giovani e innamorate, che ridono, piangono o muoiono, artiste che hanno assoluta necessità di venire proposte al pubblico con la loro bruciante verità.
Non nego che nel nostro mondo, fatto soprattutto di immagine, la plausibilità data dall’aspetto ha assunto oggi un peso ormai imprescindibile. Ricordiamo che la grande Deborah Voight, protestata dal Metropolitan di New York per le sue forme over-sized, fece sì causa al teatro, ma poi dimagrì volontariamente di ben trenta chili!
I suoi prossimi impegni?
Dopo altri Elisir, a breve ci sarà il debutto del ruolo di Norina di Don Pasquale a Trieste, e poi debutterò la Manon di Massenet che adoro a San Pietroburgo. Non vedo l’ora di affrontare la Juliette di Gounod e la Elvira de I Puritani.
Annunziato Gentiluomo
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