Bisogna che i volumi, le linee, le ombre e la luce obbediscano alla mia volontà e dicano ciò che io voglio far dire loro. Così definiva il proprio lavoro Florence Henri (1893-1982), artista e fotografa d’avanguardia tra i maggiori protagonisti della rivoluzione estetica del secolo scorso. Una poetica plasmatasi in un fertile terreno di contaminazione
Bisogna che i volumi, le linee, le ombre e la luce obbediscano alla mia volontà e dicano ciò che io voglio far dire loro. Così definiva il proprio lavoro Florence Henri (1893-1982), artista e fotografa d’avanguardia tra i maggiori protagonisti della rivoluzione estetica del secolo scorso. Una poetica plasmatasi in un fertile terreno di contaminazione – dal Dadaismo alla Metafisica, passando per Cubismo e Costruttivismo – che trova oggi una perfetta esplicitazione nelle 140 immagini ospitate nella mostra monografica dedicatale, allestita dal 5 maggio al 31 agosto a Roma nelle Grandi Aule delle Terme di Diocleziano.
Attraverso quattro sezioni tematiche, che dagli anni ’20 in poi documentano l’intera carriera della Henri, la mostra si configura come un doveroso omaggio nei confronti di una figura originale e a lungo dimenticata. Non solo in grado di influenzare, modificandolo, il linguaggio visivo tra le due guerre, l’artistra riuscì ad anticipare molte tendenze successive, libera com’era da compromessi e dalle convenzioni. Una storia affascinante, che inizia dalla musica – la Henri studiò pianoforte alla romana Accademia di Santa Cecilia -, passa per la pittura e infine arriva alla fotografia.
L’esposizione alle Terme di Diocleziano si apre con i dipinti astratti. Nella sezione L’artificio visivo fra reale e virtuale, poi, sono presentate le immagini realizzate utilizzando gli specchi, fra gli anni ’20 e gli anni ‘30. La sovversione dell’immagine, invece, è una sezione dedicata alle Compositions Abstraites.
La sezione La reinvenzione della realtà, soprattutto, è dedicata alle fotografie romane, datate 1931-32. La passione dell’artista per la Capitale – dove soggiorna da giovane, ospite di una zia – inspira soggetti dal sapore metafisico, a volte ricomposti in studio con fotomontaggi e collage, capaci di restituire l’idea di una città romantica e frammentata, soavemente sospesa tra realtà e immaginazione.
Effetti visivi, montaggi e fotomontaggi, collage, doppia esposizione, uso dello specchio. Procedimenti esibiti, che stimolano una percezione ambigua nello spettatore e sfaccettano la realtà in tante visioni diverse, confondendo i confini tra artificio, manipolazione e oggettività rappresentativa. Un linguaggio così complesso da riuscire a contenere e interpretare, superandole, le dinamiche espressive delle avanguardie novecentesche.
Io non cerco né di raccontare il mondo né di raccontare i miei pensieri. Io compongo l’immagine.
Giuseppe Parasporo
[Fonte delle immagini: ansa.it; artribune.com; equilibriarte.org]
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