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Gianmarco Durante, un elegante baritono di grande umanità e profondità

Gianmarco Durante, un elegante baritono di grande umanità e profondità

Oggi i nostri riflettori sono puntati su un giovane baritono che l’anno prossimo compirà 30 anni. Un giovane e aitante abruzzese che abbiamo apprezzato, sabato scorso, nel ruolo di Danilo de La vedova allegra al Regio di Parma. Gianmarco Durante, in quella sede, ha sfoggiato una verve scenica impressionante, con pennellate di grande sensualità, una

Oggi i nostri riflettori sono puntati su un giovane baritono che l’anno prossimo compirà 30 anni. Un giovane e aitante abruzzese che abbiamo apprezzato, sabato scorso, nel ruolo di Danilo de La vedova allegra al Regio di Parma. Gianmarco Durante, in quella sede, ha sfoggiato una verve scenica impressionante, con pennellate di grande sensualità, una valida tecnica, un ottimo fraseggio, una vocalità vellutata e ben proiettata, distinguendosi diverse spanne sopra la compagine con cui collaborava (CV artistico) che non ha certo brillato in precisione.

Gianmarco, la tua energia e il tuo carisma scenico sabato scorso ci hanno investito potentemente. Cosa ti succede quando sei sul palco e canti? Ti ringrazio, sono davvero felice di aver lasciato un segno. Le sensazioni che provo sono molteplici e spesso contrastanti, ma ciò che percepisco è un autentico “rapimento mistico e sensuale”, per citare Franco Battiato, una figura per me preziosa sia in ambito musicale sia personale. Descrivere a parole quello che si prova è tutt’altro che semplice. Posso solo dire che, nel momento in cui si attraversano le quinte, l’ego lascia spazio al personaggio da interpretare. Si entra in una dimensione nuova, dando vita a una nuova identità che porta con sé il proprio mondo psicologico, emotivo e il bagaglio del suo vissuto. Accanto allo studio musicale, c’è dunque un lavoro assai minuzioso, quasi artigianale, per cucire il ruolo sulla propria pelle, rendendolo autentico. Quello che si vive sul palco non è finzione né mera imitazione: è pura realtà. Ed è proprio in questa alchimia che risiede la magia del teatro.

Una voce cristallina, ricca di armonici, al momento eccellente per Donizetti e Mozart. Quali sono i tre ruoli che ti porti nel cuore e perché? Ogni ruolo, a suo modo, ha smosso qualcosa dentro di me, rendendo difficile sceglierne solo tre. Sicuramente Don Giovanni è uno di questi. È un personaggio unico, diverso da tutti gli altri della trilogia mozartiana: non è umano, ma ultraterreno. Kierkegaard, nel suo saggio “Don Giovanni: la musica di Mozart e l’eros”, lo definisce come un “individuo costantemente in divenire e mai definito, della cui storia non si sa altro che ciò che racconta il mormorio delle onde”. Questa figura monumentale e l’opera stessa segnano il passaggio verso il Romanticismo, un movimento in cui mi riconosco profondamente. Inoltre, la sua nota fama di seduttore spregiudicato e disinvolto mi ha aiutato a sciogliere quella rigidità morale che, a volte, mi caratterizza. Sharpless, nella “Madama Butterfly”, è un altro personaggio che mi ha colpito profondamente. È un modello di integrità morale e rispetto. Mi ha affascinato la sua attenzione paterna verso Ciò-Ciò-San e la sua sensibilità verso la tradizione giapponese, nonostante conosca bene le tristi abitudini dei soldati americani. Se solo avessero dato ascolto ai suoi moniti, nessuna tragedia si sarebbe consumata: “Sarebbe gran peccato le lievi ali strappar e desolar forse un credulo cuor” o “Badate, ella ci crede”. Inoltre, sono particolarmente legato alla “Madama Butterfly”, poiché è stata l’opera con cui mi sono affacciato a questo meraviglioso mondo. Ricordo ancora l’emozione di quando, da ragazzo, ascoltai per la prima volta “Un bel dì vedremo” cantato da Maria Callas: ne rimasi rapito. Infine, non posso non citare tre ruoli a pari merito: Guglielmo del “Così fan tutte”, Marcello de “La bohème” e Rodrigo di “Don Carlo”. Questi personaggi incarnano un valore per me fondamentale: l’amicizia fraterna. Il legame profondo che li unisce ai loro compagni riesce sempre a strapparmi un sorriso. Per me l’amicizia ha un valore altissimo, pari a quello dell’amore. Gli amici che ho incontrato lungo il mio cammino hanno contribuito, ciascuno a modo proprio, a rendermi la persona che sono oggi.  

