La Classique: un nome, una poetica, una garanzia. Tanti applausi al TEA di Bologna per il complesso moscovita, compagnia di pieno affidamento e ormai più che presente sul territorio nazionale, anche questa volta salita in cattedra ad allestire uno spettacolo esemplare, tra leggiadra spensieratezza ed elevato virtuosismo. Il Balletto di Mosca diretto da Elik Melikov,
La Classique: un nome, una poetica, una garanzia. Tanti applausi al TEA di Bologna per il complesso moscovita, compagnia di pieno affidamento e ormai più che presente sul territorio nazionale, anche questa volta salita in cattedra ad allestire uno spettacolo esemplare, tra leggiadra spensieratezza ed elevato virtuosismo. Il Balletto di Mosca diretto da Elik Melikov, tra le compagnie che più spesso si vedono in Italia (quattro gli spettacoli in repertorio per la tourneés 14/15), ha illuminato gli occhi del pubblico bolognese con il suo ultimo spettacolo, il Don Chisciotte: balletto ispirato all’omonimo romanzo capolavoro di Miguel De Cervantes, nella celebre versione coreografata dal maître de ballet dello Zar di Pietroburgo, Marius Petipa (1818 – 1910), per le musiche del compositore austriaco Ludwig Minkus (1826 – 1917).
Baluardo della secolare tradizione della danse d’école, epurata però dai ridondanti formalismi e riproposta in versione rinnovata e aperta al pubblico moderno (anche quello più giovane), la compagnia fondata da Melikov (era l’ormai lontano 1990) prosegue intensamente nella propria attività di tradizione vivente. Mettendo in scena balletti classici quanto più fedeli alla produzione originale e attenendosi alla lunga e importante tradizione russa della danza classica, partorisce spettacoli in cui precisione tecnica, armonia musicale e coreografia mozzafiato si sposano regalando al pubblico prove di arte totale.
Questa volta è il padre del balletto classico, il maestro francese Petipa, l’impegnativo referente della creazione scenica. Un prova, però, superata a pieni voti.
Lo spettacolo racconta l’amore tra due giovani spagnoli, Kitri e Basilio, ostacolato dal ricco signorotto Gamache, ma sostenuto dal folle Don Chisciotte: un hidalgo, un nobiluomo di un borgo della Mancia la cui loca passione per i romanzi cavallereschi si concreta in grottesca lotta a ingiustizie, prepotenze e soprusi. Parossistico doppio dell’uomo moderno, post-copernicano, ed emblema di una storica trasvalutazione dei valori, il cavaliere errante, affiancato dal fedele scudiero Sancho Panza, sogna la nobile dama Dulcinea, povera contadina subitaneamente ascesa alla condizione di midons.
Tre sono gli atti in cui si articola lo spettacolo, per una durata di due ore ca. (intervalli esclusi). Dopo un incipit di pantomima, che ci porta nello studiolo del nobiluomo spagnolo, segue l’episodio Una piazza a Barcellona, in cui la coreografia classica si apre all’elemento spagnolo, con briose danze di carattere in un’aerea atmosfera rinascimentale. In forte contrasto, invece, L’accampamento dello zingaro, secondo episodio che, in un paesaggio atro e a tratti spaventevole, alterna pantomima a danze di tradizione folkloristico-popolare. Si procede con Il sogno, di nuovo classico in una veduta di sogno; Una taverna a Siviglia, sulla falsa riga del primo atto; per concludere con un lungo grand pas classique dei personaggi principali.
Più rinascimentale che barocco, insomma, il balletto di Petipa-Minkus si conclude a lieto fine. Un festoso epilogo riflette la partitura musicale del maestro austriaco, briosa e mirabolante, sempre accompagnato da una coreografia entusiasmante, capace di momenti di grande soavità e spensieratezza, pur mantenendo sempre altissimo il quoziente di difficoltà tecnico-realizzativa (pensiamo ai volteggi di Basilio, le pantomime di Gamache, il pas de deux finale con oltre 30 fouettés, il folclore spagnolo, le danze gitane).
Un prova superata a pieni voti. Altissimi livelli di décor scenico (firmato da una poetica Evgeny Gurenko) sono il sostrato di una perfetta prova tecnica, come sempre sublimata da un’eccellente Ivanova, étoile di grandi qualità, che sa conferire al personaggio un equilibrato intreccio di vagheggianti fantasie e risoluti portamenti; il tutto sostenuto da una sapiente e ferrea presenza scenica, nella quale forza e vigore si vestono di delicata eleganza. Più che dovuti gli applausi per l’entrata sul palcoscenico del regista Serge Manguette, a balletto finito.
Un incantevole saggio di classicismo, lontano da ogni eccesso manieristico.
La meravigliosa arte di chi sopra pensieri antichi fa versi nuovi (A. Chénier).
Giuseppe Parasporo
[Fonte delle immagini: teatroeuropa.it]
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