Ieri, venerdì 9 dicembre, è andata in scena, al Teatro Sociale di Como, una versione de La traviata di Verdi geniale e coraggiosa, assolutamente degna di aver vinto il bando di OperaLombardia, una coproduzione dei Teatri di OperaLombardia e Fondazione Rete Lirica delle Marche Trascendendo le critiche lette dopo la prima al Ponchielli di Cremona dello scorso week-end, secondo noi, faziose e a
Ieri, venerdì 9 dicembre, è andata in scena, al Teatro Sociale di Como, una versione de La traviata di Verdi geniale e coraggiosa, assolutamente degna di aver vinto il bando di OperaLombardia, una coproduzione dei Teatri di OperaLombardia e Fondazione Rete Lirica delle Marche
Trascendendo le critiche lette dopo la prima al Ponchielli di Cremona dello scorso week-end, secondo noi, faziose e a pregiudiziali, lo spettacolo a cui abbiamo assistito ieri è stato veramente di qualità. Il giovanissimo TEAM DUPHOL’S, composto da Luca Baracchini (regia), Francesca Sgariboldi (scene), Donato Didonna (costumi) e Gianni Bertoli (luci), ha dato prova di originalità e profonda conoscenza dell’opera e soprattutto della volontà che mosse Verdi a partorirla, ispirato da La signora delle camelie (La Dame aux camélias) di Alexandre Dumas figlio.
Luca Baracchini ha una visione registica chiara che persegue in modo attento e preciso, non lasciando nulla al caso, gestendo con maestria gli spazi e aggiungendo dei dettagli assolutamente innovativi. In primis, la sua rivisitazione del personaggio di Violetta come transgender, a nostro avviso, è assolutamente contemporanea e pertinente: il suo è un lavoro di esplorazione dell’identità del personaggio e di tutto ciò che una scelta radicale come quella può comportare socialmente. Il voyeurismo borghese presente nell’opera diventa l’occhio di una società ancora non pronta ad accogliere la diversità, di cui la transessualità è espressione evidente. Troppo spesso il percorso di trasmutazione di genere non prevede un’opportuna inclusività sociale e la prostituzione diventa una delle strade più battute per sopravvivere. La Violetta di Baracchini invece si lascia inebriare dall’amore di Alfredo e il suo essere una povera donna, sola, abbandonata in questo popoloso deserto che appellano Parigi si trasforma grazie alla purezza di un sentimento a cui decide di abbondarsi con fiducia. Per la prima volta sperimenta l’autenticità, vive la gioia di essere amato amando e finalmente fa saltare i suoi conti, le sue strategie, il suo passato e le sue abitudini per dedicarsi a un serio amore. Sarà poi Giorgio Germont a obbligarla a lasciare Alfredo, probabilmente non accettando che suo figlio possa sporcarsi con una “poco di buono”, una “deviata”, una “contro-natura”, andando contro la tradizione cattolica e il senso procreativo della famiglia, e mettendo in ridicolo il proprio nome: il matrimonio della figlia diventa così semplicemente la giustificazione superficiale che nasconde questo terribile pregiudizio. Intenso il rapporto tra Violetta e il suo maschile che, a volte, pare la sua anima e altre la sua coscienza. Giovanni Rotolo incarna perfettamente il ruolo dell’alter ego, coadiuvato da una corporeità perfettamente idonea e dalla scelta registica del dialogo costante con lo specchio o con la sua esteriorità, Violetta appunto. Solo alla fine ci sarà una fusione completa della dualità (luci e ombre, passato e presente, maschile e femminile, materia e spirito) che porterà alla trasfigurazione attraverso la comprensione, dove l’elemento prettamente religioso viene sfumato divenendo più esistenziale e universale.
Forse lo avremmo voluto più in scena in particolare nel secondo atto durante il dialogo tra Violetta e Giorgio Germont, in cui giunge solo alla fine, e quando, alla festa di Flora, la donna viene pubblicamente ripudiata dall’uomo che amava (Alfredo, Alfredo, di questo core non puoi comprendere tutto l’amore; tu non conosci che fino a prezzo del tuo disprezzo – provato io l’ho!). Al di là del nostro desiderata, la sua funzione viene assolutamente assolta e arriva al pubblico.
Abbiamo anche apprezzato, la contrapposizione nel primo atto fra il piacevole primo vero incontro tra Alfredo e Violetta in cui lui le racconta da quando fu stato folgorato da lei, manifestazione dell’amore cortese, e la scena sessualmente brutale che si stava consumando come sfondo, espressione dell’amore libidinoso, ulteriore scena in cui forse l’alter ego uomo di Violetta avrebbe potuto fare una comparsata.
Molto bello il messaggio Amati che Giovanni Rotolo scrive sul vetro, come monito per tutti, come leva fondamentale per una vita più serena e appagante.
Singolare, ma degno di nota, l’ingresso di Alfredo come torero, alla fine del secondo quadro del secondo atto: un modo per sottolineare il suo delirio dopo l’abbandono della donna amata, per segnalare il suo essere stato tradito, e per marcare il suo ritorno ai facili costumi, la sua “perdizione” animica e il suo squilibrio emotivo. Simbolico, inoltre, l’uso finale del tulle atto forse a marcare la volontà della protagonista di trovarsi in un sogno, in un’allucinazione, oppure a distinguere la sua totale separazione dalla forma o dalla vita ordinaria, in uno slancio in quella straordinaria.
