Quello a cui abbiamo assistito mercoledì scorso, 7 ottobre, al Teatro Ponchielli di Cremona, è stato senza dubbio uno spettacolo coraggioso e intenso. La bohème di Puccini per la regia di Leo Muscato e la direzione musicale di Giampaolo Bisanti, in scena proprio adesso, è stata emotivamente e sensorialmente coinvolgente. Dopo i primi due quadri,
Quello a cui abbiamo assistito mercoledì scorso, 7 ottobre, al Teatro Ponchielli di Cremona, è stato senza dubbio uno spettacolo coraggioso e intenso. La bohème di Puccini per la regia di Leo Muscato e la direzione musicale di Giampaolo Bisanti, in scena proprio adesso, è stata emotivamente e sensorialmente coinvolgente.
Dopo i primi due quadri, abbiamo vissuto una sensazione di estraneità: non riuscivamo a comprendere dove il regista, in perfetta sintonia col direttore, ci stesse portando. Il ritmo veloce, incalzante e ferrato ha fatto scivolare via i primi due atti in un caleidoscopio di sensazioni e stimoli che solo col tempo, ritenevamo, si sarebbero potuti digerire. Percepivamo il bisogno di rielaborare quel turbinio di colori, quella versione fra musical e varietà di un classico del grande repertorio lirico che pareva aver messo un po’ in ombra la magnifica musica pucciniana, super sensibilizzando la vista a discapito dell’udito.
Ma gli ultimi due quadri sono stati chiarificatori di una trovata geniale, perfettamente orchestrata e magistralmente resa. Un fuori e un dentro, un prima e un dopo, un sociale e un individuale, una ribalta e un retroscena, dicotomie che ci hanno commosso, ipnotizzato, rapito. Qualcosa di molto di più dell’aggancio nostalgico di chi del pubblico si poteva riconoscere nei sessantottini bohèmiens in scena, di gran lunga al di là della volontà, dichiarata dallo stesso regista, di allinearsi a un analogo scollamento temporale che vede circa quaranta anni tra la scrittura della partitura e l’ambientazione dell’Ottocento, e la distanza dell’oggi alla fine degli anni Sessanta.
Ne risulta un allestimento intimistico e quasi sconvolgente per la cura della psicologia dei personaggi che rispettano moltissimo le indicazioni del compositore ma che dicono molto di più. Raccontano una propria storia e una storia sociale rappresentando la rivoluzione dei costumi e inneggiando alla libertà e all’arte per l’arte.
Accanto alla dimensione macro, quindi all’ambientazione, Muscato è attento ai particolari. Suggestivo è il passaggio della sciarpa di stoffa bianca da Rodolfo a Mimì in soffitta per iniziare la loro storia e da Mimì a Rodolfo nel momento in cui decidono che si sarebbero lasciati all’inizio della primavera. Un leitmotiv che unisce il primo col terzo quadro.
Un crescendo emotivo che raggiunge nel finale strepitoso, straordinario il proprio coronamento. La musica raggiunge il suo massimo apice drammatico raccogliendo e sintetizzando in un estremo ed eterno passaggio il pathos dell’opera da cui brividi, emozioni, commozione e lacrime.
Una direzione superba quella di Bisanti per un progetto che vede la musica al servizio della regia nei primi due atti e una regia al servizio della musica negli ultimi due, in un’altalena perfettamente armonica. L’orchestra ha saputo seguire e ben interpretare le direttive convincenti e precise del Maestro.
Una regia curata nel dettaglio, fedele e allo stesso tempo innovativa che rende l’opera emotivamente intensa e coinvolgente, bloccando il pubblico alle poltrone e creando dei climax con effetto quasi disarmante dovuti anche alla scelta di ambientazione. Lo scambio di sciarpe, la cuffietta rosa come pegno d’amore più volte ripresa, la magnifica scena di Rodolfo e Marcello che pensano alle loro pene d’amore e alle loro complesse storie rispettivamente con Mimì e Musetta.
Le luci, curate da Alessandro Verazzi, contribuiscono fattivamente alla messa in scena ed i costumi di Silvia Aymonino sono capaci di rendere manifeste tutte le peculiarità dei personaggi.
Divertente e spassosa la presenza della Banda di palcoscenico Isidoro Capitanio di Brescia, che ben si amalgama con l’ambientazione. Buona la performance del Coro OperaLombardia, diretto dal maestro Antonio Greco, e quella del Coro di Voci bianche dell’Istituto Monteverdi di Cremona-Progetto Musiké, istruito da Hector Raul Dominguez.
Un cast di assoluto rispetto. Nonostante la giovane età della maggior parte dei solisti, tutti sono stati all’altezza del proprio ruolo, mostrando una verve scenica e una mimica assolutamente pregevoli.
Le due donne sono state impressionanti. Maria Teresa Leva (Mimì), dalla voce piena ed estesa, ha dato prova di grande spessore artistico. Il regista si focalizza sul suo personaggio, capace di trascinarsi dietro tutti gli altri, noi compresi, per andare a posizionarsi proprio là dove la storia del ‘900 ha tentato la rivoluzione, riuscendovi solo a metà. Il soprano reggino, dotato di una timbrica preziosa, ha onorato il ruolo dimostrando carattere e una duttilità interpretativa notevole.
Larissa Alice Wissel, soprano lirico leggero di coloratura, ha interpretato magnificamente tutte le sfumature di Musetta, dimostrando un eccellente controllo dello strumento vocale. Esordisce con leggerezza come una soubrette, una Wanda Osiris in un ambiente filo-circense nel secondo atto, per poi offrire la propria grande umanità quando investe i propri orecchini per le medicine e per l’acquisto da lei stessa fatto di un manicotto che scaldi le mani gelide di Mimì, e quando raccolta prega la Vergine Maria che mantenga in vita l’amica.
Tra gli uomini abbiamo apprezzato in particolare Matteo Falcier (Rodolfo), tenore chiaro, pulito e potente, e Sergio Vitale (Marcello) baritono dalla vocalità pastosa. Ma anche Alessandro Spina (Colline), Paolo Ingrasciotta (Schaunard) e Paolo Maria Orecchia (Benoît/Alcindoro) sono stati capaci di interpretare i ruoli con professionalità e grande arte, contribuendo alla buona riuscita dell’opera.
Veramente un bello spettacolo che prevede un’ultima recita pomeridiana domenica 11 ottobre sempre al Ponchielli. Assolutamente da non perdere!
Annunziato Gentiluomo
[Foto di Umberto Favretto]
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