Martedì 3 aprile ha debuttato al Teatro Carignano di Torino,in prima nazionale, il Don Giovanni di Molière per la regia di Valerio Binasco, nuovo Direttore artistico del Teatro Stabile di Torino, che ha saputo imporre una cifra stilistica di grande originalità, mantenendo al contempo il rispetto per i testi che mette in scena, mantenendo vivo il coinvolgimento degli spettatori: “Quel che provo a fare, è mettere insieme quello che come regista e attore ho imparato da diverse fonti, dai maestri, dalle esperienze passate. Oggi avvertiamo un’urgenza sacrosanta: ossia di recuperare il rapporto con il pubblico. Per questo, dobbiamo fare l’impossibile per renderci comprensibili, per emozionare ogni spettatore, per non farlo sentire “estraneo” rispetto all’opera“. L’opera verrà rappresentata fino al 22 aprile. Fin dalla sua prima apparizione, dalla penna di Tirso de Molina nella Spagna secentesca, Don Giovanni è in assoluto uno dei personaggi più frequentati dalla letteratura. Seduttore incallito, ateo refrattario a ogni conversione, ma anche oppositore di ogni ipocrisia, è il protagonista della commedia tragica che Molière mette in scena nel 1665, ’anno di una nuova offensiva del drammaturgo francese contro la morale dei benpensanti, cui seguirà una violenta risposta da parte del “partito dei devoti”. L’occasione si presenta con la sua nuova opera teatrale, Don Giovanni, che riprende il tema della religione già affrontato nel Tartufo. La commedia – cinque atti in prosa – è strutturata in modo tale da far convergere tutte le scene sulla figura del protagonista. Molière seziona il tema della religione e della sua funzione nella morale e nella società del tempo, ma a differenza delle precedenti versioni, crea un Don Giovanni che non è un banale seduttore. Il suo protagonista possiede le doti positive tipiche del suo stato sociale: è nobile d’animo, coraggioso, ha senso dell’ono Lo spettacolo è interpretato da Vittorio Camarota, Fabrizio Contri, Marta Cortellazzo Wiel, Lucio De Francesco, Giordana Faggiano, Elena Gigliotti, Gianluca Gobbi, Nicola Pannelli, Fulvio Pepe, Sergio Romano. Le scene sono di Guido Fiorato, le luci di Pasquale Mari, i costumi di Sandra Cardini e le musiche di Arturo Annecchino. Il personaggio interpretato da Gianluca Gobbi, è il leggendario seduttore, mito della letteratura europea, simbolo non soltanto dei trionfi e delle ceneri dell’eros, ma anche della rivolta della libido contro le remore della teologia. Comparso per la prima volta nel dramma di Tirso de Molina El burlador de Sevilla y Convidado de piedra, è con Molière che acquisisce spessore e si traduce in mito della letteratura europea. Il 1665 è l’anno di una nuova offensiva del drammaturgo francese contro la morale dei benpensanti, cui seguirà una nuova, violenta risposta da parte del cosidetto “partito dei devoti”. L’occasione, si presenta con la sua nuova opera teatrale, Don Giovanni, che riprende il tema della religione già affrontato nel Tartufo. La commedia, in cinque atti in prosa, è strutturata in modo tale da far convergere tutte le scene sulla figura del protagonista. Molière, seziona il tema della religione e della sua funzione nella morale e nella società. Il suo libertinaggio non è che una declinazione estrema della ricerca di libertà: anche nel momento in cui tale ricerca sfocia nell’ateismo e blasfemia non contraddice mai la figura dell’eroe-criminale solitario, che orgogliosamente osa portare la sua sfida anche contro Dio. La difesa dei principi della religione e delle verità della fede viene assunta da Sganarello (interpretato da Sergio Romano), servitore ridicolo, che svilisce gli argomenti che tocca, inducendo a una caricaturale confusione tra religione e superstizione. Neanche la figura del Convitato di pietra, né il finale morale imposto dalla tradizione, riescono a riequilibrare la propensione degli spettatori verso l’immagine del libertino, immorale ed empio. La scenografia è ben costruita con piani e fondali che si alternano creando movimento scenico, con inquadrature ben equilibrate e contrasti cromatici sapientemente valorizzati da luci e chiaroscuri. Semplici i costumi ma pertinenti nella caratterizzazione dei singoli personaggi. Un primo atto divertente e coinvolgente nel suo dinamismo e nella sua ludica e ironica esasperazione delle scene di seduzione e di passionalità. Più intenso e intimista il secondo atto, in cui tuttavia non viene meno il dinamismo che rende brioso e coinvolgente la narrazione. “Con questo Don Giovanni – afferma il regista – ci allontaniamo dalla tradizione recente che ci ha abituati (anche con allestimenti molto belli e paludati) a un protagonista emaciato, pre-esistenzialista, malinconico e cerebrale, in linea con le riletture novecentesche di Don Giovanni. A partire dal protagonista ho deciso di lasciar perdere il Cavaliere Spagnoleggiante della prima tradizione, così come la figura vampiresca e tardoromantica che fu cara agli intellettuali del secolo scorso”. Binasco ricerca il protagonista della storia così come immagina che sia stato prima che nascesse la sua leggenda, lo ricerca nella vita più ancora che nel testo. “Se lo cerco nella realtà che mi sta intorno – precisa il regista – Don Giovanni è poco più di un delinquente, un autentico delinquente, non un borghese che si atteggia. E’ il risultato di un eccesso di desideri compulsivi e viziosi, che egli coltiva con il preciso scopo di stare bene con se stesso. Ma con una caratteristica in più: la scarsa consapevolezza di chi egli sia realmente nell’anima”. Ed è proprio questo suo non percepirsi interiormente, questo suo non considerare degna di interesse la coscienza di sé che risalta come condizione psicologica attuale e contemporanea, stimolante da un punto di vista teatrale, oltretutto poco esplorata e indagata e anche per questo degna di nota e da valorizzare per la sua originalità.
Odette Alloati
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