Quali sarebbero invece i ruoli che vorresti sperimentare? Senza alcun dubbio, e forse rischiando di peccare di presunzione, direi Rigoletto. La sua doppia natura, spregevole e grottesca da un lato, ma profondamente umana e amorevole dall’altro, lo rende un personaggio straordinario. È un magnifico esempio di come dietro le apparenze si celi spesso un’interiorità autentica, una purezza che aspetta solo di essere scoperta. Nel caso di Rigoletto, è l’amore per la figlia Gilda a restituirgli la sua vera essenza di uomo, togliendogli quella maschera di buffone che è stata imposta dalla vita. Inoltre, mi affascina il fatto che la storia finisca in tragedia. Non amo particolarmente i finali lieti: preferisco le narrazioni che riflettono la complessità della vita, con i suoi drammi e le sue inevitabili contraddizioni.  

Partendo dalla tua esperienza, quanto è importante nella formazione di un cantante la figura del proprio insegnante e perché? La figura dell’insegnante è di fondamentale importanza nella formazione di un cantante. Personalmente, ho avuto la fortuna di essere sempre circondato da grandi maestri, sia dal punto di vista umano sia artistico, fin dai miei primi passi nel mondo della musica. Ricordo con affetto il maestro Gianni Golini, che ha segnato l’inizio del mio percorso, la maestra Valentina Coladonato, che ha posto le fondamenta della mia formazione, e la professoressa Alba Riccioni, che mi ha seguito durante gli anni del conservatorio. Attualmente studio a Parma con la maestra Hisako Tanaka, un incontro che considero il più significativo della mia vita. A lei devo davvero tutto: mi ha accolto in un momento di smarrimento e confusione, aiutandomi a riorganizzare la mia tecnica vocale e a ritrovare fiducia e consapevolezza nel mio strumento. Il suo metodo, attento, paziente e meticoloso, sta dando risultati concreti. Nel canto, così come nelle pratiche spirituali, affidarsi a una guida esperta è indispensabile per raggiungere la piena realizzazione di sé. 

La tua vita si divide tra l’opera lirica e la tua professione di veterinario di animali di taglia grande, due diverse forme di arte. Come riesci a farle dialogare? Mi sento estremamente fortunato, direi quasi privilegiato, per il modo in cui si è creato questo equilibrio favorevole nella mia vita. Attualmente lavoro part-time come assistente veterinario per la condotta veterinaria di Mendrisio e Lugano e, nei giorni liberi, sono a Parma, dove continuo la mia formazione come baritono. Devo sottolineare che questo connubio è reso possibile non solo dalle opportunità lavorative offerte in Ticino – in Italia sarebbe stato molto più difficile sostenermi con un lavoro part-time -, ma anche dalla mia doppia professione e dalla grande disponibilità e umanità dei miei colleghi e del mio datore di lavoro. In Italia, purtroppo, è quasi impossibile vivere solo d’arte, e i costi per la formazione sono altissimi: lezioni, masterclass, concorsi, spostamenti, alloggi… tutto pesa enormemente. Questa situazione rappresenta una vera emorragia che aggrava la già precaria condizione culturale del nostro Paese. Il declino è inevitabile se non si interviene: il Belcanto Italiano, patrimonio UNESCO e vanto dell’Italia nel mondo, rischia di essere soffocato. E, per di più, dobbiamo affrontare la spietata concorrenza di colleghi esteri, molto più numerosi e spesso in condizioni economiche più favorevoli rispetto a noi italiani, che vediamo sempre più precluse non solo le possibilità di lavorare – già un’impresa rara -, ma persino di studiare. Tornando a un tono più leggero e parlando di animali, devo dire che da sempre mi suscitano fascino e ammirazione. In particolare, trovo le vacche affascinanti: nonostante la loro mole, sono miti, pacifiche, curiose e vivono in perfetto equilibrio con la natura. Sono delle vere maestre di vita e, in un certo senso, anche di canto. Quando vogliono farsi sentire, sanno benissimo come proiettare il suono!  

