Vi abbiamo raccontato le 100 piazze del 23 gennaio, vi abbiamo spiegato cosa è accaduto – e cosa no – in Senato, cosa è stato fatto di quel Ddl sulle Unioni Civili che ancora deve superare l’esame alla Camera. Oggi proviamo a raccontarvi la manifestazione di ieri a Roma, in equilibrio tra le emozioni e
Vi abbiamo raccontato le 100 piazze del 23 gennaio, vi abbiamo spiegato cosa è accaduto – e cosa no – in Senato, cosa è stato fatto di quel Ddl sulle Unioni Civili che ancora deve superare l’esame alla Camera.
Oggi proviamo a raccontarvi la manifestazione di ieri a Roma, in equilibrio tra le emozioni e il senso di responsabilità di dare voce e notizia a un evento di estrema importanza, non solo per i movimenti e le associazioni che lo hanno promosso e organizzato. Non soltanto per la comunità LGBTI, per intenderci, ma per l’intera società che, come ricordato in molti interventi, con questa battaglia per i diritti può lasciarsi dietro alle spalle il fardello di alcuni stereotipi e pregiudizi per diventare più aperta e inclusiva.
Non è facile riassumere quanto è stato detto ieri pomeriggio, perché è stato detto tanto e perché le associazioni che hanno aderito sono moltissime e ognuna di esse ha portato la propria storia e le proprie motivazioni per essere presente e partecipe. L’elenco completo lo trovate qui.
La cifra distintiva della manifestazione “Diritti alla Meta”, a mio parere, la si può condensare nell’apertura e nella chiusura, non a caso lasciate entrambe alle Famiglie Arcobaleno. In mezzo, come fossero contenuti nel loro abbraccio collettivo, tutti gli altri, che hanno solcato il palco e teso loro nuovamente la mano, ricordando che il movimento omosessuale non è solo, non più, e non è diviso, è variegato e multiforme, racchiude sensibilità differenti, ma non è diviso, ora più che mai.
Il primo discorso, lo ha fatto Marilena Grassadonia, presidentessa nazionale di Famiglie Arcobaleno. Amarezza ma non sconforto, gratitudine per il sostegno e la vicinanza avuti in queste settimane dure, emotivamente e non solo. Le Famiglie Arcobaleno hanno aperto le porte delle loro case e delle loro vite, ci ha ricordato dal palco, a favore di telecamera e di microfoni, perché si riesca finalmente a parlare di loro, perché lo si faccia con onestà e sincerità, perché conoscere forse può aiutare a essere meno giudicanti.
La società cambia. Negarlo o, ancora peggio, cercare di bloccarlo con imposizioni e divieti, non lo impedisce, ma al contrario fa diventare un problema ciò che problema non è, o non dovrebbe esserlo. Le Famiglie Arcobaleno, coppie omogenitoriali con figli, sono le grandi escluse dal disegno di legge uscito dal Senato, e loro giustamente sono state al centro della giornata di ieri. La possibilità di adottare il figlio biologico del partner è stata delegata, ancora una volta, alle decisioni dei tribunali, e un diritto lasciato alla decisione di qualcun altro non si può considerare un diritto. Sintetizzato in una frase, pronunciata in chiusura dalla cantante Paola Turci: “I diritti che non sono per tutti, sono solo dei privilegi“. Lo hanno detto in molti ieri: la richiesta di chi è già genitore, e di chi vorrebbe esserlo, non è solo una richiesta di diritti ma anche di doveri. Soprattutto doveri. Uguali diritti sanciscono un’uguaglianza nelle libertà, uguali doveri affermano un’uguaglianza nella dignità. La ferita per ciò che è stato tolto dal Ddl Cirinnà è aperta e dolorosa, non lo si può e non lo si deve negare.
Qualcuno ha festeggiato, il giorno dopo il voto in Senato, dicendo che aveva “vinto l’amore”. Non è così. Un amore negato nella sua aspirazione alla propria manifestazione più matura e consapevole – quella della genitorialità – è un amore svilito e offeso. Questo è ciò che penso, e lo scrivo accogliendo l’invito di Francesca Vecchioni, che ha chiesto al mondo della comunicazione di assumersi la responsabilità delle proprie parole e del modo in cui affronta questi temi. Affermare, con delle norme precisamente restrittive, che l’orientamento sessuale determini se un individuo è adatto a essere genitore è un pregiudizio, nient’altro, e va chiamato per ciò che è.
“Noi non siamo un’opinione, noi siamo una realtà” così ancora Francesca Vecchioni sulle Famiglie Arcobaleno. E ancora Carlo Gabardini: “se due persone si amano e vogliono unirsi a tempo indeterminato, come lo puoi chiamare se non matrimonio?“. E poi, a proposito delle formazioni sociali specifiche e del mancato riferimento al vincolo affettivo e all’obbligo di fedeltà: “Ci hanno tolto il sentimento da questa legge. Bene, lo mostreremo dieci volte di più nella vita reale“. Ieri, ieri sì ha vinto l’amore. Ha vinto il desiderio di amore e di vita, anche nelle pieghe dell’ironia, arma necessaria della quale la Piazza del Popolo era ben fornita. Ha vinto comunque la speranza sulla rabbia, ha vinto una comunità che si è ritrovata unita e non sola, hanno vinto le famiglie e i singoli eterosessuali che hanno partecipato e continuano a testimoniare il loro sostegno, perché condividono con il movimento LGBTI un’idea di società, di libertà e dignità della persona.
Sappiamo che l’Italia è indietro di qualche decennio. Il nostro Paese fa una enorme fatica a concepire una libertà responsabile, adulta, consapevole, piena. Con questo limite si devono fare i conti, ma non si possono accettare ancora ritardi, né compromessi sempre al ribasso. “Diritti alla Meta”, la meta è il matrimonio egualitario.
La piazza di Roma non sarà l’ultima, ma è stata fondamentale, e chi c’era se la ricorderà a lungo.
Con il palco colorato, nei saluti finali, dalle Famiglie Arcobaleno e dai loro bambini, con le cantanti Paola Turci e Emma Marrone e gli organizzatori. Sì, anche se l’ho già detto, ieri ha “vinto l’amore”. Per i diritti, la vittoria arriverà.
Chiara Trompetto
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