Era il 27 giugno 1980, era il giorno di un memorabile concerto a San Siro, era il concerto di Bob Marley, pare ci fossero centomila persone, forse il suo show più grande, forse. Nel pomeriggio, ad aprire le danze dell’evento cui parteciparono, giusto per dire, anche gli scozzesi Average White Band, Roberto Ciotti e Pino
Era il 27 giugno 1980, era il giorno di un memorabile concerto a San Siro, era il concerto di Bob Marley, pare ci fossero centomila persone, forse il suo show più grande, forse. Nel pomeriggio, ad aprire le danze dell’evento cui parteciparono, giusto per dire, anche gli scozzesi Average White Band, Roberto Ciotti e Pino Daniele. Sembra di compilare un elenco di mostri sacri. E’ un modo per ricordare la magnificenza della musica, che lascia segni indelebili, vergati da uomini mortali nel corpo, immortali grazie alla propria arte.
Stanotte, ha chiuso gli occhi Pino Daniele. Lo ha detto al mondo Eros Ramazzotti su Instagram, ha scritto poche righe, affidando memoria, tristezza e dolore a un social. Oggi usa fare così. E così arriva un altro colpo allo stomaco per la promessa dell’assenza di un altro dei personaggi che tanto ci sono cari, per quella delicata autorevolezza che solo in pochi sono stati in grado di trasmettere; non c’è testo di Pino Daniele che non sia degno di un seminario di lettura, non vi è armonia, suono, ritmo che abbia realizzato negli anni, che non sia meritevole di un ascolto attento.
Napoletano di 59 anni, di ora in ora cresce il rammarico per aver perso un’icona positiva di Napoli, è stato capace di dare della città partenopea una lettura diversa. La sua città gli ha dato la possibilità di imparare molte e diverse sonorità, suonando nei vicoli per i soldati americani cui, si dice, chiedesse in cambio vinili da cui attingere nuove ispirazioni. L’esordio nel 1977 con “Napul’è”, documento indelebile della volontà dell’artista di dare un indirizzo sociale alla sua musica, in tutti i modi a disposizione, tra sperimentazione e denuncia, creando intorno a sé l’avanguardia storica del blues napoletano con James Senese, Tullio De Piscopo, Tony Esposito, Joe Amoruso, Rino Zurolo. Poteva bastare. Ma Pino Daniele ha fatto altro, di più, ha dato vita a una rivoluzione culturale, insieme a Edoardo Bennato, ha inventato una lingua, l’Anglo-napoletano, sul piano dei contenuti ha raccontato una Napoli molto più introspettiva che nessuno aveva colto prima di lui.
La consacrazione arriva nel 1980, con le grandi collaborazioni, quelle con i musicisti, ad esempio con Eric Clapton e Pat Metheny, e quella che segnerà tutta la sua vita, artistica, ma non solo, con l’amico Massimo Troisi.
Oggi, per non raccogliere solo la tristezza, desidero ricordare una straordinaria intervista di Gianni Minà a Pino Daniele e Massimo Troisi, in occasione dell’uscita del film di quest’ultimo “Pensavo fosse amore, invece era un calesse”. Minà chiese al regista le motivazioni che lo spinsero a impegnarsi in questo nuovo film. La risposta di Troisi fu geniale e lusinghiera e recitava più o meno così:”Pino ha fatto un nuovo album (Sotto ‘o Sole ndr) e mi ha chiesto di creargli un film intorno”.
Nel film della nostra vita, molti dei nostri giorni hanno per colonna sonora una canzone di Pino Daniele, la mia è “Quanno Chiove”.
Elena Miglietti
[Fonte Fote: festival.blogosfere.it, musicacultura.it]
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