Presentando i diversi premi che ti hanno attribuito, puoi segnalare quello che ti è rimasto di più nel cuore e perché? Rispetto ad altri colleghi, ho raggiunto piccolissime vittorie di cui vado molto fiero, ma sono consapevole che il cammino da percorrere è ancora molto lungo. Tra i traguardi più cari al mio cuore c’è senza dubbio il concorso Voci D’Angelo organizzato dall’associazione ParmaLirica nel 2022. Era un momento particolare per me: mi ero trasferito a Parma da appena due settimane per una borsa lavoro come veterinario, e fu il dottor Massimiliano Palmieri, mio collega e membro del Club dei 27 (Nabucco), a suggerirmi di partecipare. Con grande gioia, vinsi il terzo premio. Quel riconoscimento significò moltissimo per me, non solo dal punto di vista artistico, ma anche umano. Nel circolo ParmaLirica e nella città stessa ho trovato un ambiente accogliente, stimolante e ricco di passione. Parma, città di cui mi sono profondamente innamorato, mi ha permesso di riacquistare una fiducia nel canto e nella Lirica che avevo perso nel 2021, un anno durissimo segnato dalle restrizioni dovute alla pandemia e dalle difficili condizioni lavorative degli operatori dello spettacolo.  

Un artista per essere tale e quindi medium delle alte vette dello Spirito, deve essere ambasciatore di bellezza e curare la propria parte spirituale. Tu come stai onorando questo compito? La spiritualità, la cura dell’anima e la ricerca interiore sono sempre stati pilastri fondamentali nella mia vita. Mi sento particolarmente legato alla filosofia dell’Advaita Vedanta e alla figura del Buddha storico. In passato ho intrapreso un percorso di avvicinamento al Kriya Yoga, ma per diverse ragioni non sono riuscito a coltivarlo come avrei voluto. Di questo un po’ mi rammarico, ma credo sia importante accettare anche i propri limiti. Trovo comunque molte affinità tra le pratiche spirituali e il canto. Basti pensare alle tecniche di respirazione e consapevolezza corporea condivise: il Pranayama nella tradizione yogica e la respirazione diaframmatico-intercostale del Belcanto. Entrambe richiedono un equilibrio profondo tra corpo e mente, un’attenzione al respiro e una connessione autentica con il proprio essere. In un certo senso, praticare il canto è per me una forma di meditazione.  

Quali sono le caratteristiche determinanti oggi per farsi notare nel mondo dell’opera? Farsi notare oggi è sempre più difficile, come ho già accennato. La disciplina, il rigore, e lo studio meticoloso, metodico e costante sono le uniche vere costanti immutabili, come ci insegnano anche i grandi cantanti del passato. Il cuore e il sentimento sono fondamentali, ma non bastano: sono solo la punta dell’iceberg di una struttura ben più complessa che comprende studio, tecnica, introspezione e un ampio repertorio, noto e meno noto. La fortuna, o come spesso la chiamiamo, il *fattore C*, esiste e ci assiste quando siamo nel posto giusto al momento giusto. Ma ciò avviene solo se siamo preparati in modo impeccabile. E questa, al momento, non è la mia situazione: ho ancora moltissimo da imparare e da studiare. Non si finisce mai di formarsi.  

