Una serata dedicata, come ha ben dichiarato il soprintendente Maurizio Roi, a Daniela Dessì che avrebbe dovuto interpretare il personaggio di Elisabetta. Una grande emozione sentire la voce della straordinaria artista prematuramente scomparsa. Le registrazioni… ciò che rimangono della sua arte. In questo mood si apre la prima del Don Carlo del Teatro Carlo Felice
Una serata dedicata, come ha ben dichiarato il soprintendente Maurizio Roi, a Daniela Dessì che avrebbe dovuto interpretare il personaggio di Elisabetta. Una grande emozione sentire la voce della straordinaria artista prematuramente scomparsa. Le registrazioni… ciò che rimangono della sua arte.
In questo mood si apre la prima del Don Carlo del Teatro Carlo Felice ci ha soddisfatti solo a metà. Scegliamo di limitarci solo a ricordare gli aspetti scenici in quanto già analizzati a Parma lo scorso autunno e ci concentreremo sulla direzione musicale, sull’interpretazione del coro e del cast.
Le scene firmate da Maurizio Balò, che cura anche i meravigliosi costumi, sono eleganti e asciutte allo stesso tempo, e si basano su agili movimenti di sfondi. Si fa ricorso anche ai video, nella fattispecie a istantanee di cielo e alle fiamme in movimento, per dare dinamicità alla messa in scena. Una lapida commemorativa in marmo con la scritta dorata CARLOS V e una coccarda verde con le strisce dei colori spagnoli apre e chiude l’allestimento, ed è il trait d’union scenico di tutto l’allestimento.
La regia di Cesare Lievi presenta un assillante voyeurismo, in quanto, da dietro le quinte o nascosti dietro qualcosa, molti personaggi presenti (attori o figuranti) guardano interessati la scena, suscitando anche nel pubblico un processo di identificazione. Inoltre l’impostazione è fortemente simbolista. Personaggi mitici dai grandi becchi danno vita a giochi d’ombra; il crocifisso con un sole come espressione della teoria dei due soli (Re e Papa/Grande Inquisitore) in cui il primo si piega al secondo; il mantello nero di re Filippo II manifesta la perversione del suo animo, pronto a sacrificare il figlio; il video con le fiamme indica sia la passione amorosa sia la flagellazione infernale per le colpe commesse degli attori; e il gioco delle spade rovesciate in legno del popolo che diventano croci a simboleggiare la loro ribellione all’oppressione, ma anche il loro ispirarsi al cattolicesimo, che viene sempre prima del potere temporale. Inoltre Lievi caratterizza l’allestimento di una certa dose di ricorsività che rende circolare e fluida la drammaturgia: l’abbraccio tra Carlo e Rodrigo sia nel I sia nel II atto; la triangolazione scenica; e il crisantemo bianco presente nella scena con le addolorate schernite sensualmente dal paggio e alla fine, tra le mani della regina Elisabetta ne sono degli esempi.
Un grande plauso a Valerio Galli sul podio dell’Orchestra del Carlo Felice. Appassionato, trascinante, assolutamente dentro la partitura che è riuscito a risaltare in tutta la sua potenza espressiva. Ha ben accentuato i chiaroscuri e colorato gli assoli e i momenti di maggiore intensità lirica, anche se, qualche volta, i volumi degli strumenti copriva le voci. Ci domandiamo se però fosse un effetto voluto, in quanto il cast non ha dato nel complesso una gran prova di sé, chiaramente con dei distinguo significativi.
Il migliore della serata a nostro avviso è stato Franco Vassallo che ha ben reso tutte le sfumature di Rodrigo, Marchese di Posa. Un’emissione robusta, un timbro vellutato, una ricchezza di sfumature e chiaroscuri e un legato morbido gli permettono, senza fatica, di affrontare con fierezza il ruolo, sostenuto dal pubblico in sala.
Anche Giovanna Casolla, all’alba dei suoi settantadue anni, ha portato in scena, nella sua sapiente interpretazione del complesso ruolo de La Principessa Eboli, tutta la sua esperienza, la sua precisa tecnica e la sua raffinata arte. A parte un inizio con dei pianissimi incerti, Casolla ha reso con eleganza ed efficacia vocale il suo personaggio, colorandolo col suo timbro corposo e sicuro, con la sua duttilità scenica e col suo buon fraseggio. Grande applausi per lei.
Aquiles Machado ha affrontato degnamente il ruolo di Don Carlo, anche se le imprecisioni nella sua esecuzione non sono certo mancate. Un fraseggio variegato, una voce ben proiettata, un bel timbro, una bella presenza scenica, capace di rendere l’ardore giovanile e gli ideali del principe, ma evidenti difficoltà nel registro acuto. Buono invece il sostegno nella parte mediana, resa con dovizia e precisione. Il venezuelano si sta confrontando con uno dei più impervi e complessi ruoli del repertorio verdiano.
Altalenante la prova di Svetla Vassileva che non abbiamo percepito dentro il personaggio di Elisabetta di Valois sia in termini di tenuta stilistica sia come temperamento scenico. Nonostante la sua eleganza e la sua bellezza, la sua interpretazione è passata senza grandi sbavature abbastanza inosservata.
Soddisfacente la performance di Riccardo Zanellato, che debuttava il ruolo di Filippo II. Dotato di una voce piena dalla proiezione omogenea e di un buon fraseggio, raggiunge il suo climax nella partecipata aria Ella giammai m’amò.
Gli si affianca in un bel duetto Marco Spotti che rende con grande intensità e colore Il Grande Inquisitore, cieco nonagenario. Una voce cavernosa, profonda, greve, una morbida linea di canto, un’emissione corretta e grande tecnica. Non gli serve molto. La sua presenza e il suo carisma riempiono la scena.
Voce chiara e ben proiettava e verve scenica pertinente caratterizzano la prova di Didier Pieri nei panni de Il Conte di Lerma e di Un Araldo reale. Buono scenicamente e vocalmente l’ensemble dei deputati fiamminghi formato da Ettore Kwanghyun Kim, Roberto Maietta, Enrico Marchesini, Stefano Marchisio, Daniele Piscopo e Stefano Rinaldi Miliani, come sicuramente gradevole l’intervento di Silvia Pantani (Voce dal cielo) e quello di Mariano Buccino (Un frate). Senza infamia né gloria la prova di Marika Colasanto nei panni di Tebaldo, paggio d’Elisabetta.
La prova del coro è stato vocalmente appena sufficiente. Non sempre compatto e pieno, infatti. Scenicamente invece è stato proprio deludente e disordinato, privo dell’energia necessaria per manifestare, ad esempio, la rivolta di cui era artefice.
Annunziato Gentiluomo
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