Sabato 21 gennaio 2017 alle 20.30 e domenica 22 gennaio alle 16.00 è tornato al Teatro del Giglio Il flauto magico (Die Zauberflöte) di Wolfgang Amadeus Mozart, opera tedesca in due atti su libretto di Emanuel Schikaneder e titolo-cardine del grande repertorio operistico. Il lavoro del noto artista Lindsay Kemp, mito degli anni Settanta, livornese di
Sabato 21 gennaio 2017 alle 20.30 e domenica 22 gennaio alle 16.00 è tornato al Teatro del Giglio Il flauto magico (Die Zauberflöte) di Wolfgang Amadeus Mozart, opera tedesca in due atti su libretto di Emanuel Schikaneder e titolo-cardine del grande repertorio operistico.
Il lavoro del noto artista Lindsay Kemp, mito degli anni Settanta, livornese di adozione che qui vediamo regista e sceneggiatore, ci trascina in un’atmosfera fiabesca e sulla scena rappresenta una storia che unisce elementi tragici con altri comici, con sottili innesti di elementi popolareschi e un filo conduttore di elevata cultura.
Da 17 anni ormai Il Flauto magico mancava sulle scene lucchesi ed ora viene finalmente riproposto in una veste scenografica originale, riscuotendo consensi e registrando il tutto esaurito. Presenti fra il pubblico molti bambini. In modo diversi e con personalità sceniche di diversa intensità, ciascun artista ha raccontato il capolavoro mozartiano in modo interessante. Nel secondo atto, Il gran Maestro Sarastro che, col suo fare massonico, invita alla saggezza, all’oblio dell’odio, alla dimenticanza dei torti subiti e al perdono, per raggiungere la luce.
Nel Prologo del Vangelo di Giovanni, caro ai massoni, si legge: La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. Anche in varie parti dell’opera sono citati brani dai significati simbolici che rendono il capolavoro mozartiano ancora più snello e apprezzabile. Il direttore serbo Dejan Savić ha saputo cogliere con stile e fluidità tutti gli aspetti della preziosa partitura mozartiana accompagnando l’Orchestra della Toscana, il Coro lirico toscano, istruito dal Maestro Marco Bargagna, e il Coro delle voci bianche Fondazione Goldoni. Ottima quindi la direzione di Savić. Coreografia è firmata dall’aiuto regista Daniela Maccari mentre l’illuminazione dall’aiuto regista David Haughton. Il progetto scenografico è di Sergio Seghettini.
Lindsay Kemp non cura soltanto la regia, ma firma anche scene e costumi dell’opera mozartiana in cui si mescolano linguaggi musicali nella partitura e dove il soggetto rappresentato miscela sacro e profano, serio e comico, fantastico e ordinario.
Lindsay Kemp trasporta gli spettatori in un mondo delicato in cui musica e teatro si mescolano e si fondono a creare un’atmosfera delicata e un po’ onirica e dove i protagonisti, dopo aver affrontato ardue prove e superato ostacoli, raggiungono finalmente la felicità.
La struttura scenica è statica, allestita su due piani e tre porte con grate di ferro: il palco molto stretto, non consente una giusta espansione e valorizzazione degli elementi scenici. Lo spazio ristretto costringe gli stessi cantanti a contenere la loro gestualità e il loro movimento sulla scena. Ben interpretato il rapimento di Papageno e Pamina, provocatoria la comparsa dei servitori discinti in slip, un po’ lenta e statica la rappresentazione dei tre geni in bicicletta. L’alternanza di proposte sceniche suscita curiosità e rende varia la proposta scenica, la vivacità e l’allegria di Papageno raggiunge il pubblico e lo fa sorridere, allentando lo spessore esoterico della trama.
Nel primo atto l’interpretazione è un po’ carente, quasi a testimoniare la necessità di ambientamento da parte degli artisti in un contesto nuovo, il Teatro del Giglio, che li accoglie e li mette in scena senza un periodo di prove necessario per costruire la giusta atmosfera e sinergia. Il secondo atto vede gli interpreti più presenti scenicamente. Accattivante la messa in scena del baritono William Hernandez nei panni di Papageno, che si contraddistingue per la sua voce chiara e ben scandita, la sua gestualità coinvolgente, la sua spontaneità e leggerezza, e la sua notevole emissione. Assolutamente all’altezza il basso Manrico Signorini nel ruolo di Sarastro anche se manifesta una perdita di rotondità nel registro acuto. Portamento e presenza scenica notevoli per Blagoj Nacoski, che, dotato di un buon fraseggio e di un bel colore, interpreta efficacemente l’evoluzione, attraverso il percorso iniziatico, di Tamino che palesa fin da subito il seme della saggezza che poi si manifesterà nella sua pienezza grazie all’amore. ll suo è un Tamino quasi principesco che ben si allinea all’eleganza e alla bellezza propri del tenore macedone. Il timbro vocale di Yukiko Aragaki, che interpreta Pamina, è certamente luminoso, ma la sua performance risulta un po’ debole nei registri acuti. Maria Lara Martorana, soprano di coloritura, si misura con l’impegnativo ruolo della Regina della notte: molto valida scenicamente, ma la sua vocalità non pare essere totalmente idonea al personaggio. Più che dignitosi Giuseppe Raimondo (Secondo sacerdote e Armigero) e le pagine di insieme delle tre dame (Roxana Herrera Diaz, Sara Paone e Carlotta Vichi), tra cui emergono la terza per precisione e la prima per intensità e tecnica. Paiono realmente modeste le performance di Antonio Pannunzio (Monostratos), di Silvia Lee (Papagena), delle interpreti dei Tre Geni-Fanciulli, e di Eugenio Di Lieto (Primo sacerdote e Oratore).
Una scenografia vivace ed allegra, un’atmosfera onirica, ben lontana dalla cornice egiziana, propria dell’opera. I costumi sono sgargianti, densi di colori, ricchi di tonalità delle più svariate, assolutamente in armonia e coerenti con il contesto rappresentato, valorizzati da una suggestiva e attenta gestione delle luci, curata da David Haughton.
Odette Alloati e Annunziato Gentiluomo
[Foto di Augusto Bizzi]
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