Puri come colombe e astuti come serpenti… vale anche per non farsi schiacciare dalle logiche del mercato lirico? Sono d’accordo, purché per purezza si intenda anche umiltà. In molti contesti al di fuori dei teatri, dove il mercato è florido, sarebbe necessario un vero bagno di umiltà quando si parla di Lirica e melodramma in generale. Mi spiego meglio: si è abusato fin troppo di termini come “canto lirico”, “cantante lirico” e “opera”, associandoli a esecuzioni musicali discutibili che hanno spesso deturpato, talvolta irrimediabilmente, la vera essenza del Belcanto. Non è più tollerabile, neanche per i meno esperti, equiparare la Lirica a uno sventolio di fazzoletti sulle note di Funiculì Funiculà. Non vado oltre, perché rischierei di diventare troppo critico. D’altro canto, confinare la musica classica solo nei teatri, auditorium e sale da concerto contribuisce a renderla inaccessibile e percepita come elitaria. La mia missione, invece, è abbattere quel muro che separa platea e pubblico, portando la musica tra la gente per creare una connessione autentica e promuovere un ascolto consapevole della musica classica e del melodramma. Per questo, insieme ai miei amici e colleghi, Sara Fulvi (soprano) e il Maestro Paolo D’Agostino, abbiamo fondato l’associazione culturale HOPEra TRIO. Il nostro obiettivo è proprio quello di avvicinare la grande musica al pubblico, rendendola viva, accessibile e condivisa.

HOPEra TRIO… interessante! Ci puoi presentare il progetto? HOPEra TRIO nasce dal profondo affetto e dalla stima che ci lega come amici e colleghi. La nostra collaborazione artistica, avviata durante gli anni di studio al Conservatorio “Gaetano Braga” di Teramo, si è concretizzata nel 2022 con la fondazione dell’associazione culturale HOPEra TRIO, con sede a Montebello di Bertona, in Abruzzo. Tra le aule del conservatorio, condividendo lezioni, esami e produzioni operistiche, abbiamo maturato una consapevolezza fondamentale: il mondo dell’opera non è fatto solo di tecnica e disciplina, ma soprattutto di stupore e meraviglia. Dietro le quinte e sul palco, abbiamo imparato che per fare questo lavoro è necessario mettersi al servizio della musica con empatia. Esiste una sola grande regola: “ascoltare”. L’opera lirica e la musica classica raccontano emozioni universali, capaci di connettere innumerevoli vite attraverso un filo conduttore comune: la Speranza. Da questa parola prende vita il nome HOPEra TRIO, un omaggio alla bellezza e al desiderio di un mondo più autentico, che sappia rallentare e assaporare i rari istanti di pura estetica che la vita ci regala. Il nostro trio propone un viaggio musicale che spazia tra le più belle melodie, dalla lirica alla musica da camera, fino al repertorio pianistico. Il nostro obiettivo è portare l’opera lirica e la grande musica tra la gente, in un formato “tascabile”: dai teatri alle piazze, con piccoli allestimenti scenografici che sappiano evocare la magia dell’opera. Vogliamo abbattere la distanza tra il palco e il pubblico, creando un’esperienza coinvolgente e ricca di emozioni, capace di avvicinare tutti a questo mondo.

Augurandoti grandi e meritati successi, quali sono i tuoi prossimi impegni e dove? In primis, grazie di cuore per questo augurio. Nei prossimi mesi sarò impegnato nel ruolo di Giorgio Germont ne “La traviata”, in date ancora da definire con l’associazione MusicaPalazzo a Venezia, accanto alla straordinaria collega Sara Fulvi nel ruolo di Violetta. Il 27 marzo, invece, interpreterò lo stesso ruolo presso l’Eco Teatro di Milano per la produzione de “La traviata” legata al concorso Magda Olivero. In primavera sono previste le produzioni di Don Giovanni per il concorso Giancarlo Aliverta, mentre a novembre vestirò i panni di Marcello ne “La Bohème” al Teatro Unione di Viterbo. Nei prossimi mesi, inoltre, concentrerò le mie energie su alcuni concorsi importanti e audizioni che rappresentano tappe fondamentali per il mio percorso artistico.

Annunziato Gentiluomo

[Foto di copertina di Mario Quartapelle]

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