Da oggi, 30 gennaio, al 7 febbraio, è in scena al Teatro Carlo Felice di Genova Don Giovanni, dramma giocoso in due atti di Lorenzo Da Ponte su musiche di Wolfgang Amadeus Mozart, una delle opere più problematiche e discusse dell’intera storia del teatro lirico. L’allestimento è frutto della collaborazione di Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione
Da oggi, 30 gennaio, al 7 febbraio, è in scena al Teatro Carlo Felice di Genova Don Giovanni, dramma giocoso in due atti di Lorenzo Da Ponte su musiche di Wolfgang Amadeus Mozart, una delle opere più problematiche e discusse dell’intera storia del teatro lirico. L’allestimento è frutto della collaborazione di Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione Teatri di Piacenza, Teatro del Giglio di Lucca e Opera de Tenerife.
Presentiamo l’opera attraverso le riflessioni della regista Rosetta Cucchi: Ho voluto scegliere come tema conduttore non un tempo ma un luogo ben preciso che sono gli Stati Uniti d’America dove lo stesso Da Ponte trascorse l’ultima parte della sua esistenza morendo a New York e dove si spese tanto fino a riuscire a metter in scena nel 1825 proprio il Don Giovanni nella speranza di far nascere un primo teatro d’opera. Perché l’America del Novecento? Perché più che in altri paesi è lì che l’uomo ha avuto la possibilità e la forza di costruire il proprio futuro – il famoso self made man dove si scommette sull’essere umano e non sulla predestinazione e dove naturalmente il fallimento è ancora più cocente e inaccettabile. Questo Don Giovanni si posiziona, come periodo storico negli anni ottanta: l’America e i suoi miti hanno ricevuto una batosta notevole, il Vietnam, la contestazione giovanile e le politiche corrotte hanno incrinato il “sogno americano”. E’ a questo punto che Reagan viene eletto e promette fine alla deriva nelle politiche estere e in quelle interne, quindi ancora una volta si crede a un’America ottimista e proiettata verso il futuro ma dove ormai il germe della paura aveva cominciato a roderne le fondamenta e il moralismo borghese si contrapponeva alla crescente voglia di libertà di una parte della società, dove le grandi star del rock facevano impazzire i giovani e venivano seguite nelle mode e nei costumi morali e sessuali. In questo contesto ho immaginato un Don Giovanni star di uno dei locali alla moda newyorkesi, come poteva essere il mitico Studio 54, locale frequentato da ogni tipo di artisti, da Andy Warhol, a Truman Capote a Jean-Michel Basquiat, un Don Giovanni amato da tutte le donne e da esse odiato quando stanco e annoiato le rifiuta. Un uomo mito che vive sopra le righe forse conscio di dover brucare tutto e subito, rifiutando un futuro di decadenza fisica e sperando in una fine spettacolare. Un uomo che vive la sua intera esistenza camminando sul bordo del baratro, raffinato, cinico, dissacrante, in aperta opposizione con le convenzioni sociali, empio e pronto a burlarsi di tutto e di tutti persino della sua stessa vita. Qualsiasi sua forma diviene un eccesso, dalla vitalità che lo contraddistingue e attira gli altri personaggi sono delineati in modo realistico e credibile, Don Giovanni non si lascia definire è sfuggente; Kierkegaard lo paragona ai flutti del mare. E ancora alla solitudine: nella sua delirante compulsione psico – motoria; Don Giovanni sembra volersi auto – distruggere. L’invito al godimento forse ha origine dal tedium vitae ma soprattutto dal quel senso di vuoto interiore che lo fa rischiare ogni giorno un po’ di più.
La premiere diretta dal M° Christoph Poppen, prevede un cast eccezionale: Erwin Schrott, considerato l’interprete di riferimento nel ruolo di Don Giovanni, sarà affiancato da Alex Esposito, Serena Gamberoni, Maija Kovalevska e Patrick Vogel.
Decisamente interessante…
Redazione di ArtiInMovimento Magazine
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