Ieri sera, sabato 6 agosto, è andato in scena, in una location assolutamente all’altezza del dramma di Sofocle, tra le rovine del Palatium romano di Quote San Francesco di Portigliola, l’Edipo a Colono, il cui adattamento porta la firma di da Gina Merulla e Fausto Costantini. Questo secondo appuntamento della VII edizione del Festival del Teatro Classico Tra Mito e Storia, la cui direzione artistica è
Ieri sera, sabato 6 agosto, è andato in scena, in una location assolutamente all’altezza del dramma di Sofocle, tra le rovine del Palatium romano di Quote San Francesco di Portigliola, l’Edipo a Colono, il cui adattamento porta la firma di da Gina Merulla e Fausto Costantini. Questo secondo appuntamento della VII edizione del Festival del Teatro Classico Tra Mito e Storia, la cui direzione artistica è di Elisabetta Pozzi, non ha convinto fino in fondo. Siamo tornati a casa disturbati, travolti non dal dramma portato in scena, ma da un modo di procedere invasivo, decisamente incalzante, non rispettoso dei tempi di un pubblico che certamente si aspettava altro, ma che avrebbe accolto anche qualcosa di diverso da una tradizionale messinscena. Un susseguirsi non sempre coerente di brani musicali costellava ogni attimo di quanto avveniva sul palco e tratteggiava ossessivamente ogni scena, arrivando quasi a disturbare e a richiedere un’attenzione forzata.
Il dolore, la disperazione, la diversità, la mostruosità del misfatto e l’espiazione della colpa, l’esilio, lo straniero in terra straniera, il dissidio fratricida, il tradimento, il dramma psicologico del protagonista, la sua ricerca di identità e il suo marciare verso la morte passavano in secondo piano perché schiacciati da un too much esasperato, da scelte registiche non chiare e terribilmente discutibili, come ad esempio la scelta della registrazione delle voci fuori campo (fra cui quella Edipo di Edoardo Siravo), a volte tanto modulate da aggiungere pathos a uno spettacolo che, a nostro avviso, era strapieno e che necessitava di essere sfrondato. E poi perché una litania senegalese? Perché richiedere agli attori solo di urlare o fare versi? Non è che per mettere in primo piano Dioume si è dovuto privare lo spettacolo di una dialogicità che non avrebbe retto?Perchè ricorrere ricorsivamente a scene simili? Perché questa necessità patologica di riempire? Perché non rispettare il pubblico, saturando ogni attimo e non permettendogli di poter respirare? Questi e tanti altri sono gli interrogativi che rimangono insoluti. Questi e tanti altri aspetti non ci hanno convinto del montaggio dello spettacolo e soprattutto della regia della stesa Merulla.
Dall’altro canto, in scena abbiamo apprezzato dei validissimi performer – Alberto Bucco, Fabrizio Ferrari, Carlotta Mancini, David Marzi e Lorenza Sacchetto -, ballerini dotato di un’espressività fisica e di una mimica veramente impressionanti, che hanno saputo generare, con una plasticità degna di nota, delle magnifiche strutture utilizzando il loro corpo, messo a totale disposizione del dramma che si stava consumando in scena, creando e ricreando le diverse scene della tragedia sofoclea. Hanno affiancato il noto attore senegalese Mamadou Dioume, di cui non sono stati da meno, che ha saputo ben incarnare la complessità del protagonista, potendo contare su un sistema che l’ha sostenuto grandemente.
In sintesi non siamo riusciti a rintracciare il cuore palpitante della tragedia di Sofocle e abbiamo letto il grido di sofferenza come fine a stesso e non come attivatore della catarsi che ci ricorda Aristotele essere alla base del teatro greco. Difatti, ciascuno dei presenti ha dovuto rielaborare un senso di pesantezza che lo spettacolo ha recato, liberarsi di sensazioni emozionali non piacevoli e scrollarsi di dosso un no sense ingombrante. Se invece di 75 minuti fosse durato meno di mezz’ora, l’impatto sarebbe stato diverso e sarebbe risultato molto più digeribile.
Annunziato Gentiluomo
[Foto di Leonardo Moiso]
Leave a Comment
Your email address will not be published. Required fields are marked with *