Abbiamo trovato invece troppo il sostituire le zingarelle con dei travestiti in versione sadomaso: decisamente grottesco, di poco gusto e confusionario anche per la presenza dello stesso transgender di statura altissima e quindi assolutamente visibile che dà una continuità inesistente con la festa a casa di Violetta.
La regia di Luca Baracchini ha potuto contare sulle scene funzionali e ben curate di Francesca Sgariboldi, sui costumi coerenti, pertinenti e indovinati di Donato Didonna, e sulle luci ben gestite da Gianni Bertoli, di cui abbiamo apprezzato, in particolare, l’effetto “finestra” del terzo atto.
Passando all’assetto musicale, dobbiamo invece rilevare diversi limiti dovuti in particolare alla direzione di Enrico Lombardi, che abbiamo trovato poco incisiva, poco coerente: la sua lettura dell’opera, soprattutto nel primo atto, è stata decisamente discutibile per la scelta dei tempi che schizofrenicamente passavano da un andante mosso a un lentissimo. Inoltre non sempre si è dimostrato capace di controllare il rapporto tra la buca e i solisti e di ben amalgamare il suono dell’orchestra, dove le percussioni risultavano troppo accentuate.
È difficile dare quindi una valutazione della performance dell’orchestra de I Pomeriggi Musicali non sempre compatta e che sicuramente ha peccato di mancata autonomia. Buona la prestazione vocale e scenica del Coro OperaLombardia che comunque si è trovato in difficoltà per non poter contare sul sostegno della musica che in un’opera come La traviata, data la presenza imponente delle parti corali, è più che mai necessario.
Fermo restando tale limite musicale, possiamo certamente affermare che ieri fra tutti si è distinto, ai nostri occhi, Vincenzo Nizzardo che è stato un Giorgio Germont accorato, preciso, appassionato, pienamente nel ruolo. La sua lama pastosa e rotonda, la sua notevole estensione, l’ottima tecnica, il suo fraseggio impeccabile e il suo squillo potente l’hanno reso un Giorgio Germont convincente. Misurarsi a trentacinque anni con un ruolo verdiano tanto complesso non è da tutti: la sua prova è stata esemplare, ma siamo sicuri che tra dieci anni, quando la sua voce avrà raggiunto la sua completa maturità, sull’esecuzione di questo suo ruolo se ne scriverà molto meglio e di più.
Francesca Sassu è stata una Violetta altalenante. Non riesce ad esprimere la verve erotica che il primo atto prevede per il suo personaggio. Nel secondo inizia a venir fuori timidamente per manifestarsi in tutto il suo valore nel terzo atto. Un diesel… Il suo Addio del passato è di tutto rispetto e il suo crescendo nel Prendi: quest’è l’immagine de’ miei passati giorni è toccante. La sua vocalità è comunque interessante e si muove nel complesso bene nel registro del suo ruolo. Buono il suo fraseggio come apprezzabile la sua tecnica. Ieri ci saremmo aspettati dal soprano più personalità in scena: forse non era in serata o forse è solo una questione di tempi di maturazione
Valerio Borgioni, invece, non convince nei panni di Alfredo. Nonostante la sua lama squillante e la sua vocalità nel complesso luminosa, i problemi di intonazione, la gestione dei fiati e le sue movenze a volte goffe hanno condizionato la sua performance di ieri. Dei tre protagonisti sicuramente il più debole, aspetto che emergeva fortemente nella pagine di insieme. Il suo Parigi, o cara rischiava di trascinare fuori anche il soprano che ha dovuto fare uno sforzo immane per non perdere la propria centratura.
Passando ai comprimari, a nostro avviso, risulta buona la prova di Alfonso Michele Ciulla che ha ben vestito i panni del barone Douphol, esprimendo una buona vocalità, un’interessante espressività e un’ottima energia. Scenicamente e vocalmente duttile Alessandro Abis che ha tratteggiato con maestria la personalità sfaccettata del marchese d’Obigny, risultando sempre naturalmente convincente e sfoggiando una voce chiara e ben impostata. Nicola Ciancio propone con eleganza il dottor Grenvil, distinguendosi per una vocalità pastosa e per un colore molto interessante. Discreta Sharon Zhai nel ruolo di Annina, che abbiamo apprezzato maggiormente nel terzo atto: bella voce, ma ancora troppo immatura scenicamente. Buono l’intervento di Filippo Quarti nei panni di un commissario come anche la performance di Ermes Nizzardo come Giuseppe e il domestico di Violetta. Non pervenuta Reut Ventorero nei panni di Flora Bervoix: la voce non superava la buca.
Nel complesso un bell’allestimento che consigliamo di andare a vedere. Si replica domani, domenica 11 dicembre, alle ore 15.30, sempre a Como, e poi il prossimo fine settimana farà tappa al Grande di Brescia e a gennaio al Fraschini di Pavia.
Annunziato Gentiluomo
Leave a Comment
Your email address will not be published. Required fields are marked with *