Non si poteva auspicare una prima torinese meglio allestita e interpretata. Ha molto convinto questa prima volta al Teatro Regio di Torino del Giulio Cesare di Georg Friedrich Händel: un allestimento geniale, capace di muoversi tra realtà e sogno, e tra verità storica e verità museale. L’allestimento è quello firmato nel 2011 per l’Opéra National
Non si poteva auspicare una prima torinese meglio allestita e interpretata. Ha molto convinto questa prima volta al Teatro Regio di Torino del Giulio Cesare di Georg Friedrich Händel: un allestimento geniale, capace di muoversi tra realtà e sogno, e tra verità storica e verità museale.
L’allestimento è quello firmato nel 2011 per l’Opéra National de Paris da Laurent Pelly che ha scelto di ambientare la vicenda storica nei depositi di un museo egizio, intuizione per noi geniale e vincente che venne al regista proprio durante un suo soggiorno a Torino.
In questo ambiente, misterioso e incantato, si muovono figure reali assieme ad altre – i personaggi dell’opera – che appaiono come fantasmi in una sorta di sogno sentimentale e “archeologico”, nel quale il tempo si condensa e varie epoche si mescolano. Il Teatro Regio si converte naturalmente, facilitato culturalmente dalla presenza del Museo Egizio, in un laboratorio museale, in un magazzino dove sono accantonati e catalogati reperti di diverso tipo e dove i figuranti lirici – operai, burocrati e critici d’arte – proseguono il loro da fare a volte partecipando alla scena, altre facendo da sfondo a quanto accade, altre ancora osservando stupiti ciò che si sviluppa loro innanzi, altre invece disinteressandosi poiché affaccendati nelle loro mansioni. Questi diversi ruoli incidono molto sulla messa in scena, obbligando il pubblico a differenti prospettive e analisi, e modificando il mood imperante che si muove tra l’onirico e il realistico.
Una regia attenta, sagace, puntuale e a volte dissacrante lo spessore della celeberrima opera e dei temi di cui si fa portatrice, quella di Pelly ripresa per l’occasione da Laurie Feldman. Tecnicamente ineccepibile: le scene leggere di Chantal Thomas e le luci di Joël Adam hanno permesso al regista di rendere quanto si era prefissato, diventando contributi preziosi alla riuscita dell’opera. Ci ha colpito il duetto fra Giulio Cesare e Tolomeo inseriti in teche museali, come avviene anche con Cleopatra la cui teca è precedentemente lustrata dai figuranti, pronta e in bella vista per il pubblico del museo. Abbiamo trovato interessante l’utilizzo dei quadri di pittori ottocenteschi, come Cabanel e Gérôme, a rappresentazione dei pensieri di Giulio Cesare, e tra questi abbiamo notato quello dell’autore dell’opera a sua citazione. Pregno di senso è stato il valore semantico che le statue rivestivano per Cleopatra e Cornelia. Meravigliosa la piccola orchestra, formata da otto componenti, allestita sul palco e che sosteneva l’interpretazione di meta-teatro della regina d’Egitto. Tutti escamotage per mantenere vivo il fil rouge sogno-realtà, interpretazione-verità.
Realmente un buon cast. Tutti all’altezza del proprio ruolo. Tutti validi scenicamente e vocalmente.
Dopo un inizio incerto, Sonia Prina, nel ruolo del titolo, si è riscattata nel proseguo dell’opera dando prova della sua competenza nello stile barocco, come è evidente nell’aria Non è sì vago e bello.
Abbiamo goduto nell’ascoltare i virtuosismi del soprano anglo-australiano Jessica Pratt nell’impervio ruolo di Cleopatra. Timbro luminoso, notevole estensione e perfetta tecnica, mix che la rende una delle più importanti cantanti, richieste a livello internazionale, per il repertorio belcantistico e barocco, come emerge nell’aria di chiusura del secondo atto Se pietà di me non senti.
Abbiamo apprezzato moltissimo il contralto Sara Mingardo nel ruolo di Cornelia, in particolare nei duetti col mezzosoprano spagnolo Maite Beaumont nei panni di Sesto. La voce della Mingardo è vellutata, morbida, il suo timbro è tondo, convince e arriva dritta al pubblico.
Considerevole l’apporto vocale e scenico del controtenore Riccardo Angelo Strano come Nireno.
Eccellente la direzione di Alessandro De Marchi, uno dei più riconosciuti interpreti italiani del repertorio barocco, e notevole la performance dell’Orchestra del Teatro Regio, più volte applaudita.
Sicuramente una nuova vita per il capolavoro barocco di Händel, un modo per avviare una profonda riflessione sulla storia e sul concetto di antichità così come nei secoli è stato interpretato.
Un affascinante allestimento ancora in scena oggi e sabato 29 novembre: assolutamente da non perdere!
Annunziato Gentiluomo
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